N° 1/2025
N° 1/25 •
Speciale Kepler-452
INDICE

È inutile nascondersi dietro a un dito, da sempre siamo attenti seguiaci dei Kepler-452. In occasione del loro arrivo a Milano, proponiamo un viaggio nella memoria di tutte le volte che ci siamo trovati seduti in poltrocina a riflettere, piangere, ridere o pensare ad altro davanti a questi non-più-giovani che da Bologna ci portano lontano.

Testi: Paolo Martini • Progetto grafico: Elisa Gori e Giacomo Traldi • Art direction: Giacomo Traldi • Sviluppo: Giacomo Traldi
Per lamentele e/o omaggi, scrivere a info@dramaholic.it

E la nave va, da un pianeta molto lontano, verso l'approdo di un nuovo Racconto dei popoli in movimento

Paolo Martini • 

 Nessuno certo sentiva il bisogno di un così clamoroso effetto Trump, con il varo delle deportazioni dei migranti e il brusco taglio degli aiuti umanitari americani, e nemmeno del balzo in avanti delle destre nazionaliste e xenofobe in Europa. 

 Ci mancava pure il nuovo scontro tra il governo di Giorgia Meloni e i giudici tutti, ordinari, d’Appello e di Giustizia europei, sul balletto delle ‘ricollocazioni’ in Albania e dei respingimenti nei ‘Paesi di origine sicuri’…subito dopo cotanto caso di fuga di Stato, garantita al generale torturatore libico Almasri! 

 Così, tra l’altro, parlando della stagione teatrale d’inizio 2025, un appuntamento di per sé già molto atteso come la prima di ‘A place of safety - Viaggio nel Mediterraneo centrale’ di Kepler-452, all’Arena del Sole di Bologna, il 27 febbraio, si carica oggettivamente di sempre maggiori aspettative. 

 In questo caso, del resto, si parla pur sempre di un genere particolarissimo di ‘post-teatro di realtà fatto con la realtà’, esplicitamente umanista militante e di testimonianza politico-culturale.

Non è che disprezzino gli eterni ammiratori di Peter Brook o i grotowskiani oltranzisti, questi benedetti ragazzi che si sono scelti come nome quello del pianeta più lontano e più simile alla Terra che sia stato scoperto di recente. Sono soltanto di un mondo dopo, si sono messi in compagnia nel 2015, uno nemmeno trentenne e l’altro poco più. E vogliono semplicemente proporre una forma viva e precisa, perciò tout court politica, di rappresentazione del presente.  

 Il fortunato precedente de ‘Il Capitale’, che ha portato la compagnia di Enrico Baraldi e Nicola Borghesi alla ribalta anche europea, ha di fatto contribuito, in maniera aperta, a far rimettere all’ordine del giorno la realtà delle lotte di fabbrica in un’epoca di turbo-capitalismo finanziario.

 Questo ‘A place of safety’, nel pieno della stagione del Risentimento occidentale, si pone addirittura l’obiettivo forse più ‘in direzione ostinata e contraria’ che ci si possa dare oggi: concorrere a un tentativo di ‘Cambiare il racconto sui popoli in movimento’. 

 Così, peraltro, suggerisce il titolo della stessa presentazione pubblica del nuovo lavoro, che si terrà domenica 2 marzo, sempre nel teatro di Bologna, presenti esperti e protagonisti della contro-narrazione mediatica nonché la variegata compagnia che ha retto la scena delle prime rappresentazioni, con diversi esponenti di organizzazioni umanitarie a interloquire con Nicola Borghesi.

 Puntualmente, con l’efficienza sorridente ben nota, si sta impegnando a dovere la famiglia allargata di Emilia Romagna Teatro, che ha come ‘adottato a distanza’ i pur vicinissimi bolognesi di Kepler-452, cioè garantendo la totale indipendenza e il sostegno alle loro creazioni, in questo caso con altre due tra le migliori realtà istituzionali italiane, il Teatro Metastasio di Prato e CSS Teatro stabile di innovazione del Friuli Venezia Giulia.

 Il lancio di ‘A place of Safety’ è cominciato con largo anticipo, e un articolato comunicato stampa (1) con le prime foto è stato diffuso da ERT con la ‘fatidica’ data del 1° febbraio.

Il giorno stesso, guarda caso, in cui i giornali di quasi tutto il mondo analizzavano gli effetti del primo provvedimento suggerito da Elon Musk ‘nuovo Doge’ (come da sigla del dipartimento per i tagli di bilancio) al Presidente Trump: la brusca e immediata sospensione degli aiuti umanitari americani. A cui è seguito, peraltro, l'attacco frontale contro l'agenzia pubblica UsAid, 'nido di serpi dei marxisti della sinistra radicale che odia l'America' (X-Musk).

Questo stop agli aiuti umanitari è stato considerato un vero 'choc tettonico' planetario, dato che gli Usa mettono sul tavolo delle organizzazioni internazionali impegnate nel mondo, di cui sono il primo contribuente, qualcosa come 64,7 miliardi di dollari (62,4 miliardi di euro, dato OCSE 2023).

 ‘Le vittime di questo atto di crudeltà senza pari potrebbero essere centinaia di migliaia’, ha commentato il direttore di ‘Libération’ Dov Alfon (la Francia borghese vanta una ricca tradizione di volontariato laico, vedi anche solo l'esercito di 65mila volontari che nel mondo si raccolgono in Médicins Sans Frontières).

Basti pensare che a restar subito privi degli aiuti americani con cui campavano, saranno i rifugiati nei campi profughi più precari delle situazioni di guerra, per esempio i centomila disperati a Mae La e altri accampamenti tra Birmania e Thainlandia, i quarantamila reclusi a Roj e Al-Hol, nel nord-est siriano, e via elencando.

‘Un mondo impoverito finirà per impoverire anche l'America’ ha spiegato ancora Alfon. ‘Ma lo capiremo ex post, il lungo e il medio termine adesso sono scomparsi dal dibattito pubblico, a Washington come altrove’. 

Prove di 'A place of safety': da sinistra Miguel Duarte, Flavio Catalano, José Ricardo Peña, Giorgia Linardi, Nicola Borghesi - con caschetto e microfono -, Floriana Pati (foto di Alberto Camanni)

 Ha un che di paradossale, tra l’altro, che l’ideologia neo-utilitarista a cui si ispirano Musk e i nuovi techno-oligarchi, si chiami invece ‘long terminism’ perché in nome degli obiettivi di lungo periodo, come il mondo dell’Intelligenza artificiale e la colonizzazione dello spazio, invita i Paesi ricchi a lasciar perdere i problemi irrisolvibili del presente.

Cancellate pure ogni insensato residuo ideologico ecologista o umanitario - ripetono come un mantra i ‘lungo-terministi’ -, bisogna pensare al futuro dell’Umanità, tanto i poveri al presente sono condannati comunque a continuare ad esserlo e la Natura si è sempre rigenerata (sic!)

 E’ chiaro che poi, in concreto, tutto viene ammantato con trovate comunicative diaboliche e di facile effetto: il giorno dopo l’annuncio del blocco dei fondi umanitari dalla Casa Bianca sono arrivate spiegazioni relative di merito, mescolando fake come: ’50 milioni di dollari erano stati diretti per finanziare l'acquisto di preservativi a Gaza, uno spreco grottesco di denaro dei contribuenti’, e riferimenti effettivi a piani certo poco sintonici con il trumpismo, per esempio la protezione di persone LGBT+ in Libano o la prevenzione dell’HIV in America Latina.

 Come sottolineato più volte dall’entusiastico consenso via Twitter di Musk, i nostri Matteo Salvini e Meloni si possono considerare all’avanguardia di questo nuovo trend mondiale, con la rigida applicazione delle nuove leggi per ostacolare le organizzazioni umanitarie che operano nel Mediterraneo, dopo il tentativo social-mediatico di additarle come complici dei ‘mercanti di morte’ dell’immigrazione clandestina. 

 Ecco che, dunque, per tornare all’appuntamento di fine febbraio all’Arena del Sole, è impossibile anche solo affrontare separatamente dal valore etico-politico, la vera e propria prova teatrale, tanto impegnativa anche sotto il profilo per così dire estetico, che attende comunque Kepler-452.

 Ora, per metterla un po’ sul ridere dopo tanta serietà, chissà chi dei due fondatori della compagnia ha deciso per primo di dirigersi verso questo Castello di Frankestein jr., magari - s’immagina - il birrofilo Nicola ha indicato a Enrico la meta imponente e oscura, in una nottata di convivialità ‘luppolare’, ‘Lup…Luppululà? Luppo Ululì…’ 

 E’ che, proprio dopo il successo del Capitale, Kepler-452 ha regalato agli appassionati di emozioni un piccolo gioiello di post-teatro povero, ‘Album’, il racconto in una stanza di un toccante addio alle cose della memoria, frutto dell’esperienza con i volontari tra gli alluvionati in Romagna e di un lavoro di ricerca nei centri per malati di Alzheimer. 

 Ora, con ‘A place of safety’ ecco che affrontano davvero il salto ‘in mare aperto’, come certo inevitabile per il tema e dati i complici e host navali di Sea-Watch e di Emergency. Qui si intende però soffermarsi un attimo sull’upgrade dello spettacolo in termini di linguaggio e d’investimento, anche proprio di quel capitale che ci hanno insegnato Enrico e Nicola e compagni a rileggere marxianamente.

 E’ uno spettacolo importante questo, che richiede infatti un budget considerevole e si avvale persino di contributi professionali extra-kepleriani di rilievo, nomi consolidati e di tutto rispetto come Alberto Favretto per le scene e i costumi, Maria Domènech per il disegno luci, Massimo Carozzi per le musiche e il disegno sonoro e Marta Ciappina per la consulenza sui movimenti.

 Con il talento e la passione che si ritrovano Baraldi e Borghesi non avranno certo avuto problemi a gestire un grande gioco come questo, nemmeno sul fronte della produzione, con quell’ERT dove sono pure portati in palmo di mano. Tra l’altro Walter Malosti è notoriamente un direttore che lascia fare, casomai riconosce e incoraggia i talenti di carattere. 

 Piccola inevitabile parentesi a tema Malosti: l'attore-regista numero uno di ERT si sta giocando la riconferma a cavallo tra questo nuovo Kepler-452 e la chiusura di stagione con ‘Le Nuvole di Amleto’ di Eugenio Barba (a Bologna dal 14 maggio). Tanto di cappello, aldilà di qualunque altra considerazione.

E’ vero che in Emilia Romagna resta pur salda la presa del Pd, ma non parliamo comunque di artisti ascrivibili alla sinistra istituzionale, teatranti organici agli ex comunisti, nipotini di Romano Prodi, o 'cocchi' dell'ex ministro Franceschini.

Bisognerebbe poi considerare pure le possibili reazioni a destra di fronte a queste scelte. S’intende non solo del Ministero a cui spetta la firma sulle nomine nei cosiddetti 'teatri nazionali', ma anche quel che potrebbe dire - o dirà -, già a proposito di questi giorni con K-452 all’Arena del Sole, l’ultrà meloniano bolognese Galeazzo Bignami, ora Capogruppo alla Camera di FdI.

 Chiusa parentesi, tornando alle questioncelle dramaholiche, la metafora del Castello di Frankestein jr indica appunto che in questa impresa così significativa e di peso produttivo, com’è ‘A place of safety’, si gioca tanto anche l’identità kepleriana: non è affatto facile restare fedeli alla bellezza poetica di ‘Album’ entrando così tra le mura della roccaforte teatrale, dove si può risvegliare il Mostro dell’Intrattenimento post-moderno, e per giunta nella versione 'fighetta'.

A noi dichiarati incompetenti e tifosi kepleriani resta la certezza che Baraldi-Borghesi&Co. sapranno come cavarsela bene anche stavolta, ovvero sapranno andare al sodo, destreggiandosi pure tra canzonette e filmati, salvagenti arancioni e invenzioni sceniche, luci da capolavori del Prado e movenze d'arte coreutica, sofisticati remix del suono e altri possibili, pur ammirevoli, 'sovrappiù'.

Epperò, per dirla tutta, ci si può immaginare già Enrico e Nicola, e Roberta Gabriele in regia come assistente, e gli altri compagni di pianeta K-452, così soddisfatti del risultato che alla fine si faranno l’occhiolino mentre si salutano scambiandosi - con buona pace di questa ‘gufata’ del Castello di Frankestein jr. - un sano tocco di gomito e ‘Taffetà a te, taffettà’.

Foto di gruppo dell'equipaggio di Sea Watch 5 che ha ospitato Baraldi e Borghesi (quest'ultimo si riconosce in cima alla scaletta, appoggiato con entrambe le mani al parapetto)


(1) UN DISCORSO INTIMO SULL'EUROPA POSSIBILE

(…) 'A place of Safety - Viaggio nel Mediterraneo centrale' è il risultato di un lungo periodo di indagine sul campo intorno al tema della SAR (search and rescue), cominciato con dialoghi tra Enrico Baraldi e Nicola Borghesi, fondatori e componenti della compagnia, e alcuni referenti di ONG, proseguito con un periodo di residenza a Lampedusa e con la successiva partenza per la rotta mediterranea a bordo della nave Sea-Watch 5, l’11 luglio 2024 dal porto di Messina.

Nell’arco di quasi cinque settimane di navigazione la crew ha soccorso 156 persone, sbarcate poi nel “place of safety”, il porto di La Spezia. La nave, con Borghesi e Baraldi a bordo, è tornata in Sicilia al termine della missione il 5 agosto.

«Un tempo di ricerca molto particolare», affermano i registi: «una compagnia che si imbarca su una nave e, prima di allora, trascorre un periodo di residenza a Lampedusa e, dunque, non in teatro, ma su un'isola, in un porto e con le persone».

(…) Durante il percorso gli artisti hanno incontrato alcuni operatori di Life Support – la nave di EMERGENCY e di Sea-Watch, che sono diventati protagonisti dello spettacolo, in scena con Nicola Borghesi: Flavio Catalano, ufficiale tecnico sommergibilista della Marina Militare, ora in pensione e volontario su Life Support per EMERGENCY in ventidue missioni dal 2022; Miguel Duarte, fisico matematico portoghese, un civil sea rescuer nel Mediterraneo centrale dal 2016, membro dell'equipaggio della nave “Iuventa” che ha rischiato fino a venti anni di carcere per un'accusa di favoreggiamento dell'immigrazione clandestina, oggi capo missione per Sea-Watch; Giorgia Linardi, giurista e portavoce di Sea-Watch, con esperienze anche con Medici Senza Frontiere a bordo della Geo Barents in Libia e, attualmente, Visiting Professor al Graduate Institute of International and Development Studies di Ginevra; Floriana Pati, infermiera specializzata in medicina della migrazione e che dal 2022 ha partecipato a cinque missioni di ricerca e soccorso nel Mar Mediterraneo centrale sulla nave Life Support di EMERGENCY; José Ricardo Peña, nato in Texas, figlio di immigrati messicani, che ha lavorato come elettricista sulle navi prima di diventare un volontario con Sea-Watch, portando a compimento quattro missioni e dando una mano durante i periodi di cantiere.

 «Un cast che è frutto di una lunga ricerca – scrivono Enrico Baraldi e Nicola Borghesi – e che raccoglie persone che hanno testimoniato coi propri occhi punti diversi dell’avventura lunga un decennio del soccorso civile in mare».

 Le testimonianze raccolte, relative agli ultimi dieci anni di ricerca e soccorso nel Mar Mediterraneo, diventano nella drammaturgia le tappe di una missione: dalle paure prima di partire, alle motivazioni che spingono a imbarcarsi, ciò che accade quando ci si avvicina alla zona delle operazioni, il soccorso, fino poi al viaggio di ritorno. Tra le narrazioni dei personaggi una domanda affiora nella mente dei registi: “Come si deve raccontare questa storia?”

«A place of safety è un accumulo di storie impossibili da raccontare – continua la compagnia – accadute in un posto lontanissimo e vicino, ma anche il tentativo di capire come si raccontino, a cosa servano tutte queste storie. A place of safety è la storia dell’incontro tra una compagnia di teatro e un gruppo di persone che ha deciso di dedicare una parte della propria vita al soccorso in mare, ma è anche e soprattutto una scintilla di attenzione sul rimosso collettivo del nostro continente, ciò che accade nel Mediterraneo centrale. In fondo, un discorso intimo su ciò che l’Europa vorrebbe essere, su ciò che non è, su ciò che potrebbe essere».

(Dalla presentazione ufficiale di Emilia Romagna Teatro)

Paolo Martini • 

 Nessuno certo sentiva il bisogno di un così clamoroso effetto Trump, con il varo delle deportazioni dei migranti e il brusco taglio degli aiuti umanitari americani, e nemmeno del balzo in avanti delle destre nazionaliste e xenofobe in Europa. 

 Ci mancava pure il nuovo scontro tra il governo di Giorgia Meloni e i giudici tutti, ordinari, d’Appello e di Giustizia europei, sul balletto delle ‘ricollocazioni’ in Albania e dei respingimenti nei ‘Paesi di origine sicuri’…subito dopo cotanto caso di fuga di Stato, garantita al generale torturatore libico Almasri! 

 Così, tra l’altro, parlando della stagione teatrale d’inizio 2025, un appuntamento di per sé già molto atteso come la prima di ‘A place of safety - Viaggio nel Mediterraneo centrale’ di Kepler-452, all’Arena del Sole di Bologna, il 27 febbraio, si carica oggettivamente di sempre maggiori aspettative. 

 In questo caso, del resto, si parla pur sempre di un genere particolarissimo di ‘post-teatro di realtà fatto con la realtà’, esplicitamente umanista militante e di testimonianza politico-culturale.

Non è che disprezzino gli eterni ammiratori di Peter Brook o i grotowskiani oltranzisti, questi benedetti ragazzi che si sono scelti come nome quello del pianeta più lontano e più simile alla Terra che sia stato scoperto di recente. Sono soltanto di un mondo dopo, si sono messi in compagnia nel 2015, uno nemmeno trentenne e l’altro poco più. E vogliono semplicemente proporre una forma viva e precisa, perciò tout court politica, di rappresentazione del presente.  

 Il fortunato precedente de ‘Il Capitale’, che ha portato la compagnia di Enrico Baraldi e Nicola Borghesi alla ribalta anche europea, ha di fatto contribuito, in maniera aperta, a far rimettere all’ordine del giorno la realtà delle lotte di fabbrica in un’epoca di turbo-capitalismo finanziario.

 Questo ‘A place of safety’, nel pieno della stagione del Risentimento occidentale, si pone addirittura l’obiettivo forse più ‘in direzione ostinata e contraria’ che ci si possa dare oggi: concorrere a un tentativo di ‘Cambiare il racconto sui popoli in movimento’. 

 Così, peraltro, suggerisce il titolo della stessa presentazione pubblica del nuovo lavoro, che si terrà domenica 2 marzo, sempre nel teatro di Bologna, presenti esperti e protagonisti della contro-narrazione mediatica nonché la variegata compagnia che ha retto la scena delle prime rappresentazioni, con diversi esponenti di organizzazioni umanitarie a interloquire con Nicola Borghesi.

 Puntualmente, con l’efficienza sorridente ben nota, si sta impegnando a dovere la famiglia allargata di Emilia Romagna Teatro, che ha come ‘adottato a distanza’ i pur vicinissimi bolognesi di Kepler-452, cioè garantendo la totale indipendenza e il sostegno alle loro creazioni, in questo caso con altre due tra le migliori realtà istituzionali italiane, il Teatro Metastasio di Prato e CSS Teatro stabile di innovazione del Friuli Venezia Giulia.

 Il lancio di ‘A place of Safety’ è cominciato con largo anticipo, e un articolato comunicato stampa (1) con le prime foto è stato diffuso da ERT con la ‘fatidica’ data del 1° febbraio.

Il giorno stesso, guarda caso, in cui i giornali di quasi tutto il mondo analizzavano gli effetti del primo provvedimento suggerito da Elon Musk ‘nuovo Doge’ (come da sigla del dipartimento per i tagli di bilancio) al Presidente Trump: la brusca e immediata sospensione degli aiuti umanitari americani. A cui è seguito, peraltro, l'attacco frontale contro l'agenzia pubblica UsAid, 'nido di serpi dei marxisti della sinistra radicale che odia l'America' (X-Musk).

Questo stop agli aiuti umanitari è stato considerato un vero 'choc tettonico' planetario, dato che gli Usa mettono sul tavolo delle organizzazioni internazionali impegnate nel mondo, di cui sono il primo contribuente, qualcosa come 64,7 miliardi di dollari (62,4 miliardi di euro, dato OCSE 2023).

 ‘Le vittime di questo atto di crudeltà senza pari potrebbero essere centinaia di migliaia’, ha commentato il direttore di ‘Libération’ Dov Alfon (la Francia borghese vanta una ricca tradizione di volontariato laico, vedi anche solo l'esercito di 65mila volontari che nel mondo si raccolgono in Médicins Sans Frontières).

Basti pensare che a restar subito privi degli aiuti americani con cui campavano, saranno i rifugiati nei campi profughi più precari delle situazioni di guerra, per esempio i centomila disperati a Mae La e altri accampamenti tra Birmania e Thainlandia, i quarantamila reclusi a Roj e Al-Hol, nel nord-est siriano, e via elencando.

‘Un mondo impoverito finirà per impoverire anche l'America’ ha spiegato ancora Alfon. ‘Ma lo capiremo ex post, il lungo e il medio termine adesso sono scomparsi dal dibattito pubblico, a Washington come altrove’. 

Prove di 'A place of safety': da sinistra Miguel Duarte, Flavio Catalano, José Ricardo Peña, Giorgia Linardi, Nicola Borghesi - con caschetto e microfono -, Floriana Pati (foto di Alberto Camanni)

 Ha un che di paradossale, tra l’altro, che l’ideologia neo-utilitarista a cui si ispirano Musk e i nuovi techno-oligarchi, si chiami invece ‘long terminism’ perché in nome degli obiettivi di lungo periodo, come il mondo dell’Intelligenza artificiale e la colonizzazione dello spazio, invita i Paesi ricchi a lasciar perdere i problemi irrisolvibili del presente.

Cancellate pure ogni insensato residuo ideologico ecologista o umanitario - ripetono come un mantra i ‘lungo-terministi’ -, bisogna pensare al futuro dell’Umanità, tanto i poveri al presente sono condannati comunque a continuare ad esserlo e la Natura si è sempre rigenerata (sic!)

 E’ chiaro che poi, in concreto, tutto viene ammantato con trovate comunicative diaboliche e di facile effetto: il giorno dopo l’annuncio del blocco dei fondi umanitari dalla Casa Bianca sono arrivate spiegazioni relative di merito, mescolando fake come: ’50 milioni di dollari erano stati diretti per finanziare l'acquisto di preservativi a Gaza, uno spreco grottesco di denaro dei contribuenti’, e riferimenti effettivi a piani certo poco sintonici con il trumpismo, per esempio la protezione di persone LGBT+ in Libano o la prevenzione dell’HIV in America Latina.

 Come sottolineato più volte dall’entusiastico consenso via Twitter di Musk, i nostri Matteo Salvini e Meloni si possono considerare all’avanguardia di questo nuovo trend mondiale, con la rigida applicazione delle nuove leggi per ostacolare le organizzazioni umanitarie che operano nel Mediterraneo, dopo il tentativo social-mediatico di additarle come complici dei ‘mercanti di morte’ dell’immigrazione clandestina. 

 Ecco che, dunque, per tornare all’appuntamento di fine febbraio all’Arena del Sole, è impossibile anche solo affrontare separatamente dal valore etico-politico, la vera e propria prova teatrale, tanto impegnativa anche sotto il profilo per così dire estetico, che attende comunque Kepler-452.

 Ora, per metterla un po’ sul ridere dopo tanta serietà, chissà chi dei due fondatori della compagnia ha deciso per primo di dirigersi verso questo Castello di Frankestein jr., magari - s’immagina - il birrofilo Nicola ha indicato a Enrico la meta imponente e oscura, in una nottata di convivialità ‘luppolare’, ‘Lup…Luppululà? Luppo Ululì…’ 

 E’ che, proprio dopo il successo del Capitale, Kepler-452 ha regalato agli appassionati di emozioni un piccolo gioiello di post-teatro povero, ‘Album’, il racconto in una stanza di un toccante addio alle cose della memoria, frutto dell’esperienza con i volontari tra gli alluvionati in Romagna e di un lavoro di ricerca nei centri per malati di Alzheimer. 

 Ora, con ‘A place of safety’ ecco che affrontano davvero il salto ‘in mare aperto’, come certo inevitabile per il tema e dati i complici e host navali di Sea-Watch e di Emergency. Qui si intende però soffermarsi un attimo sull’upgrade dello spettacolo in termini di linguaggio e d’investimento, anche proprio di quel capitale che ci hanno insegnato Enrico e Nicola e compagni a rileggere marxianamente.

 E’ uno spettacolo importante questo, che richiede infatti un budget considerevole e si avvale persino di contributi professionali extra-kepleriani di rilievo, nomi consolidati e di tutto rispetto come Alberto Favretto per le scene e i costumi, Maria Domènech per il disegno luci, Massimo Carozzi per le musiche e il disegno sonoro e Marta Ciappina per la consulenza sui movimenti.

 Con il talento e la passione che si ritrovano Baraldi e Borghesi non avranno certo avuto problemi a gestire un grande gioco come questo, nemmeno sul fronte della produzione, con quell’ERT dove sono pure portati in palmo di mano. Tra l’altro Walter Malosti è notoriamente un direttore che lascia fare, casomai riconosce e incoraggia i talenti di carattere. 

 Piccola inevitabile parentesi a tema Malosti: l'attore-regista numero uno di ERT si sta giocando la riconferma a cavallo tra questo nuovo Kepler-452 e la chiusura di stagione con ‘Le Nuvole di Amleto’ di Eugenio Barba (a Bologna dal 14 maggio). Tanto di cappello, aldilà di qualunque altra considerazione.

E’ vero che in Emilia Romagna resta pur salda la presa del Pd, ma non parliamo comunque di artisti ascrivibili alla sinistra istituzionale, teatranti organici agli ex comunisti, nipotini di Romano Prodi, o 'cocchi' dell'ex ministro Franceschini.

Bisognerebbe poi considerare pure le possibili reazioni a destra di fronte a queste scelte. S’intende non solo del Ministero a cui spetta la firma sulle nomine nei cosiddetti 'teatri nazionali', ma anche quel che potrebbe dire - o dirà -, già a proposito di questi giorni con K-452 all’Arena del Sole, l’ultrà meloniano bolognese Galeazzo Bignami, ora Capogruppo alla Camera di FdI.

 Chiusa parentesi, tornando alle questioncelle dramaholiche, la metafora del Castello di Frankestein jr indica appunto che in questa impresa così significativa e di peso produttivo, com’è ‘A place of safety’, si gioca tanto anche l’identità kepleriana: non è affatto facile restare fedeli alla bellezza poetica di ‘Album’ entrando così tra le mura della roccaforte teatrale, dove si può risvegliare il Mostro dell’Intrattenimento post-moderno, e per giunta nella versione 'fighetta'.

A noi dichiarati incompetenti e tifosi kepleriani resta la certezza che Baraldi-Borghesi&Co. sapranno come cavarsela bene anche stavolta, ovvero sapranno andare al sodo, destreggiandosi pure tra canzonette e filmati, salvagenti arancioni e invenzioni sceniche, luci da capolavori del Prado e movenze d'arte coreutica, sofisticati remix del suono e altri possibili, pur ammirevoli, 'sovrappiù'.

Epperò, per dirla tutta, ci si può immaginare già Enrico e Nicola, e Roberta Gabriele in regia come assistente, e gli altri compagni di pianeta K-452, così soddisfatti del risultato che alla fine si faranno l’occhiolino mentre si salutano scambiandosi - con buona pace di questa ‘gufata’ del Castello di Frankestein jr. - un sano tocco di gomito e ‘Taffetà a te, taffettà’.

Foto di gruppo dell'equipaggio di Sea Watch 5 che ha ospitato Baraldi e Borghesi (quest'ultimo si riconosce in cima alla scaletta, appoggiato con entrambe le mani al parapetto)


(1) UN DISCORSO INTIMO SULL'EUROPA POSSIBILE

(…) 'A place of Safety - Viaggio nel Mediterraneo centrale' è il risultato di un lungo periodo di indagine sul campo intorno al tema della SAR (search and rescue), cominciato con dialoghi tra Enrico Baraldi e Nicola Borghesi, fondatori e componenti della compagnia, e alcuni referenti di ONG, proseguito con un periodo di residenza a Lampedusa e con la successiva partenza per la rotta mediterranea a bordo della nave Sea-Watch 5, l’11 luglio 2024 dal porto di Messina.

Nell’arco di quasi cinque settimane di navigazione la crew ha soccorso 156 persone, sbarcate poi nel “place of safety”, il porto di La Spezia. La nave, con Borghesi e Baraldi a bordo, è tornata in Sicilia al termine della missione il 5 agosto.

«Un tempo di ricerca molto particolare», affermano i registi: «una compagnia che si imbarca su una nave e, prima di allora, trascorre un periodo di residenza a Lampedusa e, dunque, non in teatro, ma su un'isola, in un porto e con le persone».

(…) Durante il percorso gli artisti hanno incontrato alcuni operatori di Life Support – la nave di EMERGENCY e di Sea-Watch, che sono diventati protagonisti dello spettacolo, in scena con Nicola Borghesi: Flavio Catalano, ufficiale tecnico sommergibilista della Marina Militare, ora in pensione e volontario su Life Support per EMERGENCY in ventidue missioni dal 2022; Miguel Duarte, fisico matematico portoghese, un civil sea rescuer nel Mediterraneo centrale dal 2016, membro dell'equipaggio della nave “Iuventa” che ha rischiato fino a venti anni di carcere per un'accusa di favoreggiamento dell'immigrazione clandestina, oggi capo missione per Sea-Watch; Giorgia Linardi, giurista e portavoce di Sea-Watch, con esperienze anche con Medici Senza Frontiere a bordo della Geo Barents in Libia e, attualmente, Visiting Professor al Graduate Institute of International and Development Studies di Ginevra; Floriana Pati, infermiera specializzata in medicina della migrazione e che dal 2022 ha partecipato a cinque missioni di ricerca e soccorso nel Mar Mediterraneo centrale sulla nave Life Support di EMERGENCY; José Ricardo Peña, nato in Texas, figlio di immigrati messicani, che ha lavorato come elettricista sulle navi prima di diventare un volontario con Sea-Watch, portando a compimento quattro missioni e dando una mano durante i periodi di cantiere.

 «Un cast che è frutto di una lunga ricerca – scrivono Enrico Baraldi e Nicola Borghesi – e che raccoglie persone che hanno testimoniato coi propri occhi punti diversi dell’avventura lunga un decennio del soccorso civile in mare».

 Le testimonianze raccolte, relative agli ultimi dieci anni di ricerca e soccorso nel Mar Mediterraneo, diventano nella drammaturgia le tappe di una missione: dalle paure prima di partire, alle motivazioni che spingono a imbarcarsi, ciò che accade quando ci si avvicina alla zona delle operazioni, il soccorso, fino poi al viaggio di ritorno. Tra le narrazioni dei personaggi una domanda affiora nella mente dei registi: “Come si deve raccontare questa storia?”

«A place of safety è un accumulo di storie impossibili da raccontare – continua la compagnia – accadute in un posto lontanissimo e vicino, ma anche il tentativo di capire come si raccontino, a cosa servano tutte queste storie. A place of safety è la storia dell’incontro tra una compagnia di teatro e un gruppo di persone che ha deciso di dedicare una parte della propria vita al soccorso in mare, ma è anche e soprattutto una scintilla di attenzione sul rimosso collettivo del nostro continente, ciò che accade nel Mediterraneo centrale. In fondo, un discorso intimo su ciò che l’Europa vorrebbe essere, su ciò che non è, su ciò che potrebbe essere».

(Dalla presentazione ufficiale di Emilia Romagna Teatro)

Se questo è un viaggio nel Mediterraneo centrale, bisogna proprio vivere su Kepler-452 per affrontarlo

Paolo Martini • 
La citazione

Siete come vapore che appare per un istante e poi scompare.

Lettera di Giacomo 4,14

 ‘Rescue complete, I repeat: rescue complete’. Per ora possono chiuderla così, proprio come nel finale di ‘A place of safety’, anche Enrico Baraldi e Nicola Borghesi, con Roberta Gabriele, Dario Salvetti, Giovanni Zanotti e gli altri compagni di strada? 

 In effetti, il salvataggio è finito anche per Kepler-452, e non c’erano carabinieri ad aspettarli in porto come quando sono scesi da SeaWatch5, ma soltanto qualche migliaio di spettatori, che alle prime quattro repliche ‘sold out’ nella sala grande dell’Arena del Sole di Bologna, hanno seguito le quasi due ore di rappresentazione con palpabili e sincere commozione, rabbia e compassione, prima ancora d’esplodere in lunghe ‘standing ovation’. 

 Ottimo, saranno andati finalmente a riposarsi, Enrico e Nicola e compagni. Almeno non sono finiti sommersi dall’imponenza di un impianto teatrale borghese, ché Dio-solo-sa se potranno davvero ripetere ‘rescue complete’ anche i megafoni delle anime di questi Extra-Terrestri, abituati da qualche anno a fare puntualmente irruzione nella stanca e trita scena teatrale italiana, per squarciare un po’ il velo della realtà con il racconto di realtà.

 Dopo aver cavalcato la tigre del kolossal, a Kepler-452 tocca in sorte di tornare subito alla dimensione lillipuziana, alla verità del rapporto diretto con poche decine di spettatori, per varie repliche (le prime sono il 12-13 marzo a Trento) di quel gioiello di ‘Album’.

Oltretutto, in termini per così dire di ‘gradazione morale’ del contenuto, ‘Album’ si colloca esattamente al passo prima di questo ‘A place of safety’, legando il tema dell'Alzheimer al dopo alluvione in Romagna.

In fondo, la nostra indifferenza nei confronti delle tragedie dei migranti è un caso specifico, forse il più inaccettabile, di quella sorta di perdita della memoria collettiva della nostra civiltà, ormai schiava di un materialismo dell’accumulazione maniacale che nega persino la bellezza della solidarietà.

 Purtroppo, come mi fa notare la solita vicina di poltrona intelligente, si deve constatare la progressiva crescita di una consapevolezza radicalmente pessimistica, da parte degli autori de ‘Il Capitale’ di lotta e di teatro, prima, e poi dell’umanissimo e già sofferente ‘Album’.

Ora sembra che dal mare anche i kepleriani siano tornati con l’orizzonte chiuso da quelle onde scure e terribili, ed era abbastanza prevedibile che ne sarebbero usciti sfiniti. Ma sono chiacchiere da spettatori adulti e senior, che sono come genitori per questi ‘ragazzi’: vorrebbero sempre e solo vederli sorridere alla rossa primavera da conquistare dove sorge il sol dell’avvenire.

Peccato che non sia proprio possibile.   

 Bisognerà aspettare il ritorno dalle varie missioni di soccorso che s’intensificano con le belle stagioni, dei cinque veri protagonisti del racconto di questo ‘Viaggio nel Mediterraneo centrale’, per assistere alla tripla ripresa di ‘A place of safety’, verso fine 2025, in casa dei co-produttori che hanno affiancato ERT Emilia Romagna Teatro.

Si comincia a novembre, per il festival ‘Rencontres des Arts de la Scène en Méditerranée’ che organizza il Théâtre des 13 vents di Montpellier; segue, il 2 dicembre, la replica al Teatro Palamostre del CSS di Udine (dove dal 10 aprile, in sala Pier Paolo Pasolini, Kepler-452 presenta 4 repliche di ‘Album’); e dal 4 al 7 dicembre 2025 rieccoli al Teatro Metastasio di Prato (altra bella realtà di provincia dove, tra l’altro, Baraldi nel 2022 è riuscito a varare, con un pugno di attrici ucraine, il notevole ‘Non tre sorelle / He tpи cectpи - Liberamente non ispirato a un’opera di A. Cechov’).

 Attenzione: si parla anche di una prossima ‘versione lettura’, nuda e cruda sul testo preparatorio, poco più o poco meno, che dovrebbe tenersi a Milano, a metà maggio, nell’ambito di un nuovo festival di Zona K. Benissimo.

Per chi ha già visto la versione teatrale grandiosa, sarà pure l’occasione di poter verificare ancor meglio, come entrando nel laboratorio di Kepler-452, la sostanza di questo lavoro.

‘A place of safety’ è infatti sembrato così tanto dentro alla scrittura e alla drammaturgia, senza cedimenti facili al pietismo e alle ideologie, come i grandi romanzi di mare di fine Ottocento si fondavano su mirabolanti costruzioni narrative pre-psicanalisi (ovvero sulla convenzione anche un po' reazionaria che ‘il cuore di tenebra’ esista e sia davvero tale), prive di fronzoli e di facili spiegazioni pseudo-razionali.

 La scelta del tema meta-teatrale, di come una compagnia approccia il mondo dei soccorsi in mare per raccontarlo in uno spettacolo, e l’abilità con cui è costruito il crescendo drammatico, intessuto all’inizio con ironia e disincanto, non fa che mettere in luce la verità dei personaggi scelti e portati in scena, così ben assortiti e calibrati: cinque ‘attori’ veri e naturali, che non interpretano ma confessano ciascuno le proprie contraddizioni, piccole e grandi.

 Come a specchio, il narratore Borghesi racconta addirittura d’aver sempre avuto paura persino dell’acqua, e mette in piazza tutta la contraddittorietà di questo lavoro, ammettendo che è pure troppo accattivante e tanto razzista, fatto soltanto da bianchi, fino al monologo in cui motiva la decisione di chiudere il racconto con le immagini della festa dei naufraghi scampati sulla nave.

 Detto tra parentesi - é un mezzo spoiler! - in realtà ci saranno poi pure un contro-finale e un finale, non senza prima un bellissimo ‘dopo-ultimo monologo’ di documentazione fotografica (ecco, forse solo in questo sovrappiù di finali, sì, che si vede 'il solco' di Milo Rau; per il resto zero: il guru svizzero tedesco avrebbe fatto la sua bella ‘Ifigenia in SAR-Sea-Med’, invece che in Tauride...).

 In particolare quel fermo immagine - spoilerissimo! - sul corpulento carabiniere in borghese che mette al muro con il numerino per la fotografia segnaletica un piccolo bimbo nero, manco fosse baby-Scarface, è francamente terribile e disarmante: ci racconta in quale ribaltamento di valori e di senso siamo precipitati.

 Peraltro tutta la scelta delle immagini girate e raccolte da Enrico Baraldi è assolutamente perfetta, anti-retorica, imprevedibile e pregnante. Quell’orizzonte marino cupo cupo e minaccioso, sparato lungo quasi l’intera scena, alla partenza della missione di Sea Watch 5, è esattamente quel che si porta poi dentro lo spettatore, nonché rappresenta di fatto la suggestione che anticipa l’apoteosi dell’eroe, il capo-missione Miguel Duarte, nel monologo in portoghese sul degrado morale europeo.  

 A Duarte è affidato anche il compito di aprire e in qualche modo di presentare l’intero lavoro, comunicando al pubblico l’unica autentica possibilità di trovare un senso residuale - ‘forse lo facciamo soltanto per noi stessi’ - alla disperante dissennatezza dell’impegno ‘umanitarista’ in mare, che a specchio è poi identica all’impossibilità del racconto teatrale dello stesso e, sempre più in piccolo, all’insopportabile posizione comoda di spettatori di questa finzione. 

Manuel Duarte, capomissione di Sea Watch 5, durante le prove (foto di Luca Del Pia)

 Ciascuno dei protagonisti ha una parte precisa, ritagliata su misura e ‘autenticata’ con aneddoti di vita vissuta perfettamente calibrati: il vecchio ex sommergibilista Flavio Catalano, ormai disarmato di fronte alle ideologie e persino alla riconoscenza umana; l’elettricista folle José Ricardo Peña, latino-americano, figlio d’immigrati clandestini in Texas, il più naturalmente vicino alla condizione dei migranti e il meno consono alle regole delle organizzazioni umanitarie.

Ci sono poi l’ex infermiera di pronto soccorso Floriana Pati, che è una specie di deuteragonista di Duarte sulla nave; la militante e studiosa di diritto dei rifugiati Giorgia Linardi, che di Sea Watch è anche portavoce, cui tocca il compito ingrato di fare il punto sulle parti più ostiche, a cominciare dal terribile e disumano regresso politico imposto alla guardia costiera e alla marina militare.              

 Di primo acchito la materia stessa, così sporca - nel senso proprio, del maleodorante ‘distress’ dei naufraghi che Floriana ci racconta così bene, e pure di riflesso, nella nostra coscienza d’indifferenti -, impedisce di stare sereni e men che meno freddi a giudicare lo spettacolo. 

  Un altro vicino, arrivato al definitivo groppo in gola dopo il primo monologo dell’infermiera, sul destino che attende in Italia i salvati, confessa che si sarebbe volentieri alzato dalla poltrona per guadagnare l’uscita verso una confortevole lasagna. 

 Esattamente come il dramma stesso di cui parla, anche ‘A place of safety’ è un caso di ribaltamento delle aspettative. Più che farsi ammirare per grandiosità, schiaccia e fa sentire piccoli-piccoli, e meschini, gli spettatori con un barlume di coscienza, da andare tutti a confessarsi subito per il peccato d’omissione (non a caso uno dei più rimossi dalle chiese). 

 Questo salto quasi nell’etica cristiana delle origini, si poteva già intuire grazie a due puntuali presentazioni comparse con grande rilievo sul gornale cattolico ‘Avvenire’, a firma di Michele Sciancalepore, e su ‘Famiglia cristiana’, con un’intervista congiunta a Baraldi e Borghesi, di Antonio Sanfrancesco.

In questo ampio testo i due ‘marpioni’ kepleriani facevano addirittura cenno a una personale riscoperta della dimensione religiosa e spirituale durante la preparazione di questo lavoro, ma chi può dire che non fosse soprattutto per la gioia delle mamme che non li hanno visti per settimane? 

 Nessuno può credere che a Kepler-452, dove fingono già di aver compulsato l'ostico malloppone di critica dell’economia politica di Marx, adesso si siano messi a leggere il Nuovo Testamento, anche solo quel centinaio di versetti della Lettera di Giacomo, o addirittura giusto al capitolo 4,11-17, con il più esplicito richiamo all’imperativo morale di fare il bene se si conosce qual è: ché questo sapere che cosa sarebbe bene fare, ma non farlo, è davvero un peccato grave - ed è il nostro stesso, guarda caso, di spettatori, soprattutto dopo ‘A place of safety’. 

 I lettori cattolici hanno avuto la possibilità anche di conoscere la più semplice e precisa esposizione di poetica teatrale di Baraldi e Borghesi: ‘Per noi la possibilità di avere delle persone (di Sea Watch e Life support) che hanno visto e vissuto questo fenomeno con i loro occhi e che hanno agito con il loro corpo è un grande valore aggiunto ed è molto diversa, dal punto di vista teatrale, scenico e del racconto, rispetto che ad affidarlo ad attori professionisti'.

Ancora (corsivi nostri): 'Non è tanto una sfiducia nelle possibilità del teatro, ma appunto una fiducia ancora maggiore nella possibilità del teatro di essere un luogo aperto ad accogliere storie, testimoni diretti, vissuti personali. Se vogliamo, è il ritorno all’idea di un teatro come luogo di formazione civica ed espressione dell’agora, come avrebbero detto i greci del quinto secolo, in cui due comunità si incontrano – una per raccontare una storia e l'altra per sentirsela raccontare. Come già accade tra cinema e documentario, anche il teatro si può inserire in questo filone di non mediazione e tessere questo filo diretto tra testimoni e ascoltatori’.

 Perfetto. Ed è davvero confortante notare come Kepler-452 riesca poi così a farsi comprendere e accettare anche dagli spettatori più difficili, in primis quelli delle ultime generazioni, che per formazione e gusti artistici hanno maturato una giusta repulsione nei confronti del vecchio teatro-teatrante e del nuovo intellettualistico, inutile e bolso (prova ne sia anche soltanto la precisa recensione di Emanuela Zanon sul magazine online Juliet).

 Ma ogni considerazione ulteriore e specifica vale quel che vale, poco o nulla, rispetto al risultato agghiacciante di questo racconto di realtà, che sbatte garbatamente in faccia a noi spettatori quello che ‘nessuno di noi’ vuole vedere.

E lo fa, oltretutto, attraverso la mediazione perfetta di personaggi e di storie così potenzialmente da ‘uno di noi’.

La distanza è davvero corta, grazie a Borghesi stesso (in fondo fa la parte anche del primo spettatore in scena), sia in particolare con le due straordinarie figure femminili, la perfetta neo-kepleriana Floriana e questa ‘Altra Giorgia’ così agli antipodi rispetto alla nostra/o illustre premier. Esempi viventi, con l'immenso Duarte, di quanto Guccini - altro che Battiato! - avesse ragione: 'gli eroi sono tutti giovani e belli...'

 A proposito di politica, perché di questo soprattutto si tratta, una bella domanda sui contenuti della manifestazione per l’Europa se la sarebbe posta seriamente lo stesso Michele Serra, se avesse lasciato per una sera il suo ‘buen ritiro’ nel vicino Appennino per assistere anche soltanto al primo racconto di Giorgia Linardi e al monologo chiave di Duarte. 

 Per non dire del bravo primo cittadino di Bologna, Matteo Lepore, subito schieratosi tra gli entusiastici sindaci organizzatori della sfilata ‘europeista’, che risulta essersi poi discretamente seduto in platea, da spettatore, nel suo teatro, per questa così importante nuova prova della compagnia gioiello della sua città. 

 Possono sempre rimediare, Serra, Lepore che l'ha visto e apprezzato, e tutti i nuovi 'ursulisti e riarmisti' di complemento: si facciano mandare una piccola registrazione degli spezzoni chiave di 'A place of safety' da proiettare in piazza, chiedano magari ai kepleriani se è possibile allestire al volo una versione ridotta, una breve lettura.

Si dovrà pure dar retta agli artisti dissidenti: non saremo mica di fronte a un clima da nuovo stalinismo, quando qualunque critica e qualunque diversità diventavano subito attività ‘anti-sovietiche’?

Quest’Europa che si crede 'assediata' ai confini, dai poveracci prima ancora che dai russi, fa proprio schifo e noi tutti ‘europeisti’ di risulta, meritiamo davvero di finire in fretta - ‘come vapore che appare per un istante e poi scompare’, quale tutti noi umani siamo - nello stesso inferno di cui abbiamo spalancato i cancelli ai migranti.      

Giorgia Linardi e Floriana Pati, la meglio gioventù che Kepler-452 ha portato in scena (foto di Luca Del Pia)
Paolo Martini • 
La citazione

Siete come vapore che appare per un istante e poi scompare.

Lettera di Giacomo 4,14

 ‘Rescue complete, I repeat: rescue complete’. Per ora possono chiuderla così, proprio come nel finale di ‘A place of safety’, anche Enrico Baraldi e Nicola Borghesi, con Roberta Gabriele, Dario Salvetti, Giovanni Zanotti e gli altri compagni di strada? 

 In effetti, il salvataggio è finito anche per Kepler-452, e non c’erano carabinieri ad aspettarli in porto come quando sono scesi da SeaWatch5, ma soltanto qualche migliaio di spettatori, che alle prime quattro repliche ‘sold out’ nella sala grande dell’Arena del Sole di Bologna, hanno seguito le quasi due ore di rappresentazione con palpabili e sincere commozione, rabbia e compassione, prima ancora d’esplodere in lunghe ‘standing ovation’. 

 Ottimo, saranno andati finalmente a riposarsi, Enrico e Nicola e compagni. Almeno non sono finiti sommersi dall’imponenza di un impianto teatrale borghese, ché Dio-solo-sa se potranno davvero ripetere ‘rescue complete’ anche i megafoni delle anime di questi Extra-Terrestri, abituati da qualche anno a fare puntualmente irruzione nella stanca e trita scena teatrale italiana, per squarciare un po’ il velo della realtà con il racconto di realtà.

 Dopo aver cavalcato la tigre del kolossal, a Kepler-452 tocca in sorte di tornare subito alla dimensione lillipuziana, alla verità del rapporto diretto con poche decine di spettatori, per varie repliche (le prime sono il 12-13 marzo a Trento) di quel gioiello di ‘Album’.

Oltretutto, in termini per così dire di ‘gradazione morale’ del contenuto, ‘Album’ si colloca esattamente al passo prima di questo ‘A place of safety’, legando il tema dell'Alzheimer al dopo alluvione in Romagna.

In fondo, la nostra indifferenza nei confronti delle tragedie dei migranti è un caso specifico, forse il più inaccettabile, di quella sorta di perdita della memoria collettiva della nostra civiltà, ormai schiava di un materialismo dell’accumulazione maniacale che nega persino la bellezza della solidarietà.

 Purtroppo, come mi fa notare la solita vicina di poltrona intelligente, si deve constatare la progressiva crescita di una consapevolezza radicalmente pessimistica, da parte degli autori de ‘Il Capitale’ di lotta e di teatro, prima, e poi dell’umanissimo e già sofferente ‘Album’.

Ora sembra che dal mare anche i kepleriani siano tornati con l’orizzonte chiuso da quelle onde scure e terribili, ed era abbastanza prevedibile che ne sarebbero usciti sfiniti. Ma sono chiacchiere da spettatori adulti e senior, che sono come genitori per questi ‘ragazzi’: vorrebbero sempre e solo vederli sorridere alla rossa primavera da conquistare dove sorge il sol dell’avvenire.

Peccato che non sia proprio possibile.   

 Bisognerà aspettare il ritorno dalle varie missioni di soccorso che s’intensificano con le belle stagioni, dei cinque veri protagonisti del racconto di questo ‘Viaggio nel Mediterraneo centrale’, per assistere alla tripla ripresa di ‘A place of safety’, verso fine 2025, in casa dei co-produttori che hanno affiancato ERT Emilia Romagna Teatro.

Si comincia a novembre, per il festival ‘Rencontres des Arts de la Scène en Méditerranée’ che organizza il Théâtre des 13 vents di Montpellier; segue, il 2 dicembre, la replica al Teatro Palamostre del CSS di Udine (dove dal 10 aprile, in sala Pier Paolo Pasolini, Kepler-452 presenta 4 repliche di ‘Album’); e dal 4 al 7 dicembre 2025 rieccoli al Teatro Metastasio di Prato (altra bella realtà di provincia dove, tra l’altro, Baraldi nel 2022 è riuscito a varare, con un pugno di attrici ucraine, il notevole ‘Non tre sorelle / He tpи cectpи - Liberamente non ispirato a un’opera di A. Cechov’).

 Attenzione: si parla anche di una prossima ‘versione lettura’, nuda e cruda sul testo preparatorio, poco più o poco meno, che dovrebbe tenersi a Milano, a metà maggio, nell’ambito di un nuovo festival di Zona K. Benissimo.

Per chi ha già visto la versione teatrale grandiosa, sarà pure l’occasione di poter verificare ancor meglio, come entrando nel laboratorio di Kepler-452, la sostanza di questo lavoro.

‘A place of safety’ è infatti sembrato così tanto dentro alla scrittura e alla drammaturgia, senza cedimenti facili al pietismo e alle ideologie, come i grandi romanzi di mare di fine Ottocento si fondavano su mirabolanti costruzioni narrative pre-psicanalisi (ovvero sulla convenzione anche un po' reazionaria che ‘il cuore di tenebra’ esista e sia davvero tale), prive di fronzoli e di facili spiegazioni pseudo-razionali.

 La scelta del tema meta-teatrale, di come una compagnia approccia il mondo dei soccorsi in mare per raccontarlo in uno spettacolo, e l’abilità con cui è costruito il crescendo drammatico, intessuto all’inizio con ironia e disincanto, non fa che mettere in luce la verità dei personaggi scelti e portati in scena, così ben assortiti e calibrati: cinque ‘attori’ veri e naturali, che non interpretano ma confessano ciascuno le proprie contraddizioni, piccole e grandi.

 Come a specchio, il narratore Borghesi racconta addirittura d’aver sempre avuto paura persino dell’acqua, e mette in piazza tutta la contraddittorietà di questo lavoro, ammettendo che è pure troppo accattivante e tanto razzista, fatto soltanto da bianchi, fino al monologo in cui motiva la decisione di chiudere il racconto con le immagini della festa dei naufraghi scampati sulla nave.

 Detto tra parentesi - é un mezzo spoiler! - in realtà ci saranno poi pure un contro-finale e un finale, non senza prima un bellissimo ‘dopo-ultimo monologo’ di documentazione fotografica (ecco, forse solo in questo sovrappiù di finali, sì, che si vede 'il solco' di Milo Rau; per il resto zero: il guru svizzero tedesco avrebbe fatto la sua bella ‘Ifigenia in SAR-Sea-Med’, invece che in Tauride...).

 In particolare quel fermo immagine - spoilerissimo! - sul corpulento carabiniere in borghese che mette al muro con il numerino per la fotografia segnaletica un piccolo bimbo nero, manco fosse baby-Scarface, è francamente terribile e disarmante: ci racconta in quale ribaltamento di valori e di senso siamo precipitati.

 Peraltro tutta la scelta delle immagini girate e raccolte da Enrico Baraldi è assolutamente perfetta, anti-retorica, imprevedibile e pregnante. Quell’orizzonte marino cupo cupo e minaccioso, sparato lungo quasi l’intera scena, alla partenza della missione di Sea Watch 5, è esattamente quel che si porta poi dentro lo spettatore, nonché rappresenta di fatto la suggestione che anticipa l’apoteosi dell’eroe, il capo-missione Miguel Duarte, nel monologo in portoghese sul degrado morale europeo.  

 A Duarte è affidato anche il compito di aprire e in qualche modo di presentare l’intero lavoro, comunicando al pubblico l’unica autentica possibilità di trovare un senso residuale - ‘forse lo facciamo soltanto per noi stessi’ - alla disperante dissennatezza dell’impegno ‘umanitarista’ in mare, che a specchio è poi identica all’impossibilità del racconto teatrale dello stesso e, sempre più in piccolo, all’insopportabile posizione comoda di spettatori di questa finzione. 

Manuel Duarte, capomissione di Sea Watch 5, durante le prove (foto di Luca Del Pia)

 Ciascuno dei protagonisti ha una parte precisa, ritagliata su misura e ‘autenticata’ con aneddoti di vita vissuta perfettamente calibrati: il vecchio ex sommergibilista Flavio Catalano, ormai disarmato di fronte alle ideologie e persino alla riconoscenza umana; l’elettricista folle José Ricardo Peña, latino-americano, figlio d’immigrati clandestini in Texas, il più naturalmente vicino alla condizione dei migranti e il meno consono alle regole delle organizzazioni umanitarie.

Ci sono poi l’ex infermiera di pronto soccorso Floriana Pati, che è una specie di deuteragonista di Duarte sulla nave; la militante e studiosa di diritto dei rifugiati Giorgia Linardi, che di Sea Watch è anche portavoce, cui tocca il compito ingrato di fare il punto sulle parti più ostiche, a cominciare dal terribile e disumano regresso politico imposto alla guardia costiera e alla marina militare.              

 Di primo acchito la materia stessa, così sporca - nel senso proprio, del maleodorante ‘distress’ dei naufraghi che Floriana ci racconta così bene, e pure di riflesso, nella nostra coscienza d’indifferenti -, impedisce di stare sereni e men che meno freddi a giudicare lo spettacolo. 

  Un altro vicino, arrivato al definitivo groppo in gola dopo il primo monologo dell’infermiera, sul destino che attende in Italia i salvati, confessa che si sarebbe volentieri alzato dalla poltrona per guadagnare l’uscita verso una confortevole lasagna. 

 Esattamente come il dramma stesso di cui parla, anche ‘A place of safety’ è un caso di ribaltamento delle aspettative. Più che farsi ammirare per grandiosità, schiaccia e fa sentire piccoli-piccoli, e meschini, gli spettatori con un barlume di coscienza, da andare tutti a confessarsi subito per il peccato d’omissione (non a caso uno dei più rimossi dalle chiese). 

 Questo salto quasi nell’etica cristiana delle origini, si poteva già intuire grazie a due puntuali presentazioni comparse con grande rilievo sul gornale cattolico ‘Avvenire’, a firma di Michele Sciancalepore, e su ‘Famiglia cristiana’, con un’intervista congiunta a Baraldi e Borghesi, di Antonio Sanfrancesco.

In questo ampio testo i due ‘marpioni’ kepleriani facevano addirittura cenno a una personale riscoperta della dimensione religiosa e spirituale durante la preparazione di questo lavoro, ma chi può dire che non fosse soprattutto per la gioia delle mamme che non li hanno visti per settimane? 

 Nessuno può credere che a Kepler-452, dove fingono già di aver compulsato l'ostico malloppone di critica dell’economia politica di Marx, adesso si siano messi a leggere il Nuovo Testamento, anche solo quel centinaio di versetti della Lettera di Giacomo, o addirittura giusto al capitolo 4,11-17, con il più esplicito richiamo all’imperativo morale di fare il bene se si conosce qual è: ché questo sapere che cosa sarebbe bene fare, ma non farlo, è davvero un peccato grave - ed è il nostro stesso, guarda caso, di spettatori, soprattutto dopo ‘A place of safety’. 

 I lettori cattolici hanno avuto la possibilità anche di conoscere la più semplice e precisa esposizione di poetica teatrale di Baraldi e Borghesi: ‘Per noi la possibilità di avere delle persone (di Sea Watch e Life support) che hanno visto e vissuto questo fenomeno con i loro occhi e che hanno agito con il loro corpo è un grande valore aggiunto ed è molto diversa, dal punto di vista teatrale, scenico e del racconto, rispetto che ad affidarlo ad attori professionisti'.

Ancora (corsivi nostri): 'Non è tanto una sfiducia nelle possibilità del teatro, ma appunto una fiducia ancora maggiore nella possibilità del teatro di essere un luogo aperto ad accogliere storie, testimoni diretti, vissuti personali. Se vogliamo, è il ritorno all’idea di un teatro come luogo di formazione civica ed espressione dell’agora, come avrebbero detto i greci del quinto secolo, in cui due comunità si incontrano – una per raccontare una storia e l'altra per sentirsela raccontare. Come già accade tra cinema e documentario, anche il teatro si può inserire in questo filone di non mediazione e tessere questo filo diretto tra testimoni e ascoltatori’.

 Perfetto. Ed è davvero confortante notare come Kepler-452 riesca poi così a farsi comprendere e accettare anche dagli spettatori più difficili, in primis quelli delle ultime generazioni, che per formazione e gusti artistici hanno maturato una giusta repulsione nei confronti del vecchio teatro-teatrante e del nuovo intellettualistico, inutile e bolso (prova ne sia anche soltanto la precisa recensione di Emanuela Zanon sul magazine online Juliet).

 Ma ogni considerazione ulteriore e specifica vale quel che vale, poco o nulla, rispetto al risultato agghiacciante di questo racconto di realtà, che sbatte garbatamente in faccia a noi spettatori quello che ‘nessuno di noi’ vuole vedere.

E lo fa, oltretutto, attraverso la mediazione perfetta di personaggi e di storie così potenzialmente da ‘uno di noi’.

La distanza è davvero corta, grazie a Borghesi stesso (in fondo fa la parte anche del primo spettatore in scena), sia in particolare con le due straordinarie figure femminili, la perfetta neo-kepleriana Floriana e questa ‘Altra Giorgia’ così agli antipodi rispetto alla nostra/o illustre premier. Esempi viventi, con l'immenso Duarte, di quanto Guccini - altro che Battiato! - avesse ragione: 'gli eroi sono tutti giovani e belli...'

 A proposito di politica, perché di questo soprattutto si tratta, una bella domanda sui contenuti della manifestazione per l’Europa se la sarebbe posta seriamente lo stesso Michele Serra, se avesse lasciato per una sera il suo ‘buen ritiro’ nel vicino Appennino per assistere anche soltanto al primo racconto di Giorgia Linardi e al monologo chiave di Duarte. 

 Per non dire del bravo primo cittadino di Bologna, Matteo Lepore, subito schieratosi tra gli entusiastici sindaci organizzatori della sfilata ‘europeista’, che risulta essersi poi discretamente seduto in platea, da spettatore, nel suo teatro, per questa così importante nuova prova della compagnia gioiello della sua città. 

 Possono sempre rimediare, Serra, Lepore che l'ha visto e apprezzato, e tutti i nuovi 'ursulisti e riarmisti' di complemento: si facciano mandare una piccola registrazione degli spezzoni chiave di 'A place of safety' da proiettare in piazza, chiedano magari ai kepleriani se è possibile allestire al volo una versione ridotta, una breve lettura.

Si dovrà pure dar retta agli artisti dissidenti: non saremo mica di fronte a un clima da nuovo stalinismo, quando qualunque critica e qualunque diversità diventavano subito attività ‘anti-sovietiche’?

Quest’Europa che si crede 'assediata' ai confini, dai poveracci prima ancora che dai russi, fa proprio schifo e noi tutti ‘europeisti’ di risulta, meritiamo davvero di finire in fretta - ‘come vapore che appare per un istante e poi scompare’, quale tutti noi umani siamo - nello stesso inferno di cui abbiamo spalancato i cancelli ai migranti.      

Giorgia Linardi e Floriana Pati, la meglio gioventù che Kepler-452 ha portato in scena (foto di Luca Del Pia)

Vedere i fantasmi de 'La zona blu' nel cielo stellato sopra il Mediterraneo, questa sì che è un'utopia teatrale

Paolo Martini • 

 ‘La zona blu’ che dà il titolo a questo diario del viaggio nel Mediterraneo con i soccorritori di Sea-Watch (base del lavoro da cui la compagnia Kepler-452 ha tratto ‘A place of safety’), è lo spazio dove vengono appoggiati a morire i naufraghi considerati subito casi disperati. Eppure, a differenza dello straordinario ‘politikolossal’ presentato all’Arena del Sole di Bologna il 27 febbraio, questa ‘lettura di appunti ai confini dell’Europa’ porta decisamente meno dentro la camera magmatica del dramma epocale di quest’olocausto migratorio. 

 E’ un lavoro d’una ben diversa crudezza, prima di tutto perché in questo caso non ci sono le testimonianze dei soccorritori. Ma anche nei racconti del narratore ‘La zona blu’ risulta poi quasi completamente diverso da ‘A place of safety’, che resta così tutto da scoprire per il grande pubblico atteso nell’impegnativa tournée autunnale.

Il regista Enrico Baraldi, il frontman Nicola Borghesi, l’angelo custode producer Roberta Gabriele e i ragazzi della compagnia bolognese batteranno decine di piazze, da Montpellier a Udine, da Prato a Torino, per non dire dei teatri dell’Emilia Romagna quasi al completo, e qualche giorno di metà dicembre persino il Piccolo Teatro Studio.

In vista delle repliche di ‘A place of safety’, ‘La zona blu’ è stato uno degli eventi del nuovo festival LIFE a Milano, ma verrà riproposto ancora dai kepleriani in questi prossimi mesi. In questo periodo, peraltro, la compagnia bolognese ha lodevolmente riportato in giro il piccolo gioiello di teatro-conversazione ‘Album’.

 Anche questo diario è ritagliato su misura di Nicola Borghesi, la cui cifra di autore e di attore s’apre decisamente spesso e volentieri al sorriso, alla battuta, al racconto con virate improvvise alla comicità, e invece dosa con sobrietà i crescendo verso l’indignazione. 

 Oltre al canovaccio degli appunti preparatori di ‘A place of safety’, in ‘La zona blu’ entrano in gioco un certo numero di immagini girate da Enrico Baraldi nelle varie situazioni di cui si parla e in modo altrettanto sobrio un accompagnamento musicale sorprendente, con la contrabbassista-musicista elettronica Francesca Boccolini, che in scena sembrava a tratti la prima spettatrice commossa da un racconto che davvero non lascia indifferenti.

 Caldeggiando comunque ai più sensibili, come per ‘A place of safety’, di dotarsi tempestivamente di citrosodina, gaviscon, geffer e diavolerie varie per frenare l’inevitabile motilità dello stomaco da complessi di colpa del borghese indifferente, che cosa si può dire alla fine di questo ‘La zona blu’?

 Senza voler spoilerare oltre misura, non si può però non prendere atto di una straordinaria chiusa ‘shakespeariana’ in cui Borghesi espone - forse bene come mai prima aveva fatto - la poetica stessa del teatro di Kepler-452. Lo fa attraverso il racconto sulle stelle che il comandante tedesco di Sea-Watch decide di tenere all’equipaggio sul ponte, durante la prima notte del ritorno dopo la missione, tracciando un’appassionata e competente mappa del cielo stellato, con relativi approfondimenti mitologici sui nomi. 

 Nell’artificio retorico finale il narratore che si è spinto un po’ disperatamente fino a ‘La zona blu’, riscopre proprio il suo ruolo in una sfida tanto ardua da apparire insensata, quale questa su un tema così caldo, contemplando l’immensità del cielo stellato dentro il cui infinito brillio poi si perderebbe tutto, se in realtà ciascun pianeta non avesse un nome o una storia, dove le storie che non si dimenticano per sempre sono soltanto quelle che vengono raccontate bene, così bene, addirittura, da sfiorare la creazione di miti.

 Che cosa può mai dire a questo punto lo spettatore appassionato, persino già kepleriano convinto? Alza le mani per gli applausi, ma idealmente ha già subito fatto il gesto di allargarle verso il basso, ‘eh beh’, come a ripetere il gesto istintivo della resa immediata all’ammirazione.               

 Peraltro, Baraldi e Borghesi potevano finire proprio malconci dopo questa impresa di ‘A place of safety’, anche personalmente, oltre che professionalmente. E invece no, sembrano rinati e persino ringiovaniti.

Più saldi ancora nella convinzione di voler fare questo teatro di storie di realtà, di voler aggiungere la luminescenza ad altri racconti di vita, di vite magari che il mondo scarta subito via. 

Enrico Baraldi con Nicola Borghesi a bordo della Sea-Watch 5 (foto di Luca Del Pia)

 P.S.: Chissà, forse nell’analisi dello spettro psicologico dello spettatore appassionato, dovrebbero entrare in gioco anche gli istinti di protezione nei confronti della specie dei teatranti. 

 Funzionano un po’ al contrario del meccanismo che gli allievi di Freud chiamano ‘effetto spettatore’, intendendo l’apatia che scatta rispetto a quel che subisce/prova/vive un’altra persona proprio di fronte al soggetto all’effetto di cui sopra; peraltro gli inglesi lo chiamano ‘bystander effect’, e quindi qualcosa a che fare con le tribune per il pubblico ce l’ha pure.

 E’ al rovescio di così che invece tira un sospiro di sollievo, il 14 maggio alla Fabbrica del Vapore di Milano, grazie all’intraprendenza delle solite ‘cattive ragazze’ di Zona K, anche il lato paterno del ‘boomer’ dramaholico, entrato un po’ in ansia dopo la prima di ‘A place of safety’. 

 Fa proprio piacere ritrovare i marziani teatrali di Kepler-452 in gran forma, con la meglio gioventù di amici e seguaci a circondarli, sempre un buon quarto d’ora prima dello spettacolo e poi ‘ad libitum’ dopo, mentre se ne stanno con grande tranquillità e non falsa modestia a salutare tutti. 

Paolo Martini • 

 ‘La zona blu’ che dà il titolo a questo diario del viaggio nel Mediterraneo con i soccorritori di Sea-Watch (base del lavoro da cui la compagnia Kepler-452 ha tratto ‘A place of safety’), è lo spazio dove vengono appoggiati a morire i naufraghi considerati subito casi disperati. Eppure, a differenza dello straordinario ‘politikolossal’ presentato all’Arena del Sole di Bologna il 27 febbraio, questa ‘lettura di appunti ai confini dell’Europa’ porta decisamente meno dentro la camera magmatica del dramma epocale di quest’olocausto migratorio. 

 E’ un lavoro d’una ben diversa crudezza, prima di tutto perché in questo caso non ci sono le testimonianze dei soccorritori. Ma anche nei racconti del narratore ‘La zona blu’ risulta poi quasi completamente diverso da ‘A place of safety’, che resta così tutto da scoprire per il grande pubblico atteso nell’impegnativa tournée autunnale.

Il regista Enrico Baraldi, il frontman Nicola Borghesi, l’angelo custode producer Roberta Gabriele e i ragazzi della compagnia bolognese batteranno decine di piazze, da Montpellier a Udine, da Prato a Torino, per non dire dei teatri dell’Emilia Romagna quasi al completo, e qualche giorno di metà dicembre persino il Piccolo Teatro Studio.

In vista delle repliche di ‘A place of safety’, ‘La zona blu’ è stato uno degli eventi del nuovo festival LIFE a Milano, ma verrà riproposto ancora dai kepleriani in questi prossimi mesi. In questo periodo, peraltro, la compagnia bolognese ha lodevolmente riportato in giro il piccolo gioiello di teatro-conversazione ‘Album’.

 Anche questo diario è ritagliato su misura di Nicola Borghesi, la cui cifra di autore e di attore s’apre decisamente spesso e volentieri al sorriso, alla battuta, al racconto con virate improvvise alla comicità, e invece dosa con sobrietà i crescendo verso l’indignazione. 

 Oltre al canovaccio degli appunti preparatori di ‘A place of safety’, in ‘La zona blu’ entrano in gioco un certo numero di immagini girate da Enrico Baraldi nelle varie situazioni di cui si parla e in modo altrettanto sobrio un accompagnamento musicale sorprendente, con la contrabbassista-musicista elettronica Francesca Boccolini, che in scena sembrava a tratti la prima spettatrice commossa da un racconto che davvero non lascia indifferenti.

 Caldeggiando comunque ai più sensibili, come per ‘A place of safety’, di dotarsi tempestivamente di citrosodina, gaviscon, geffer e diavolerie varie per frenare l’inevitabile motilità dello stomaco da complessi di colpa del borghese indifferente, che cosa si può dire alla fine di questo ‘La zona blu’?

 Senza voler spoilerare oltre misura, non si può però non prendere atto di una straordinaria chiusa ‘shakespeariana’ in cui Borghesi espone - forse bene come mai prima aveva fatto - la poetica stessa del teatro di Kepler-452. Lo fa attraverso il racconto sulle stelle che il comandante tedesco di Sea-Watch decide di tenere all’equipaggio sul ponte, durante la prima notte del ritorno dopo la missione, tracciando un’appassionata e competente mappa del cielo stellato, con relativi approfondimenti mitologici sui nomi. 

 Nell’artificio retorico finale il narratore che si è spinto un po’ disperatamente fino a ‘La zona blu’, riscopre proprio il suo ruolo in una sfida tanto ardua da apparire insensata, quale questa su un tema così caldo, contemplando l’immensità del cielo stellato dentro il cui infinito brillio poi si perderebbe tutto, se in realtà ciascun pianeta non avesse un nome o una storia, dove le storie che non si dimenticano per sempre sono soltanto quelle che vengono raccontate bene, così bene, addirittura, da sfiorare la creazione di miti.

 Che cosa può mai dire a questo punto lo spettatore appassionato, persino già kepleriano convinto? Alza le mani per gli applausi, ma idealmente ha già subito fatto il gesto di allargarle verso il basso, ‘eh beh’, come a ripetere il gesto istintivo della resa immediata all’ammirazione.               

 Peraltro, Baraldi e Borghesi potevano finire proprio malconci dopo questa impresa di ‘A place of safety’, anche personalmente, oltre che professionalmente. E invece no, sembrano rinati e persino ringiovaniti.

Più saldi ancora nella convinzione di voler fare questo teatro di storie di realtà, di voler aggiungere la luminescenza ad altri racconti di vita, di vite magari che il mondo scarta subito via. 

Enrico Baraldi con Nicola Borghesi a bordo della Sea-Watch 5 (foto di Luca Del Pia)

 P.S.: Chissà, forse nell’analisi dello spettro psicologico dello spettatore appassionato, dovrebbero entrare in gioco anche gli istinti di protezione nei confronti della specie dei teatranti. 

 Funzionano un po’ al contrario del meccanismo che gli allievi di Freud chiamano ‘effetto spettatore’, intendendo l’apatia che scatta rispetto a quel che subisce/prova/vive un’altra persona proprio di fronte al soggetto all’effetto di cui sopra; peraltro gli inglesi lo chiamano ‘bystander effect’, e quindi qualcosa a che fare con le tribune per il pubblico ce l’ha pure.

 E’ al rovescio di così che invece tira un sospiro di sollievo, il 14 maggio alla Fabbrica del Vapore di Milano, grazie all’intraprendenza delle solite ‘cattive ragazze’ di Zona K, anche il lato paterno del ‘boomer’ dramaholico, entrato un po’ in ansia dopo la prima di ‘A place of safety’. 

 Fa proprio piacere ritrovare i marziani teatrali di Kepler-452 in gran forma, con la meglio gioventù di amici e seguaci a circondarli, sempre un buon quarto d’ora prima dello spettacolo e poi ‘ad libitum’ dopo, mentre se ne stanno con grande tranquillità e non falsa modestia a salutare tutti. 

Allora, la vogliamo fare finalmente una benedetta polemica sul teatro di realtà e su chi sono poi i cattivi?!?

Paolo Martini • 

 ‘Gli altri. Indagine sui nuovissimi mostri’ è una sorta di cavallo di battaglia di Kepler 452, forse fino ad oggi lo spettacolo più rappresentato della sempre più nota compagnia bolognese del teatro politico di realtà. Risale al momento della ripresa da Covid, nel 2022, e in qualche modo offre una più immediata e divertente fruizione rispetto al successivo gioiello malinconico e toccante, ‘Album’, che è del ’23 e solo ora, pian piano, si sta ritagliando lo spazio che merita, cominciando a ricevere pure i primi prestigiosi inviti all’estero. 

 Sul piano del contenuto vero e proprio, ‘Gli altri’ va a centrare il tema della nostra fragilità nel mondo del risentimento social-mediatico, a partire dalla ricostruzione del tentativo di raccontare la storia del pizzaiolo Mario che a Lampedusa gridò gli insulti peggiori all’indirizzo di Carola Rackete, fatta sbarcare in manette dalla Sea-Watch, nell’estate del 2019, salvo poi pentirsene quasi subito e chiedere scusa a mezzo stampa. 

 Nella produzione di Kepler 452 ‘Gli altri’ si può situare agli albori del ‘ciclo maggiore’ che ha segnato l’affermazione della compagnia bolognese. S’intende la fase in corso, in questo stesso periodo, dove si è avuta la maturazione dei due spettacoli più importanti, ‘Il Capitale’ e ‘A place of safety’, di grande impatto e di forte richiamo, non solo nazionale, inframmezzati appunto da quell’esperimento quasi perfetto di conversazione teatrale che è ’Album’.

Visto con il senno di poi, nel 2025, questo spettacolo di tre anni fa costituisce anche la vera e propria tappa di avvicinamento al tema dei soccorsi ai migranti nel Mediterraneo.

 Nel frattempo, peraltro, il frontman Nicola Borghesi ha consolidato anche la sua variegata esperienza di scena con alcune collaborazioni ‘esterne’. L’impegno più recente, con un aut-attore giovane ma già affermato come Niccolò Fettarappa, s’intitola ‘Uno spettacolo italiano’, ed è il paradossale racconto della clamorosa conversione a destra di due comici della sinistra militante (nei titoli si cita anche un ‘contributo intellettuale di Christian Raimo’), e sbarcherà addirittura al grande Festival de l’Unità di Modena. 

 Anche il regista co-autore Enrico Baraldi, che con Borghesi costituisce l’asse portante della compagnia, ha fatto fortunate esperienze in proprio: questa libertà di manovra evidentemente contribuisce a dar respiro a entrambi, lasciando - s’immagina - forse anche un certo spazio agli altri ‘kepleriani’. Il cielo lassù sopra Bologna, peraltro, non è mai così fisso: partendo dal primo esempio, il braccio operativo della compagnia, Roberta Gabriele, oltre a fare il producer lavora in alcuni spettacoli come aiuto regista.

 Il compagno stesso d’avventura di Borghesi negli ‘Gli altri’, Andrea Bovaia, che sul libretto di lavoro ex Enpals si sarà registrato, in quanto ‘macchinista’, ai codici sopra il 100, in questo caso, come in ‘Album’, compare alla voce ‘ideazione tecnica’ in locandina, subito sotto alla riga sulla drammaturgia. Ché poi Bovaia, viene pure citato in scena da Borghesi, sempre alla ricerca di trovate per sbriciolare ‘la quarta parete’, e additato al pubblico come autore-suggeritore di una delle battute più efficaci della pièce.      

 Dove poi Borghesi trovi tutte le energie, anche solo per consumarsi così ne ‘Gli altri’, è un mistero che forse si spiega con la particolarissima ‘normalità’ con cui si lascia avvicinare a tu per tu dopo lo spettacolo, chiacchierando e scambiando saluti con tutti, come se ciascuno fosse davvero importante.

 Si ferma a mangiare una pizzetta al buffet con i ragazzi che hanno magari seguito fino a tre ore prima la sua master-class, com’è successo a Lomazzo nella replica d’inizio giugno. Spegne la sigaretta in cortile per rispondere soddisfatto alle educatissime signore che vorrebbero invitarlo a Erba ma, soprattutto, sognano di poter assistere alla prossima ripresa di ‘A place of safety’, in autunno, nel contesto del Festival del Mediterraneo di Montpellier. 

 Tra l’altro questa replica de ‘Gli altri’ a Lomazzo offre ai viandanti teatrali anche l’occasione d’incontrare Dimore creative, una bella realtà culturale di quella Lombardia di mezzo tra Milano e Como, tra Italia del profondo nord e Svizzera ticinese, con un tessuto sociale ancora vivace, dove la prosperità non sembra aver fatto tabula rasa dello spirito d’intraprendenza a 360 gradi.

 Dimore creative è una sorta di collettivo giovanile di appassionati di teatro, musica e arti varie, che organizza due piccole programmazione di qualità (una solo per i più piccoli, l’altra generalista) e varie iniziative di formazione. Tutto, sia chiaro, con quello spirito d’apertura reale al pubblico che i nostri teatri hanno completamente dimenticato: l’ultimo atto prima delle vacanze estive è precisamente quello di presentare e mettere in discussione con chiunque voglia partecipare la programmazione della prossima stagione.

 Si fa notare per standing anche il singolare spazio post-industriale che i ragazzi di Dimore creative hanno a disposizione, in co-abitazione con uno stilista di tendenza che ha qui l’atelier e show-room, proprio di fronte all’edificio dove ha sede l’Innovation Hub ComoNExT, a pochi metri da una Trattoria contemporanea che si è guadagnata la stella Michelin. 

Nicola Borghesi con cellulare in mano ne 'Gli altri'. Alle spalle le immagini del telegiornale sugli insulti urlati contro Carola Rackete nel porto di Lampedusa, nel giugno del 2019

 Per tornare a ‘Gli altri’, è un racconto di realtà che poggia la sua forza sulla non banalità del giudizio morale: in fondo sarebbe facile mettere in croce gli odiatori di Carola, o gli stessi suggeritori politici di queste ondate emotive (Salvini non viene nemmeno nominato), quasi come raccontare la biografia di Hitler o Mussolini per ribadire quanto siano stati i Peggiori Cattivi.

  Se il titolo ‘Gli altri. Indagine sui nuovissimi mostri’ fosse stato sic e simpliciter ‘Gli altri’ avrebbe indotto all’aggiunta di ‘siamo noi’ per facile automatismo canzonettistico. E lo spettacolo propone proprio il tentativo di allargare a tutti, e direttamente ai presenti, il suggerimento di una riflessione profonda su quanto i social-media ci stiano cambiando e su quanto risentimento ormai giace insepolto dentro ciascuno di noi.

Gli altri, ai quali facilmente attribuiamo i peggiori comportamenti, addirittura 'mostruosi', siamo appunto anche tutti noi.

 Borghesi fa vivere il testo con la massima naturalezza, seppur nell’altalena più impegnativa tra divertimento e indignazione, provandosi anche a calare nei panni dell’insultatore da banchina di Lampedusa.

Il meccanismo narrativo poggia sul racconto trasparente della costruzione dello stesso spettacolo, ma non è propriamente meta-teatrale, forse soltanto post-teatrale, basandosi anche così apertamente sul dialogo diretto con i presenti.

 Ecco, un buon programmatore teatrale, magari il prossimo nominando direttore di ERT Emilia Romagna Teatro - si parla di Elena Di Gioia, che conosce molto bene Kepler 452 avendo lavorato a Bologna in Comune proprio nel settore cultura e spettacolo -, potrebbe organizzare un’opportuna mini-rassegna con ‘Gli altri’, ‘Il Capitale’, ‘Album’ e ‘La Zona Blu’. Quest’ultimo è poi il diario di preparazione di ‘A place of safety’, spettacolo kolossal di complesso allestimento, prevedendo anche la presenza in scena di soccorritori che devono arrivare da mezzo mondo in un momento in cui non sono in mare con le rispettive Ong.

 Per dare pane al pane e vino al vino, ‘Gli altri’ è firmato da Nicola Borghesi con il drammaturgo Riccardo Tabilio, che con lo stesso Borghesi e Baraldi ha scritto anche ‘Album’. Classe 1987, nato a Riva del Garda, eclettico autore formatosi tra Milano e Bologna, Tabilio è stato dal 2020 un nome di casa a Zona K, contesto in cui ha avuto addirittura occasione di collaborare con Rimini Protokoll - il collettivo tedesco punto di riferimento anche di Kepler 452 - in un progetto varato a Milano per questa vivace associazione capofila del rinnovamento e del post-teatro documentario e politico. 

 Il 10 giugno, proprio nell’ex garage in zona Isola dove ha sede il bel gruppo di ‘Kattive ragazze’, nell’ambito della seconda parte del nuovo festival LIFE, il regista d’origini ucraino-slovacche Boris Nikitin è stato invitato a riprendere il suo ‘Magda Toffler or an Essay on Silence’.

E' un singolare racconto a metà strada tra la ricerca personale sulle origini ebraiche della nonna Magda e un piccolo Saggio sul Silenzio assoluto con cui fu accolto il discorso di Himmler a Poznan sull’obiettivo dell’annientamento della razza ebraica, rivolto a una quarantina di comandanti delle SS, in un momento del ’43 in cui era già evidente che i nazisti avrebbero perso la guerra.  

 Nikitin, che è di casa a Basilea, ha cominciato a preparare questo lavoro mentre portava in scena uno spettacolo con due performer, ‘Imitation of Life’, esplicitamente costruito per svelare la trappola del cosiddetto ‘teatro di realtà’ alla Rimini Protokoll.

E così ha preso corpo anche in Magda Toffler questa polemica tutta interna al mondo della scena, soprattutto germanofona, dove del resto ci si è accapigliati per anni intorno all’affermazione del ‘Postdramatisches Theater’. 

 In sostanza, l’accusa di Nikitin è relativa all’essenza stessa di non-verità del ‘teatro di realtà fatto con la realtà’, trattandosi di un’operazione comunque artefatta che si dichiara paradossalmente autentica. Contro queste pettinature della realtà Nikitin si spende in scena personalmente, dichiarandosi un non attore e leggendo seduto il suo racconto con due semplici spostamenti di sedia, spesso a testa china o ad occhi chiusi: il grado zero, o quasi, della rappresentazione.     

 Certo così, in questo apparente non-modo, l’efficacia del saggio sul silenzio, raddoppiato dalla ricostruzione del tenace nascondimento delle origini ebraiche da parte della nonna, risulta davvero inquietante, a freddo. E in questo caso ha un senso pieno la riduzione maniacale della teatralizzazione, per evitare l’auto-fiction. 

 Resta il dubbio di fondo legato alla stessa 'convenzione di realtà' tradizionale del teatro con il pubblico, tale per cui, nonostante la rinuncia assoluta all'artefazione e la scelta totale di un post-teatro, Nikitin stesso potrebbe aver fatto un lavoro d’invenzione e il risultato sarebbe altrettanto efficace.

Ancora, in definitiva persino il grado zero della rappresentazione può essere letto comunque come un inganno o un trick per rendere ancora più assolutista il racconto.

 Sembra di voler saltellare di palo in frasca, da ‘Gli altri’ a Nikitin attraverso la Zona K. E invece è particolarmente lodevole che siano proprio coloro che più si sono spesi per il rinnovamento e la sprovincializzazione portando in Italia il meglio del teatro europeo documentario e di realtà, a porsi degli interrogativi autocritici.

In attesa della risposta che hanno dato alla domanda sulla verità e la finzione gli Agrupación Señor Serrano in’The Mountains’, una costruzione davvero incantevole, che si potrà rivedere, sempre nell'ambito di LIFE, il 17/18 giugno al Teatro Out Off.             

Paolo Martini • 

 ‘Gli altri. Indagine sui nuovissimi mostri’ è una sorta di cavallo di battaglia di Kepler 452, forse fino ad oggi lo spettacolo più rappresentato della sempre più nota compagnia bolognese del teatro politico di realtà. Risale al momento della ripresa da Covid, nel 2022, e in qualche modo offre una più immediata e divertente fruizione rispetto al successivo gioiello malinconico e toccante, ‘Album’, che è del ’23 e solo ora, pian piano, si sta ritagliando lo spazio che merita, cominciando a ricevere pure i primi prestigiosi inviti all’estero. 

 Sul piano del contenuto vero e proprio, ‘Gli altri’ va a centrare il tema della nostra fragilità nel mondo del risentimento social-mediatico, a partire dalla ricostruzione del tentativo di raccontare la storia del pizzaiolo Mario che a Lampedusa gridò gli insulti peggiori all’indirizzo di Carola Rackete, fatta sbarcare in manette dalla Sea-Watch, nell’estate del 2019, salvo poi pentirsene quasi subito e chiedere scusa a mezzo stampa. 

 Nella produzione di Kepler 452 ‘Gli altri’ si può situare agli albori del ‘ciclo maggiore’ che ha segnato l’affermazione della compagnia bolognese. S’intende la fase in corso, in questo stesso periodo, dove si è avuta la maturazione dei due spettacoli più importanti, ‘Il Capitale’ e ‘A place of safety’, di grande impatto e di forte richiamo, non solo nazionale, inframmezzati appunto da quell’esperimento quasi perfetto di conversazione teatrale che è ’Album’.

Visto con il senno di poi, nel 2025, questo spettacolo di tre anni fa costituisce anche la vera e propria tappa di avvicinamento al tema dei soccorsi ai migranti nel Mediterraneo.

 Nel frattempo, peraltro, il frontman Nicola Borghesi ha consolidato anche la sua variegata esperienza di scena con alcune collaborazioni ‘esterne’. L’impegno più recente, con un aut-attore giovane ma già affermato come Niccolò Fettarappa, s’intitola ‘Uno spettacolo italiano’, ed è il paradossale racconto della clamorosa conversione a destra di due comici della sinistra militante (nei titoli si cita anche un ‘contributo intellettuale di Christian Raimo’), e sbarcherà addirittura al grande Festival de l’Unità di Modena. 

 Anche il regista co-autore Enrico Baraldi, che con Borghesi costituisce l’asse portante della compagnia, ha fatto fortunate esperienze in proprio: questa libertà di manovra evidentemente contribuisce a dar respiro a entrambi, lasciando - s’immagina - forse anche un certo spazio agli altri ‘kepleriani’. Il cielo lassù sopra Bologna, peraltro, non è mai così fisso: partendo dal primo esempio, il braccio operativo della compagnia, Roberta Gabriele, oltre a fare il producer lavora in alcuni spettacoli come aiuto regista.

 Il compagno stesso d’avventura di Borghesi negli ‘Gli altri’, Andrea Bovaia, che sul libretto di lavoro ex Enpals si sarà registrato, in quanto ‘macchinista’, ai codici sopra il 100, in questo caso, come in ‘Album’, compare alla voce ‘ideazione tecnica’ in locandina, subito sotto alla riga sulla drammaturgia. Ché poi Bovaia, viene pure citato in scena da Borghesi, sempre alla ricerca di trovate per sbriciolare ‘la quarta parete’, e additato al pubblico come autore-suggeritore di una delle battute più efficaci della pièce.      

 Dove poi Borghesi trovi tutte le energie, anche solo per consumarsi così ne ‘Gli altri’, è un mistero che forse si spiega con la particolarissima ‘normalità’ con cui si lascia avvicinare a tu per tu dopo lo spettacolo, chiacchierando e scambiando saluti con tutti, come se ciascuno fosse davvero importante.

 Si ferma a mangiare una pizzetta al buffet con i ragazzi che hanno magari seguito fino a tre ore prima la sua master-class, com’è successo a Lomazzo nella replica d’inizio giugno. Spegne la sigaretta in cortile per rispondere soddisfatto alle educatissime signore che vorrebbero invitarlo a Erba ma, soprattutto, sognano di poter assistere alla prossima ripresa di ‘A place of safety’, in autunno, nel contesto del Festival del Mediterraneo di Montpellier. 

 Tra l’altro questa replica de ‘Gli altri’ a Lomazzo offre ai viandanti teatrali anche l’occasione d’incontrare Dimore creative, una bella realtà culturale di quella Lombardia di mezzo tra Milano e Como, tra Italia del profondo nord e Svizzera ticinese, con un tessuto sociale ancora vivace, dove la prosperità non sembra aver fatto tabula rasa dello spirito d’intraprendenza a 360 gradi.

 Dimore creative è una sorta di collettivo giovanile di appassionati di teatro, musica e arti varie, che organizza due piccole programmazione di qualità (una solo per i più piccoli, l’altra generalista) e varie iniziative di formazione. Tutto, sia chiaro, con quello spirito d’apertura reale al pubblico che i nostri teatri hanno completamente dimenticato: l’ultimo atto prima delle vacanze estive è precisamente quello di presentare e mettere in discussione con chiunque voglia partecipare la programmazione della prossima stagione.

 Si fa notare per standing anche il singolare spazio post-industriale che i ragazzi di Dimore creative hanno a disposizione, in co-abitazione con uno stilista di tendenza che ha qui l’atelier e show-room, proprio di fronte all’edificio dove ha sede l’Innovation Hub ComoNExT, a pochi metri da una Trattoria contemporanea che si è guadagnata la stella Michelin. 

Nicola Borghesi con cellulare in mano ne 'Gli altri'. Alle spalle le immagini del telegiornale sugli insulti urlati contro Carola Rackete nel porto di Lampedusa, nel giugno del 2019

 Per tornare a ‘Gli altri’, è un racconto di realtà che poggia la sua forza sulla non banalità del giudizio morale: in fondo sarebbe facile mettere in croce gli odiatori di Carola, o gli stessi suggeritori politici di queste ondate emotive (Salvini non viene nemmeno nominato), quasi come raccontare la biografia di Hitler o Mussolini per ribadire quanto siano stati i Peggiori Cattivi.

  Se il titolo ‘Gli altri. Indagine sui nuovissimi mostri’ fosse stato sic e simpliciter ‘Gli altri’ avrebbe indotto all’aggiunta di ‘siamo noi’ per facile automatismo canzonettistico. E lo spettacolo propone proprio il tentativo di allargare a tutti, e direttamente ai presenti, il suggerimento di una riflessione profonda su quanto i social-media ci stiano cambiando e su quanto risentimento ormai giace insepolto dentro ciascuno di noi.

Gli altri, ai quali facilmente attribuiamo i peggiori comportamenti, addirittura 'mostruosi', siamo appunto anche tutti noi.

 Borghesi fa vivere il testo con la massima naturalezza, seppur nell’altalena più impegnativa tra divertimento e indignazione, provandosi anche a calare nei panni dell’insultatore da banchina di Lampedusa.

Il meccanismo narrativo poggia sul racconto trasparente della costruzione dello stesso spettacolo, ma non è propriamente meta-teatrale, forse soltanto post-teatrale, basandosi anche così apertamente sul dialogo diretto con i presenti.

 Ecco, un buon programmatore teatrale, magari il prossimo nominando direttore di ERT Emilia Romagna Teatro - si parla di Elena Di Gioia, che conosce molto bene Kepler 452 avendo lavorato a Bologna in Comune proprio nel settore cultura e spettacolo -, potrebbe organizzare un’opportuna mini-rassegna con ‘Gli altri’, ‘Il Capitale’, ‘Album’ e ‘La Zona Blu’. Quest’ultimo è poi il diario di preparazione di ‘A place of safety’, spettacolo kolossal di complesso allestimento, prevedendo anche la presenza in scena di soccorritori che devono arrivare da mezzo mondo in un momento in cui non sono in mare con le rispettive Ong.

 Per dare pane al pane e vino al vino, ‘Gli altri’ è firmato da Nicola Borghesi con il drammaturgo Riccardo Tabilio, che con lo stesso Borghesi e Baraldi ha scritto anche ‘Album’. Classe 1987, nato a Riva del Garda, eclettico autore formatosi tra Milano e Bologna, Tabilio è stato dal 2020 un nome di casa a Zona K, contesto in cui ha avuto addirittura occasione di collaborare con Rimini Protokoll - il collettivo tedesco punto di riferimento anche di Kepler 452 - in un progetto varato a Milano per questa vivace associazione capofila del rinnovamento e del post-teatro documentario e politico. 

 Il 10 giugno, proprio nell’ex garage in zona Isola dove ha sede il bel gruppo di ‘Kattive ragazze’, nell’ambito della seconda parte del nuovo festival LIFE, il regista d’origini ucraino-slovacche Boris Nikitin è stato invitato a riprendere il suo ‘Magda Toffler or an Essay on Silence’.

E' un singolare racconto a metà strada tra la ricerca personale sulle origini ebraiche della nonna Magda e un piccolo Saggio sul Silenzio assoluto con cui fu accolto il discorso di Himmler a Poznan sull’obiettivo dell’annientamento della razza ebraica, rivolto a una quarantina di comandanti delle SS, in un momento del ’43 in cui era già evidente che i nazisti avrebbero perso la guerra.  

 Nikitin, che è di casa a Basilea, ha cominciato a preparare questo lavoro mentre portava in scena uno spettacolo con due performer, ‘Imitation of Life’, esplicitamente costruito per svelare la trappola del cosiddetto ‘teatro di realtà’ alla Rimini Protokoll.

E così ha preso corpo anche in Magda Toffler questa polemica tutta interna al mondo della scena, soprattutto germanofona, dove del resto ci si è accapigliati per anni intorno all’affermazione del ‘Postdramatisches Theater’. 

 In sostanza, l’accusa di Nikitin è relativa all’essenza stessa di non-verità del ‘teatro di realtà fatto con la realtà’, trattandosi di un’operazione comunque artefatta che si dichiara paradossalmente autentica. Contro queste pettinature della realtà Nikitin si spende in scena personalmente, dichiarandosi un non attore e leggendo seduto il suo racconto con due semplici spostamenti di sedia, spesso a testa china o ad occhi chiusi: il grado zero, o quasi, della rappresentazione.     

 Certo così, in questo apparente non-modo, l’efficacia del saggio sul silenzio, raddoppiato dalla ricostruzione del tenace nascondimento delle origini ebraiche da parte della nonna, risulta davvero inquietante, a freddo. E in questo caso ha un senso pieno la riduzione maniacale della teatralizzazione, per evitare l’auto-fiction. 

 Resta il dubbio di fondo legato alla stessa 'convenzione di realtà' tradizionale del teatro con il pubblico, tale per cui, nonostante la rinuncia assoluta all'artefazione e la scelta totale di un post-teatro, Nikitin stesso potrebbe aver fatto un lavoro d’invenzione e il risultato sarebbe altrettanto efficace.

Ancora, in definitiva persino il grado zero della rappresentazione può essere letto comunque come un inganno o un trick per rendere ancora più assolutista il racconto.

 Sembra di voler saltellare di palo in frasca, da ‘Gli altri’ a Nikitin attraverso la Zona K. E invece è particolarmente lodevole che siano proprio coloro che più si sono spesi per il rinnovamento e la sprovincializzazione portando in Italia il meglio del teatro europeo documentario e di realtà, a porsi degli interrogativi autocritici.

In attesa della risposta che hanno dato alla domanda sulla verità e la finzione gli Agrupación Señor Serrano in’The Mountains’, una costruzione davvero incantevole, che si potrà rivedere, sempre nell'ambito di LIFE, il 17/18 giugno al Teatro Out Off.             

Che cos'è il teatro, oggi, cos'è la Polis? Ah, saperlo. Ormai è comunque una delle forme più vive di linguaggio dell'impegno

Paolo Martini • 

UN'ALLUVIONE TIRA L'ALTRO

Con un dibattito all’Auditorium Biagi di Salaborsa, a Bologna ha preso il via la settimana di appuntamenti 'Raccontare la catastrofe' ideata da Kepler-452. Le combinazioni del fato hanno voluto che - ben aldilà dell'occasione dei dieci anni di attività della compagnia teatrale e della presentazione di alcune repliche della conversazione-spettacolo 'Album', forse la miglior prova di Enrico Baraldi, Nicola Borghesi and Co. - in questa stessa settimana si registrasse un nuovo allarme legato a fenomeni di maltempo.

Si legge nella presentazione: 'Uno dei meccanismi più consolidati, di fronte a qualcosa di grande e terribile è quello della rimozione: fare finta di niente. Raccontarsi che nulla di grave sta succedendo e che tutto sommato le nostre vite continueranno più o meno nello stesso modo. A volte però la catastrofe viene a trovarci fin nelle nostre case, nei nostri posti di lavoro, là dove crediamo di essere al sicuro. A volte si presenta in forma di alluvione, altre di siccità, altre di una lettera di licenziamento in tronco, altre in forma di pandemia e lockdown. La strategia è sempre quella: affrontare la catastrofe, se strettamente necessario e poi ripartire da dove si era rimasti, business as usual, come è accaduto in Emilia-Romagna dopo l’alluvione del 2023.

Parte di questa rimozione ha certamente a che fare col fatto di non voler accettare che siamo nei guai e che, nella storia che riprende il suo cammino, dovremmo trovare un nostro posto, disabituati come siamo a cercarlo.

È difficile raccontare la catastrofe, perché nessuno, noi compresi, ha voglia di pensarci'.

LA ZONA BLU ARRIVA A MILANO

Dopo la settimana 'catastrofista' a casa propria, Kepler-452 onorerà il nuovo festival milanese Life organizzato da Zona K presentando 'La Zona Blu', una lettura di appunti in forma di diario di bordo, accompagnata da immagini documentarie originali, sul viaggio nel Mediterraneo a bordo di Sea-Watch5 che è stato la base di preparazione del nuovo spettacolo 'A Place of Safety'.

Questo ultimo lavoro ha debuttato al Teatro Arena del Sole di Bologna a febbraio del 2025 e tornerà compiutamente in scena nel prossimo autunno al festival del Mediterraneo che organizza il Théâtre des 13 vents a Montpellier.

Lo spettacolo teatrale vero e proprio prevede infatti la presenza di cinque soccoritori, che sono i protagonisti, esattamente come gli operai della ex-GKN lo erano nel fortunato precedente 'Il Capitale. Un libro che ancora non abbiamo letto'.

A proposito, durante la settimana 'Raccontare la catastrofe', ovvero fino all’11 maggio, nel foyer dell'Arena del Sole a Bologna un'installazione video intitolata 'Insorgiamo Insieme' e allestita da Jakob Brossmann, vedrà ancora gli operai della ex-GKN continuare a raccontare la loro lotta e la loro storia.

Un membro del colletivo di fabbrica, Dario Salvetti, ha poi collaborato con Kepler-452 proprio per la preparazione 'A place of Safety'. Teatro di realtà e realtà del teatro, alla fine, si tratta pur sempre di storie di vita e su questo piano Baraldi-Borghesi&Co. hanno già mostrato di saper magistralmente muoversi.

Anche per il poster della nuova iniziativa di Kepler-452 è di scena la realtà: una foto scattata a Faenza il 9 giugno 2023, dopo l'alluvione, da Michele Lapini

SALE L'ATTESA PER IL NUOVO 'LIFE'

Proprio sul profondo incrocio con la realtà si gioca tutta la nuova coraggiosa iniziativa di Zona K che si svolgerà fino al 21 giugno a Milano e si apre il 7 maggio nell'area dell'ex Fabbrica del Vapore. Come il logo stesso Life indica, con il richiamo alla celebre testata americana di fotogiornalismo, sarà un festival 'teatrale' in senso particolarissimo, senza concessioni al facile intrattenimento ma con una forte volontà d'impegno politico.

Scopo dichiarato è 'l’allargamento dello sguardo che chiede di andare oltre il bombardamento di informazioni, immagini ed eventi destinati a restare in superficie. Una modalità che si avvicina e si intreccia con l’inchiesta, divergendo in parte nel risultato: non informare, bensì stimolare, riflettere, creare connessioni e osare, dare al pubblico una responsabilità di interpretare quello che vede'.

Impressionante il fittissimo palinsesto di 'Life' intorno a metà maggio, con tocchi d'originalità unici, come 'The Cloud' di Arkadi Zaides che, il 12-13 maggio, esplora i fenomeni naturali/artificiali delle nuvole e la loro complessa relazione materiale e simbolica con l’azione umana, dalla nube tossica di Chernobyl al cloud dell’intelligenza artificiale.

Zaides, ballerino e coreografo di fama, con questo nuovo lavoro prodotto da laGeste, la compagnia belga di Alain Platel, vuole offrire 'un’inaspettata ibridazione tra gli aspetti documentari e fantasmatici delle sue tematiche e del suo dispositivo: dimostrare ciò che vuole considerare, e considerare ciò che vuole dimostrare, nel tempo della rappresentazione scenica'.

METTI LA DEMOCRAZIA IN SHOW

Il 13 maggio, in prima nazionale, Life presenta la conferenza spettacolo del giornalista tedesco Jean Peters, autore con CORRECTIV del primo scoop sul piano segreto contro la Germania delle reti di estremisti di destra, che farà il punto su quel che è successo dopo e sul caso controverso della legittimità politica di AfD.

Il 14, come già detto, Borghesi racconterà 'La Zona Blu' kepleriana, e poi, il 15-16 maggio, ecco un altro colpaccio internazionale di Zona K: il ritorno degli originalissimi Ontroerend Goed, collettivo belga in grado di esprimersi con una ricercatezza di linguaggio davvero unica.

Nel 2022, l'ultima volta che sono venuti a Milano, in Triennale Teatro hanno lasciato letteralmente a bocca aperta gli spettatori con 'Are we not drawn onward to new erA', uno spettacolo palindromo sul disastro ecologico ideato dal direttore artistico e regista Alexander Devrient.

A Life, invece, presenteranno la nuova edizione del classico 'Fight Night', creazione del 2013 che aveva portato il collettivo alla ribalta internazionale, con repliche dall’Australia al Canada, da Hong Kong alla Svizzera. A dieci anni dal debutto, gli Ontroerend Goed (ora associati a NTGent), ripropongono e rifanno da capo questo strano spettacolo interattivo, in cui a fare da protagonista è una democrazia in crisi, serrata da un generale sentimento di sfiducia della popolazione e dei partiti politici.

Una scena del nuovo 'Fight night' di Ontroerend Goed (foto di Michiel Devijver)
La citazione

Ne pas faire de films politiques mais faire des films politiquement

di Jean-Luc Godard

LA QUESTIONE DELLA POLITICA

Il fare 'politicamente' dello spettacolo, secondo la celebre citazione godardiana, è un po' la parola d'ordine di chi invece, pur condividendo gran parte delle ragioni di questo nuovo teatro impegnato, sceglie di attestarsi ancora coraggiosamente su di un linguaggio di teatro-teatro. Esempio aulico Eugenio Barba con Odin Teatret, proprio in questi stessi giorni di Life a Milano, al Teatro Menotti, con il nuovo 'Le nuvole di 'Amleto'.

In questa tradizione, che vanta ormai purtroppo pochi degni eredi, dai maestri della fedeltà poetica al teatro classico ci si può sentir obiettare apoditticamente, a proposito della rappresentazione dei drammi dei migranti: ‘Che cosa si potrà mai dire dopo Euripide? In ‘Ifigenia in Tauride’ chiunque sbarchi sulla costa come esule o migrante viene consegnato alla sacerdotessa e, dopo un dialogo conoscitivo, fatto a pezzi e sacrificato. Un giorno sbarcano dalla Grecia due migranti, li portano al cospetto della sacerdotessa la quale prima di ucciderli li interroga, e scopre che uno di loro è suo fratello. Non c’è altro da aggiungere’.

 Già, ma in effetti questi racconti di ‘realtà con la realtà’, come per esempio 'A place of safety', si possono tranquillamente definire ‘post-teatro’, a modello di Rimini Protokoll (che dalle sale teatrali sono ormai usciti fuori) e non si pongono nemmeno il problema di misurarsi con i classici, come hanno fatto e fanno ancora viceversa Milo Rau e i suoi allievi o imitatori.

Ma il dibattito sulle quote di realismo e d'impegno politico non deve distrarre da una situazione che, in prevalenza, vede purtroppo dominare quel teatro-teatrante da mestieranti, riassumibile nel titolo originale 'A failed entertainment' che David Foster Wallace aveva scelto per il suo capolavoro 'Infinite Jest'.

 A essere onesti, in mezzo a tante produzioni di costruzione astratta e in fondo d'intrattenimento cult, che magari piacciono ai critici e alle giurie dei premi, almeno in Italia, il genere che potremmo definire del post-teatro impegnato conosce una straordinaria e ammirevole vitalità. 

Paolo Martini • 

UN'ALLUVIONE TIRA L'ALTRO

Con un dibattito all’Auditorium Biagi di Salaborsa, a Bologna ha preso il via la settimana di appuntamenti 'Raccontare la catastrofe' ideata da Kepler-452. Le combinazioni del fato hanno voluto che - ben aldilà dell'occasione dei dieci anni di attività della compagnia teatrale e della presentazione di alcune repliche della conversazione-spettacolo 'Album', forse la miglior prova di Enrico Baraldi, Nicola Borghesi and Co. - in questa stessa settimana si registrasse un nuovo allarme legato a fenomeni di maltempo.

Si legge nella presentazione: 'Uno dei meccanismi più consolidati, di fronte a qualcosa di grande e terribile è quello della rimozione: fare finta di niente. Raccontarsi che nulla di grave sta succedendo e che tutto sommato le nostre vite continueranno più o meno nello stesso modo. A volte però la catastrofe viene a trovarci fin nelle nostre case, nei nostri posti di lavoro, là dove crediamo di essere al sicuro. A volte si presenta in forma di alluvione, altre di siccità, altre di una lettera di licenziamento in tronco, altre in forma di pandemia e lockdown. La strategia è sempre quella: affrontare la catastrofe, se strettamente necessario e poi ripartire da dove si era rimasti, business as usual, come è accaduto in Emilia-Romagna dopo l’alluvione del 2023.

Parte di questa rimozione ha certamente a che fare col fatto di non voler accettare che siamo nei guai e che, nella storia che riprende il suo cammino, dovremmo trovare un nostro posto, disabituati come siamo a cercarlo.

È difficile raccontare la catastrofe, perché nessuno, noi compresi, ha voglia di pensarci'.

LA ZONA BLU ARRIVA A MILANO

Dopo la settimana 'catastrofista' a casa propria, Kepler-452 onorerà il nuovo festival milanese Life organizzato da Zona K presentando 'La Zona Blu', una lettura di appunti in forma di diario di bordo, accompagnata da immagini documentarie originali, sul viaggio nel Mediterraneo a bordo di Sea-Watch5 che è stato la base di preparazione del nuovo spettacolo 'A Place of Safety'.

Questo ultimo lavoro ha debuttato al Teatro Arena del Sole di Bologna a febbraio del 2025 e tornerà compiutamente in scena nel prossimo autunno al festival del Mediterraneo che organizza il Théâtre des 13 vents a Montpellier.

Lo spettacolo teatrale vero e proprio prevede infatti la presenza di cinque soccoritori, che sono i protagonisti, esattamente come gli operai della ex-GKN lo erano nel fortunato precedente 'Il Capitale. Un libro che ancora non abbiamo letto'.

A proposito, durante la settimana 'Raccontare la catastrofe', ovvero fino all’11 maggio, nel foyer dell'Arena del Sole a Bologna un'installazione video intitolata 'Insorgiamo Insieme' e allestita da Jakob Brossmann, vedrà ancora gli operai della ex-GKN continuare a raccontare la loro lotta e la loro storia.

Un membro del colletivo di fabbrica, Dario Salvetti, ha poi collaborato con Kepler-452 proprio per la preparazione 'A place of Safety'. Teatro di realtà e realtà del teatro, alla fine, si tratta pur sempre di storie di vita e su questo piano Baraldi-Borghesi&Co. hanno già mostrato di saper magistralmente muoversi.

Anche per il poster della nuova iniziativa di Kepler-452 è di scena la realtà: una foto scattata a Faenza il 9 giugno 2023, dopo l'alluvione, da Michele Lapini

SALE L'ATTESA PER IL NUOVO 'LIFE'

Proprio sul profondo incrocio con la realtà si gioca tutta la nuova coraggiosa iniziativa di Zona K che si svolgerà fino al 21 giugno a Milano e si apre il 7 maggio nell'area dell'ex Fabbrica del Vapore. Come il logo stesso Life indica, con il richiamo alla celebre testata americana di fotogiornalismo, sarà un festival 'teatrale' in senso particolarissimo, senza concessioni al facile intrattenimento ma con una forte volontà d'impegno politico.

Scopo dichiarato è 'l’allargamento dello sguardo che chiede di andare oltre il bombardamento di informazioni, immagini ed eventi destinati a restare in superficie. Una modalità che si avvicina e si intreccia con l’inchiesta, divergendo in parte nel risultato: non informare, bensì stimolare, riflettere, creare connessioni e osare, dare al pubblico una responsabilità di interpretare quello che vede'.

Impressionante il fittissimo palinsesto di 'Life' intorno a metà maggio, con tocchi d'originalità unici, come 'The Cloud' di Arkadi Zaides che, il 12-13 maggio, esplora i fenomeni naturali/artificiali delle nuvole e la loro complessa relazione materiale e simbolica con l’azione umana, dalla nube tossica di Chernobyl al cloud dell’intelligenza artificiale.

Zaides, ballerino e coreografo di fama, con questo nuovo lavoro prodotto da laGeste, la compagnia belga di Alain Platel, vuole offrire 'un’inaspettata ibridazione tra gli aspetti documentari e fantasmatici delle sue tematiche e del suo dispositivo: dimostrare ciò che vuole considerare, e considerare ciò che vuole dimostrare, nel tempo della rappresentazione scenica'.

METTI LA DEMOCRAZIA IN SHOW

Il 13 maggio, in prima nazionale, Life presenta la conferenza spettacolo del giornalista tedesco Jean Peters, autore con CORRECTIV del primo scoop sul piano segreto contro la Germania delle reti di estremisti di destra, che farà il punto su quel che è successo dopo e sul caso controverso della legittimità politica di AfD.

Il 14, come già detto, Borghesi racconterà 'La Zona Blu' kepleriana, e poi, il 15-16 maggio, ecco un altro colpaccio internazionale di Zona K: il ritorno degli originalissimi Ontroerend Goed, collettivo belga in grado di esprimersi con una ricercatezza di linguaggio davvero unica.

Nel 2022, l'ultima volta che sono venuti a Milano, in Triennale Teatro hanno lasciato letteralmente a bocca aperta gli spettatori con 'Are we not drawn onward to new erA', uno spettacolo palindromo sul disastro ecologico ideato dal direttore artistico e regista Alexander Devrient.

A Life, invece, presenteranno la nuova edizione del classico 'Fight Night', creazione del 2013 che aveva portato il collettivo alla ribalta internazionale, con repliche dall’Australia al Canada, da Hong Kong alla Svizzera. A dieci anni dal debutto, gli Ontroerend Goed (ora associati a NTGent), ripropongono e rifanno da capo questo strano spettacolo interattivo, in cui a fare da protagonista è una democrazia in crisi, serrata da un generale sentimento di sfiducia della popolazione e dei partiti politici.

Una scena del nuovo 'Fight night' di Ontroerend Goed (foto di Michiel Devijver)
La citazione

Ne pas faire de films politiques mais faire des films politiquement

di Jean-Luc Godard

LA QUESTIONE DELLA POLITICA

Il fare 'politicamente' dello spettacolo, secondo la celebre citazione godardiana, è un po' la parola d'ordine di chi invece, pur condividendo gran parte delle ragioni di questo nuovo teatro impegnato, sceglie di attestarsi ancora coraggiosamente su di un linguaggio di teatro-teatro. Esempio aulico Eugenio Barba con Odin Teatret, proprio in questi stessi giorni di Life a Milano, al Teatro Menotti, con il nuovo 'Le nuvole di 'Amleto'.

In questa tradizione, che vanta ormai purtroppo pochi degni eredi, dai maestri della fedeltà poetica al teatro classico ci si può sentir obiettare apoditticamente, a proposito della rappresentazione dei drammi dei migranti: ‘Che cosa si potrà mai dire dopo Euripide? In ‘Ifigenia in Tauride’ chiunque sbarchi sulla costa come esule o migrante viene consegnato alla sacerdotessa e, dopo un dialogo conoscitivo, fatto a pezzi e sacrificato. Un giorno sbarcano dalla Grecia due migranti, li portano al cospetto della sacerdotessa la quale prima di ucciderli li interroga, e scopre che uno di loro è suo fratello. Non c’è altro da aggiungere’.

 Già, ma in effetti questi racconti di ‘realtà con la realtà’, come per esempio 'A place of safety', si possono tranquillamente definire ‘post-teatro’, a modello di Rimini Protokoll (che dalle sale teatrali sono ormai usciti fuori) e non si pongono nemmeno il problema di misurarsi con i classici, come hanno fatto e fanno ancora viceversa Milo Rau e i suoi allievi o imitatori.

Ma il dibattito sulle quote di realismo e d'impegno politico non deve distrarre da una situazione che, in prevalenza, vede purtroppo dominare quel teatro-teatrante da mestieranti, riassumibile nel titolo originale 'A failed entertainment' che David Foster Wallace aveva scelto per il suo capolavoro 'Infinite Jest'.

 A essere onesti, in mezzo a tante produzioni di costruzione astratta e in fondo d'intrattenimento cult, che magari piacciono ai critici e alle giurie dei premi, almeno in Italia, il genere che potremmo definire del post-teatro impegnato conosce una straordinaria e ammirevole vitalità. 

Facciamo una bella 'attività di ricerca sul campo': troviamo i nomi giusti per cambiare e riportare un po' di vita vera a teatro. 4/Kepler-452

Paolo Martini • 

 L’altra sera, alla fine di uno dei più importanti ‘spettacoloni’ di un primario ‘teatrone’, annoiati e ancora un po’ sgomenti per la sgangheratezza di cotanta produzione, alcuni dramaholici che s’alzavano lentamente dalle sedie hanno incrociato per i saluti un altro spettatore appassionato seriale, che per giunta è un po’ del mestiere. 

 All’immancabile giudizio sottovoce ‘tutto sbagliato, tutto da rifare’, ha fatto seguito la domanda: ma chi potrebbe mettere in scena, oggi, in Italia, un testo del genere, senza tradirne lo spirito? (perché si trattava di un grande classico tanto impolverato quanto impervio).

 Il solito ‘so-tutto-io’ ha trovato subito la risposta: ‘magari uno di quei due ragazzi di Bologna…sì, i kepleriani!’. E da uno degli altri che hanno annuito con un gran sorriso, si sentiva aggiungere: ‘già, sicuramente ci vogliono menti fresche, energie vere, idee originali, e bisogna credere per davvero in quello che si vuole dire’.

 Già, nella così sfibrata scena ufficiale italiana, dopo la fortuna di quel ‘Capitale…mai letto’, è come se fosse venuto alla luce il patrimonio immateriale di Kepler-452.

C’era qualcosa di promettente, del resto, già nella scelta di un marchio stellare (il 452b è uno dei pianeti più simili alla Terra tra quelli scoperti dal telescopio spaziale Kepler, il ‘cacciatore di esoplaneti’ della Nasa) per una compagnia teatrale che è nata, nel 2015 a Bologna, dall’incontro tra Nicola Borghesi, Enrico Baraldi, Paola Aiello e, per la parte organizzativa, prima Michela Buscema e poi, dal 2021, Roberta Gabriele.

 E’ abbastanza naturale che adesso vogliano e invochino anche a casaccio i kepleriani tutti quelli che hanno già avuto la possibilità di vedere ‘Il Capitale’, o il più recente ‘Album’, nominando ovviamente soprattutto il frontman Borghesi, attore in grado di reggere la scena persino accanto a mostri di bravura come Enzo Vetrano e Stefano Randisi(1), e l’autore-regista Baraldi, fresco di ripresa di un commovente ’Non tre sorelle’ con tre attrici ucraine. 

 E’ improprio trattare come emergenti Kepler-452 e il duo bolognese con la doppia B, aldilà dell’età (Baraldi è un classe 1993, Borghesi 1986): eppure, dato che siamo nell’Italia dell’obsolescenza culturale, sicuramente vanno iscritti tra i primi nomi che dimostrano quanto un grande ricambio generazionale nel teatro sia oggi possibile, oltre che auspicabile. 

 Per dirla con una battutaccia, vivaddio c’è vita oltre Ronconi! Oltre i soliti nomi dei teatroni, oltre le presunte scuole e le effettive camarille, oltre le pastette dei mediocri, che peraltro di diminutivo non hanno niente aldilà del termine, vista la quantità di denaro pubblico in questione.

Tanto per capirci, con il valore di un pezzo soltanto dell’inutile scenografia del pessimo spettacolone da cui siamo partiti, un collettivo ‘indie’ ci fa quasi un’intera stagione. Amen. 

 Per fortuna che esiste anche una scena europea di qualità, dove non mancano istituzioni che sono più sensibili al nuovo: ed ecco che, in questa fortunatissima stagione, ‘Il Capitale, un libro che non abbiamo ancora letto’ è in dirittura d’arrivo addirittura al FIND di Berlino, il prestigioso festival internazionale del New Drama.

Saranno gli unici italiani, i kepleriani con gli operai della GKN, che calcheranno il palcoscenico in tanto di sala Globe dello Schaubühne Theater, dal 20 aprile, per tre serate.

 Sia detto tra parentesi, interrompendo la lettura per cliccare sul cartellone di questi giorni dello stesso Schaubühne, potete sognare di andare a teatro in quel di Berlino e vedervi qualche regia di Tomas Ostermeir, compreso un ’Gabbiano’ presentato nel 2013, o il nuovo allestimento in inglese di ‘status quo’ firmato Marius von Mayenburg; così, per gradire, c’è pure la ripresa di uno degli spettacoli più belli e commoventi del dopo pandemia, ‘Everywoman’ di Milo Rau con Ursina Lardi (forse l’attrice più brava dell’Europa continentale). 

 Un bel respiro, e dopo una pausa d’obbligo nell’auditorium della brechtiana Berliner Ensemble, per l’ultima parte più radicale di ‘Min Kamp’ da Karl Ove Knausgård della provocatoria Yana Ross, si gira mese allo Schaubühne: prima del FIND, aprile s’inaugura con la prima mondiale di ‘Bad Kingdom’ di Falk Richter, ovvero un duro apologo sul mondo di oggi che parte dall’assunto ‘c’è qualcosa di marcio nel regno del presente’. Un pugno dritto nello stomaco, che viene accompagnato, alla voce ‘sensitive content’ in rosso, dall’avvertenza: ‘la produzione tematizza la violenza e contiene rappresentazioni esplicite di atti sessuali’.

 La scena teatrale è questa, il livello a Berlino è questo, i nomi dei registi sono questi: coraggio Nicola, non troverai facilmente nemmeno qualche pinta di una buona Ipa, perché nelle birrerie prevale ancora lo stile tedesco classico! Puoi sempre provare a vedere al pub italiano Birra, in Prenzlauer Allee, guarda caso a un km dalla cupola del Grande Planetario Zeiss, magari c’è ancora una ‘imperial’ Quarantot del Lambrate alla spina. 

 Scherzi e divagazioni a parte, in fondo, a Berlino, Baraldi e Borghesi, è un po’ come se ci fossero nati: nel senso che il teatro di Kepler-452 prende origine dalla loro passione di spettatori giramondo e in particolare da una lunga stagione passata a inseguire Rimini Protokoll per l’Europa.

Questo collettivo fondato da Helgard Haug, Daniel Wetzel con Stefan Kaegi come punto di riferimento, ha preso stanza a Berlino, dall’inizio degli anni Duemila, presso il teatro indipendente Hebbel am Ufer (HAU 1), nel cuore di Mitte, in quella Stresemannstraße che fu inglobata per decenni nella ’striscia della morte’ intorno al Muro.

L’HAU, com’è noto, è stato plasmato come culla delle avanguardie post-Duemila dal primo mitico direttore Matthias Lilienthal, che da drammaturgo a Basilea aveva lavorato con due nascenti guru del post-drammatico come Franck Castorf e Christoph Marthaler (e lì conosciuto anche Kaegi e i Rimini Protokoll, che sono svizzeri d’origine).  

 Tanto per non girare ancora troppo in tondo, tra i primi eventi teatrali di realtà firmati dai prolifici Rimini Protokoll c’è stata un’assemblea dei soci, con i rappresentanti degli operai, della fabbrica Daimler-Benz nel 2002 e nel 2007 hanno presentato, riscuotendo premi e consensi, ‘Karl Marx: Il Capitale, Primo Volume’. L’orizzonte di riferimento è appunto quello di una scena dove non ci sono attori che riproducono una parte imparata a memoria da un’opera teatrale letteraria, bensì persone che raccontano al pubblico qualcosa della loro vita: ‘esperti’, come li chiamano i Rimini Protokoll, per l’appunto della propria esperienza biografica e visione del mondo.

 Anche nel singolare spettacolo ‘Non Tre Sorelle’, che Enrico Baraldi ha allestito per il Teatro Metastasio di Prato - e che lodevolmente è stato riproposto in questi giorni da ERT nella sala sotto l’Arena del Sole di Bologna -, la vera storia di vita di tre giovane attrici scappate dalla guerra in Ucraina (Natalia e Julia Mykhalchuk con Anfisa Lazebna) viene scavata a partire dal pretesto di una messa in scena in sospeso del classico cechoviano (2), toccando quindi così bene anche il problema scottante del confronto con la cultura russa. 

 Lo spettacolo viene recitato in quattro lingue: le altre due interpreti, Susanna Acchiardi e Alice Conti, parlano quasi sempre italiano, ma poi s’intersecano inglese, ucraino e russo: il testo va seguito nei sopratitoli doppi, in italiano e in ucraino. Eppure, per tutti i settanta minuti della rappresentazione del 19 marzo scorso a Bologna, per esempio, nonostante ben due scolaresche di adolescenti in sala, non si è sentito letteralmente ‘volare una mosca’ (allusione che non spoileriamo oltre, al momento forse più esilarante di una piéce drammatica peraltro così intensa). 

 Va infine ascritto a merito di Giuliana De Sio, che si è aggiudicata soltanto quest’anno il premio Duse, di aver indicato proprio per la ‘menzione d’onore a una personalità emergente nell’interpretazione femminile’ il cast intero di questo ‘Non Tre Sorelle’.

Si è così raddoppiato il palmares kepleriano di queste ultime stagioni, dove campeggia il ‘Premio speciale per l’attività di ricerca sul campo’ arrivato a corollario dei vari regolari UBU 2023. 

 Ecco, a pensarci bene, senza offesa per nessuno, ‘hic Rhodus, hic salta’.

E’ pur vero che Kepler-452 pratichi un preciso genere di teatro per così dire documentario, piuttosto che sia diventata la compagnia protagonista del rinnovamento di un filone d'impegno politico che in Italia vanta illustri precedenti...

...ma la dice lunga sullo stato dell’arte anche solo il confino ipocrita a margine dei riconoscimenti ufficiali: un’elemosina, pur apprezzabilissima, della grande Giuliana De Sio per le straordinarie interpreti di ’Non tre sorelle’; uno dei sei marginali Ubu, ‘per l’attività di ricerca sul campo’ (sic!), a uno spettacolo che certo è stato tra i migliori in assoluto, come ‘Il Capitale’, di gran lunga più vivo - e/o anche soltanto meno noioso e tristemente borghese - di quasi tutti i titoli che arrivano alle varie nomination e statuette e targhe d’onore.

 E non sono certo i kepleriani, quelli che non si rendono conto di com’è urgente una radicale rifondazione del teatro italiano. Quand’era ancora solo ‘uno tra gli altri’ giovani autori impegnati e militanti, Nicola Borghesi aveva messo molto bene a fuoco, in un intervento pubblico durante la pandemia, la situazione del teatro italiano, e i guasti di una predominanza nelle sale di un ‘teatro rassicurante e spesso ornamentale, aderente a quella retorica della ‘bellezza che ci salverà’ che spesso si sente ripetere in televisione’.

 Ma è ancor più significativo, in effetti, il monologo d’autocoscienza che Borghesi interpreta a un certo punto proprio de ‘Il Capitale’, raccontando i suoi stessi pensieri e le preoccupazioni per così dire di natura etica che lo sopraffanno durante una pausa di ritorno a casa a Bologna, dopo il ‘lavoro di ricerca sul campo’ di settimane trascorse tra gli occupanti della GKN di Campo Bisenzio. 

 L’autore, l’attore e soprattutto la persona, dopo un’esperienza del genere, si ritrovano totalmente fuori luogo nel ritorno alla piacevole normalità, come se il comodo divano di casa fosse diventato più disagevole della brandina da campeggio in un angolo della fabbrica in via di dismissione.

 E’ un’invettiva vera e propria, fatta davanti a uno specchio ideale con su scritto ‘Fuck you’, del genere che a qualche dramaholico evoca vagamente la spettacolare tirata anti-newyorchese di Edward Norton per Spike Lee nella ‘25ma ora’ (‘Yeah, fuck you, too. Fuck me? Fuck you, Fuck you and this whole city and everyone in it’): solo che questa volta è la città del teatro al centro di un’analisi lucida e fredda, che tanti del mestiere dovrebbero cominciare a leggere e meditare.

Nella foto di Bea Borgers, tra gli operai del collettivo di fabbrica della GKN, Enrico Baraldi (da sinistra, il terzo, dietro, in camicia), e Nicola Borghesi, che mostra 'Il Capitale' di Marx

 FUCK YOU, TEATRANTE MESTIERANTE E WOKE

 (il titolo è nostro, il testo dal Capitale di Borghesi e Baraldi)

 …Odiavo noi teatranti che in questi anni ci siamo occupati di moda, di glamour, di grandi apparati, delle performance, che cazzo performiamo. 

 Odio quelli che hanno fatto politica, che si sono preoccupati del cambiamento climatico senza pensare che cambiare il modo di produzione delle merci dalle fondamenta è l’unica possibilità di salvare questo pianeta al collasso.

 Odio chi si è accontentato di linguaggi inclusivi, asterischi, schwa, diritti civili, splendide astrazioni solo e soltanto per rimuovere che le merci, le cazzo di merci le fa qualcuno. 

 Qualcuno, per tutta la sua vita, fa le merci che noi non facciamo. E noi è l’unica cosa che davvero non vogliamo sapere. 

 Qualcuno che non incontriamo mai fa le cazzo di merci, di giorno, di notte, all’alba in dei posti dimenticati da dio che vogliamo giustamente rimuovere dalla nostra vista perché fanno schifo e puzzano di morchia e chimica. 

 Qualcuno fa le merci, idioti.

 E ancora di più odio me stesso che in una fabbrica ci sono capitato solo per farci uno spettacolo, solo per leggere un libro che non ho nemmeno finito, e che dopo questo spettacolo in una fabbrica non ci rientrerò mai più. 

 Perché mi interessa solo del teatro, solo che questo spettacolo sia bellissimo, e poi di farne un altro, con una produzione ancora più grande, più luci, più tecnici, più biglietti, più soldi,

 perché io in quella fabbrica ci sono entrato solo per produrre. 

 Pezzi. Pezzi. Pezzi.

Ancora Baraldi con Borghesi al lavoro durate una prova (foto di Luca Del Pia)

NOTE

A MARGINE DELLA SQUISITA PROVA E DI UN GIARDINO DEL 2018

(1) Lo spettacolo ‘Grazie della squisita prova’, nato dall’incontro casuale tra Vetrano e Randisi e Kepler-452, torna in scena per una mini-tournée dopo il lungo impegno dei due attori con Terzopoulos per ‘Aspettando Godot’. ‘Grazie della squisita prova’ riparte da Rubiera il 3 aprile, passa da Chianciano il 6, fa tappa il 13 aprile a Imola, dove i due attori sono di casa, e poi a maggio arriverà in Sicilia, terra d’origine di Vetrano e Randisi, che in scena rievocano persino gli esordi familiari da bambini, il 22 maggio a Palermo e il 23 a Noto.

(2) Non è il primo 'non-Cechov' di Kepler-452, che nel 2018 si era fatta notare da Ert per aver proposto, con tanto di Lodo Guenzi dello Stato Sociale e Paola Ajello in scena, ‘Il giardino dei ciliegi. Trent’anni di felicità in comodato d’uso’, che nasceva dalla storia vera di Giuliano e Annalisa Bianchi, che per trent’anni hanno vissuto in una casa colonica concessa in comodato d’uso gratuito dal Comune nella periferia di Bologna e che sono stati poi sfrattati.

Paolo Martini • 

 L’altra sera, alla fine di uno dei più importanti ‘spettacoloni’ di un primario ‘teatrone’, annoiati e ancora un po’ sgomenti per la sgangheratezza di cotanta produzione, alcuni dramaholici che s’alzavano lentamente dalle sedie hanno incrociato per i saluti un altro spettatore appassionato seriale, che per giunta è un po’ del mestiere. 

 All’immancabile giudizio sottovoce ‘tutto sbagliato, tutto da rifare’, ha fatto seguito la domanda: ma chi potrebbe mettere in scena, oggi, in Italia, un testo del genere, senza tradirne lo spirito? (perché si trattava di un grande classico tanto impolverato quanto impervio).

 Il solito ‘so-tutto-io’ ha trovato subito la risposta: ‘magari uno di quei due ragazzi di Bologna…sì, i kepleriani!’. E da uno degli altri che hanno annuito con un gran sorriso, si sentiva aggiungere: ‘già, sicuramente ci vogliono menti fresche, energie vere, idee originali, e bisogna credere per davvero in quello che si vuole dire’.

 Già, nella così sfibrata scena ufficiale italiana, dopo la fortuna di quel ‘Capitale…mai letto’, è come se fosse venuto alla luce il patrimonio immateriale di Kepler-452.

C’era qualcosa di promettente, del resto, già nella scelta di un marchio stellare (il 452b è uno dei pianeti più simili alla Terra tra quelli scoperti dal telescopio spaziale Kepler, il ‘cacciatore di esoplaneti’ della Nasa) per una compagnia teatrale che è nata, nel 2015 a Bologna, dall’incontro tra Nicola Borghesi, Enrico Baraldi, Paola Aiello e, per la parte organizzativa, prima Michela Buscema e poi, dal 2021, Roberta Gabriele.

 E’ abbastanza naturale che adesso vogliano e invochino anche a casaccio i kepleriani tutti quelli che hanno già avuto la possibilità di vedere ‘Il Capitale’, o il più recente ‘Album’, nominando ovviamente soprattutto il frontman Borghesi, attore in grado di reggere la scena persino accanto a mostri di bravura come Enzo Vetrano e Stefano Randisi(1), e l’autore-regista Baraldi, fresco di ripresa di un commovente ’Non tre sorelle’ con tre attrici ucraine. 

 E’ improprio trattare come emergenti Kepler-452 e il duo bolognese con la doppia B, aldilà dell’età (Baraldi è un classe 1993, Borghesi 1986): eppure, dato che siamo nell’Italia dell’obsolescenza culturale, sicuramente vanno iscritti tra i primi nomi che dimostrano quanto un grande ricambio generazionale nel teatro sia oggi possibile, oltre che auspicabile. 

 Per dirla con una battutaccia, vivaddio c’è vita oltre Ronconi! Oltre i soliti nomi dei teatroni, oltre le presunte scuole e le effettive camarille, oltre le pastette dei mediocri, che peraltro di diminutivo non hanno niente aldilà del termine, vista la quantità di denaro pubblico in questione.

Tanto per capirci, con il valore di un pezzo soltanto dell’inutile scenografia del pessimo spettacolone da cui siamo partiti, un collettivo ‘indie’ ci fa quasi un’intera stagione. Amen. 

 Per fortuna che esiste anche una scena europea di qualità, dove non mancano istituzioni che sono più sensibili al nuovo: ed ecco che, in questa fortunatissima stagione, ‘Il Capitale, un libro che non abbiamo ancora letto’ è in dirittura d’arrivo addirittura al FIND di Berlino, il prestigioso festival internazionale del New Drama.

Saranno gli unici italiani, i kepleriani con gli operai della GKN, che calcheranno il palcoscenico in tanto di sala Globe dello Schaubühne Theater, dal 20 aprile, per tre serate.

 Sia detto tra parentesi, interrompendo la lettura per cliccare sul cartellone di questi giorni dello stesso Schaubühne, potete sognare di andare a teatro in quel di Berlino e vedervi qualche regia di Tomas Ostermeir, compreso un ’Gabbiano’ presentato nel 2013, o il nuovo allestimento in inglese di ‘status quo’ firmato Marius von Mayenburg; così, per gradire, c’è pure la ripresa di uno degli spettacoli più belli e commoventi del dopo pandemia, ‘Everywoman’ di Milo Rau con Ursina Lardi (forse l’attrice più brava dell’Europa continentale). 

 Un bel respiro, e dopo una pausa d’obbligo nell’auditorium della brechtiana Berliner Ensemble, per l’ultima parte più radicale di ‘Min Kamp’ da Karl Ove Knausgård della provocatoria Yana Ross, si gira mese allo Schaubühne: prima del FIND, aprile s’inaugura con la prima mondiale di ‘Bad Kingdom’ di Falk Richter, ovvero un duro apologo sul mondo di oggi che parte dall’assunto ‘c’è qualcosa di marcio nel regno del presente’. Un pugno dritto nello stomaco, che viene accompagnato, alla voce ‘sensitive content’ in rosso, dall’avvertenza: ‘la produzione tematizza la violenza e contiene rappresentazioni esplicite di atti sessuali’.

 La scena teatrale è questa, il livello a Berlino è questo, i nomi dei registi sono questi: coraggio Nicola, non troverai facilmente nemmeno qualche pinta di una buona Ipa, perché nelle birrerie prevale ancora lo stile tedesco classico! Puoi sempre provare a vedere al pub italiano Birra, in Prenzlauer Allee, guarda caso a un km dalla cupola del Grande Planetario Zeiss, magari c’è ancora una ‘imperial’ Quarantot del Lambrate alla spina. 

 Scherzi e divagazioni a parte, in fondo, a Berlino, Baraldi e Borghesi, è un po’ come se ci fossero nati: nel senso che il teatro di Kepler-452 prende origine dalla loro passione di spettatori giramondo e in particolare da una lunga stagione passata a inseguire Rimini Protokoll per l’Europa.

Questo collettivo fondato da Helgard Haug, Daniel Wetzel con Stefan Kaegi come punto di riferimento, ha preso stanza a Berlino, dall’inizio degli anni Duemila, presso il teatro indipendente Hebbel am Ufer (HAU 1), nel cuore di Mitte, in quella Stresemannstraße che fu inglobata per decenni nella ’striscia della morte’ intorno al Muro.

L’HAU, com’è noto, è stato plasmato come culla delle avanguardie post-Duemila dal primo mitico direttore Matthias Lilienthal, che da drammaturgo a Basilea aveva lavorato con due nascenti guru del post-drammatico come Franck Castorf e Christoph Marthaler (e lì conosciuto anche Kaegi e i Rimini Protokoll, che sono svizzeri d’origine).  

 Tanto per non girare ancora troppo in tondo, tra i primi eventi teatrali di realtà firmati dai prolifici Rimini Protokoll c’è stata un’assemblea dei soci, con i rappresentanti degli operai, della fabbrica Daimler-Benz nel 2002 e nel 2007 hanno presentato, riscuotendo premi e consensi, ‘Karl Marx: Il Capitale, Primo Volume’. L’orizzonte di riferimento è appunto quello di una scena dove non ci sono attori che riproducono una parte imparata a memoria da un’opera teatrale letteraria, bensì persone che raccontano al pubblico qualcosa della loro vita: ‘esperti’, come li chiamano i Rimini Protokoll, per l’appunto della propria esperienza biografica e visione del mondo.

 Anche nel singolare spettacolo ‘Non Tre Sorelle’, che Enrico Baraldi ha allestito per il Teatro Metastasio di Prato - e che lodevolmente è stato riproposto in questi giorni da ERT nella sala sotto l’Arena del Sole di Bologna -, la vera storia di vita di tre giovane attrici scappate dalla guerra in Ucraina (Natalia e Julia Mykhalchuk con Anfisa Lazebna) viene scavata a partire dal pretesto di una messa in scena in sospeso del classico cechoviano (2), toccando quindi così bene anche il problema scottante del confronto con la cultura russa. 

 Lo spettacolo viene recitato in quattro lingue: le altre due interpreti, Susanna Acchiardi e Alice Conti, parlano quasi sempre italiano, ma poi s’intersecano inglese, ucraino e russo: il testo va seguito nei sopratitoli doppi, in italiano e in ucraino. Eppure, per tutti i settanta minuti della rappresentazione del 19 marzo scorso a Bologna, per esempio, nonostante ben due scolaresche di adolescenti in sala, non si è sentito letteralmente ‘volare una mosca’ (allusione che non spoileriamo oltre, al momento forse più esilarante di una piéce drammatica peraltro così intensa). 

 Va infine ascritto a merito di Giuliana De Sio, che si è aggiudicata soltanto quest’anno il premio Duse, di aver indicato proprio per la ‘menzione d’onore a una personalità emergente nell’interpretazione femminile’ il cast intero di questo ‘Non Tre Sorelle’.

Si è così raddoppiato il palmares kepleriano di queste ultime stagioni, dove campeggia il ‘Premio speciale per l’attività di ricerca sul campo’ arrivato a corollario dei vari regolari UBU 2023. 

 Ecco, a pensarci bene, senza offesa per nessuno, ‘hic Rhodus, hic salta’.

E’ pur vero che Kepler-452 pratichi un preciso genere di teatro per così dire documentario, piuttosto che sia diventata la compagnia protagonista del rinnovamento di un filone d'impegno politico che in Italia vanta illustri precedenti...

...ma la dice lunga sullo stato dell’arte anche solo il confino ipocrita a margine dei riconoscimenti ufficiali: un’elemosina, pur apprezzabilissima, della grande Giuliana De Sio per le straordinarie interpreti di ’Non tre sorelle’; uno dei sei marginali Ubu, ‘per l’attività di ricerca sul campo’ (sic!), a uno spettacolo che certo è stato tra i migliori in assoluto, come ‘Il Capitale’, di gran lunga più vivo - e/o anche soltanto meno noioso e tristemente borghese - di quasi tutti i titoli che arrivano alle varie nomination e statuette e targhe d’onore.

 E non sono certo i kepleriani, quelli che non si rendono conto di com’è urgente una radicale rifondazione del teatro italiano. Quand’era ancora solo ‘uno tra gli altri’ giovani autori impegnati e militanti, Nicola Borghesi aveva messo molto bene a fuoco, in un intervento pubblico durante la pandemia, la situazione del teatro italiano, e i guasti di una predominanza nelle sale di un ‘teatro rassicurante e spesso ornamentale, aderente a quella retorica della ‘bellezza che ci salverà’ che spesso si sente ripetere in televisione’.

 Ma è ancor più significativo, in effetti, il monologo d’autocoscienza che Borghesi interpreta a un certo punto proprio de ‘Il Capitale’, raccontando i suoi stessi pensieri e le preoccupazioni per così dire di natura etica che lo sopraffanno durante una pausa di ritorno a casa a Bologna, dopo il ‘lavoro di ricerca sul campo’ di settimane trascorse tra gli occupanti della GKN di Campo Bisenzio. 

 L’autore, l’attore e soprattutto la persona, dopo un’esperienza del genere, si ritrovano totalmente fuori luogo nel ritorno alla piacevole normalità, come se il comodo divano di casa fosse diventato più disagevole della brandina da campeggio in un angolo della fabbrica in via di dismissione.

 E’ un’invettiva vera e propria, fatta davanti a uno specchio ideale con su scritto ‘Fuck you’, del genere che a qualche dramaholico evoca vagamente la spettacolare tirata anti-newyorchese di Edward Norton per Spike Lee nella ‘25ma ora’ (‘Yeah, fuck you, too. Fuck me? Fuck you, Fuck you and this whole city and everyone in it’): solo che questa volta è la città del teatro al centro di un’analisi lucida e fredda, che tanti del mestiere dovrebbero cominciare a leggere e meditare.

Nella foto di Bea Borgers, tra gli operai del collettivo di fabbrica della GKN, Enrico Baraldi (da sinistra, il terzo, dietro, in camicia), e Nicola Borghesi, che mostra 'Il Capitale' di Marx

 FUCK YOU, TEATRANTE MESTIERANTE E WOKE

 (il titolo è nostro, il testo dal Capitale di Borghesi e Baraldi)

 …Odiavo noi teatranti che in questi anni ci siamo occupati di moda, di glamour, di grandi apparati, delle performance, che cazzo performiamo. 

 Odio quelli che hanno fatto politica, che si sono preoccupati del cambiamento climatico senza pensare che cambiare il modo di produzione delle merci dalle fondamenta è l’unica possibilità di salvare questo pianeta al collasso.

 Odio chi si è accontentato di linguaggi inclusivi, asterischi, schwa, diritti civili, splendide astrazioni solo e soltanto per rimuovere che le merci, le cazzo di merci le fa qualcuno. 

 Qualcuno, per tutta la sua vita, fa le merci che noi non facciamo. E noi è l’unica cosa che davvero non vogliamo sapere. 

 Qualcuno che non incontriamo mai fa le cazzo di merci, di giorno, di notte, all’alba in dei posti dimenticati da dio che vogliamo giustamente rimuovere dalla nostra vista perché fanno schifo e puzzano di morchia e chimica. 

 Qualcuno fa le merci, idioti.

 E ancora di più odio me stesso che in una fabbrica ci sono capitato solo per farci uno spettacolo, solo per leggere un libro che non ho nemmeno finito, e che dopo questo spettacolo in una fabbrica non ci rientrerò mai più. 

 Perché mi interessa solo del teatro, solo che questo spettacolo sia bellissimo, e poi di farne un altro, con una produzione ancora più grande, più luci, più tecnici, più biglietti, più soldi,

 perché io in quella fabbrica ci sono entrato solo per produrre. 

 Pezzi. Pezzi. Pezzi.

Ancora Baraldi con Borghesi al lavoro durate una prova (foto di Luca Del Pia)

NOTE

A MARGINE DELLA SQUISITA PROVA E DI UN GIARDINO DEL 2018

(1) Lo spettacolo ‘Grazie della squisita prova’, nato dall’incontro casuale tra Vetrano e Randisi e Kepler-452, torna in scena per una mini-tournée dopo il lungo impegno dei due attori con Terzopoulos per ‘Aspettando Godot’. ‘Grazie della squisita prova’ riparte da Rubiera il 3 aprile, passa da Chianciano il 6, fa tappa il 13 aprile a Imola, dove i due attori sono di casa, e poi a maggio arriverà in Sicilia, terra d’origine di Vetrano e Randisi, che in scena rievocano persino gli esordi familiari da bambini, il 22 maggio a Palermo e il 23 a Noto.

(2) Non è il primo 'non-Cechov' di Kepler-452, che nel 2018 si era fatta notare da Ert per aver proposto, con tanto di Lodo Guenzi dello Stato Sociale e Paola Ajello in scena, ‘Il giardino dei ciliegi. Trent’anni di felicità in comodato d’uso’, che nasceva dalla storia vera di Giuliano e Annalisa Bianchi, che per trent’anni hanno vissuto in una casa colonica concessa in comodato d’uso gratuito dal Comune nella periferia di Bologna e che sono stati poi sfrattati.

Per il trattamento dei disturbi depressivi da teatro, rivolgersi ai Professori Vetrano e Randisi

Paolo Martini • 

 Certo nessuno sa evocare così bene le meraviglie del cielo anche solo muovendo una mano e lo sguardo, come i due maestri di teatro Enzo Vetrano e Stefano Randisi in una scena di ‘Grazie della squisita prova’.

Eppure vale la pena di cominciare proprio dall’orizzonte in cui s’inscrive questa prima pièce propriamente stellare della compagnia bolognese Kepler-452 , che dopo anni di teatro impegnato e senza nomi di richiamo in cartellone, con Nicola Borghesi si ferma un attimo a riflettere sul senso del proprio lavoro e può farlo ‘con e per’ due attori e protagonisti di prim’ordine.

 Per non sembrare gli stolti che guardano il dito e non la luna, dunque, la prima nota positiva va a questa riproposizione del ‘teatro fuori dal teatro’, che è poi la ragion d’essere di questa nuova iniziativa milanese de Le stanze, che ha organizzato alla sala delle colonne della Fabbrica del Vapore, il 16 ottobre, una serata emozionante e viva, per un’ottantina di spettatori raccolti a semicerchio davanti agli attori, con una distanza-vicinanza di pochi metri e nessun palcoscenico a dividere i piani.

 Il prossimo appuntamento di Le Stanze sarà dal 9 all’’11 novembre al Museo del Novecento con una performance che s’interroga sulla natura stessa dell’esibizione nell’arte, ‘Exibition’ di Cuocolo/Bosetti.

 Borghesi e compagni di Kepler-452 hanno già da tempo lo sguardo ben aperto oltre le barriere fisiche e istituzionali dei teatri, anche solo per motivi di anagrafe: sono più o meno della prima generazione nativa digitale.

Erano appena passati da Milano presentando ‘Il Capitale, un libro che non abbiamo ancora letto’ (nato durante l’occupazione della fabbrica GKN), grazie all’associazione culturale Zona K, che da un decennio pratica molto bene il ‘teatro fuori dal teatro’ e propone programmazioni alternative in una città teatralmente polverosa.  

 Tornando a Kepler-452, dopo numerose esperienze e con una certa varietà di proposte, si è meritata una quota parte di credito anche internazionale, e sempre non per caso i nostri ‘teatr-attivisti’ bolognesi sono stati invitati, con questo spettacolo dal titolo neo-marxista, al Kunsten Festival Des Arts di Bruxelles. 

 Il piccolo grande Belgio, faro europeo del teatro, è patria di compagnie di primissimo ordine e luogo di coltura per eccellenza dell’innovazione, dal post-drammatico alla sana tendenza appunto a provare riportare il teatro, la danza e le arti performative nel corpo vivo della società, uscendo appunto fuori dai teatri (ne parleremo a parte quanto prima).

Il cast de 'Il Capitale' (foto di Enrico Baraldi)

 Finito lo sguardo sull’orizzonte, veniamo al gioiellino ‘Grazie della squisita prova’, che è un vero e proprio scambio di doni: Nicola Borghesi rende omaggio alla storia e alla grandezza di Enzo e Stefano, e i due vecchi mestieranti cercano di aiutare l’autore, alla loro maniera insieme superficiale e profonda, paradossale se non grottesca, a restare nel solco tradizionale del lavoro teatrale.

Al fondo, c’è il dono del teatro al pubblico, ovvero l’emozione e, forse, anche quella piccola luce che ciascuno degli spettatori si porta poi a casa, fosse pure uno squarcio sulla condivisione di un vasetto di miele o sulla bellezza di una albicocca matura, piuttosto che invece l’illusione di vivere come se non si dovesse morire e anzi di giocarci allegramente sopra.

 ‘Grazie della squisita prova’, il titolo, è una battuta sarcastica di un grande protagonista della scena italiana dagli anni Settanta all’alba del secondo millennio, Leo De Bernardinis, e viene spiegata molto bene nello spettacolo perciò è un peccato spoilerare.

Resta da aggiungere: non pensate che dietro a questo titolo e al tema del confronto generazionale tra attori sul senso del mestiere del teatro, si nasconda la solita polpetta avvelenata in salsa meta-teatrale, vagamente ombelicale; ricordatevi pur sempre che con Vetrano e Randisi lo spettacolo è assicurato e sempre straordinariamente anche divertente. 

 Vale il biglietto, per dire, solo per i due momenti autobiografici, Enzo che ricorda quando, dopo le prime crisi d’identità come giovane attore, scoprì la salutare medicina di fare la iena, e Stefano che ritorna al momento in cui da bambino s’è innamorato del teatro, apre un vecchio libro di famiglia e legge in siciliano…

 Basta così. Sembrano così vicini, e in questo caso lo sono per davvero in scena, eppure vengono da un altro pianeta e si possono soltanto ammirare. Soprattutto se si pensa che questi due protagonisti riconosciuti (ma in fondo non troppo, rispetto a certe mezze calzette di successo), sono ancora lì che si cambiano in uno sgabuzzino accanto ai bagni, e s’impegnano lo stesso a recitare perfettamente ‘con e per’ i giovani colleghi Borghesi antiborghesi.

 Anche in questo caso vanno in scena, Vetrano e Randisi, come hanno sempre fatto, qualche volta anche solo per quattro gatti in sala, mettendosi in gioco totalmente, tanto quanto faranno tra pochi giorni addirittura in Cina, a Wuhzen, per un maestro che è già quasi un monumento come il greco Theodoros Terzopulos, e con un testo sacro come ‘Aspettando Godot’.

 Visto accanto a una giovane ballerina, appassionata di danza e poco incline al teatro di prosa (ma subito pronta a rivedere Vetrano-Randisi quando torneranno a Milano per ‘Aspettando Godot’), e a tre sedie da un’altra ragazza con il fidanzato incantati... 

 P.S.: Se’ Grazie della squisita prova’ è anche uno spettacolo della memoria, alla fine il vostro vecchio dramaholico è come se fosse tornato il liceale che s’intrufolava alle prove delle compagnie alternative e militanti, ma non disdegnava nemmeno di andare a vedere i mostri sacri, alle pomeridiane degli spettacoli popolari-borghesi, e per fortuna!, che così ha visto recitare, tra gli altri, Salvo Randone pirandelliano impareggiabile... e non avendo osato allora appostarsi per chiedere l’autografo… (vedi sotto)  

Paolo Martini • 

 Certo nessuno sa evocare così bene le meraviglie del cielo anche solo muovendo una mano e lo sguardo, come i due maestri di teatro Enzo Vetrano e Stefano Randisi in una scena di ‘Grazie della squisita prova’.

Eppure vale la pena di cominciare proprio dall’orizzonte in cui s’inscrive questa prima pièce propriamente stellare della compagnia bolognese Kepler-452 , che dopo anni di teatro impegnato e senza nomi di richiamo in cartellone, con Nicola Borghesi si ferma un attimo a riflettere sul senso del proprio lavoro e può farlo ‘con e per’ due attori e protagonisti di prim’ordine.

 Per non sembrare gli stolti che guardano il dito e non la luna, dunque, la prima nota positiva va a questa riproposizione del ‘teatro fuori dal teatro’, che è poi la ragion d’essere di questa nuova iniziativa milanese de Le stanze, che ha organizzato alla sala delle colonne della Fabbrica del Vapore, il 16 ottobre, una serata emozionante e viva, per un’ottantina di spettatori raccolti a semicerchio davanti agli attori, con una distanza-vicinanza di pochi metri e nessun palcoscenico a dividere i piani.

 Il prossimo appuntamento di Le Stanze sarà dal 9 all’’11 novembre al Museo del Novecento con una performance che s’interroga sulla natura stessa dell’esibizione nell’arte, ‘Exibition’ di Cuocolo/Bosetti.

 Borghesi e compagni di Kepler-452 hanno già da tempo lo sguardo ben aperto oltre le barriere fisiche e istituzionali dei teatri, anche solo per motivi di anagrafe: sono più o meno della prima generazione nativa digitale.

Erano appena passati da Milano presentando ‘Il Capitale, un libro che non abbiamo ancora letto’ (nato durante l’occupazione della fabbrica GKN), grazie all’associazione culturale Zona K, che da un decennio pratica molto bene il ‘teatro fuori dal teatro’ e propone programmazioni alternative in una città teatralmente polverosa.  

 Tornando a Kepler-452, dopo numerose esperienze e con una certa varietà di proposte, si è meritata una quota parte di credito anche internazionale, e sempre non per caso i nostri ‘teatr-attivisti’ bolognesi sono stati invitati, con questo spettacolo dal titolo neo-marxista, al Kunsten Festival Des Arts di Bruxelles. 

 Il piccolo grande Belgio, faro europeo del teatro, è patria di compagnie di primissimo ordine e luogo di coltura per eccellenza dell’innovazione, dal post-drammatico alla sana tendenza appunto a provare riportare il teatro, la danza e le arti performative nel corpo vivo della società, uscendo appunto fuori dai teatri (ne parleremo a parte quanto prima).

Il cast de 'Il Capitale' (foto di Enrico Baraldi)

 Finito lo sguardo sull’orizzonte, veniamo al gioiellino ‘Grazie della squisita prova’, che è un vero e proprio scambio di doni: Nicola Borghesi rende omaggio alla storia e alla grandezza di Enzo e Stefano, e i due vecchi mestieranti cercano di aiutare l’autore, alla loro maniera insieme superficiale e profonda, paradossale se non grottesca, a restare nel solco tradizionale del lavoro teatrale.

Al fondo, c’è il dono del teatro al pubblico, ovvero l’emozione e, forse, anche quella piccola luce che ciascuno degli spettatori si porta poi a casa, fosse pure uno squarcio sulla condivisione di un vasetto di miele o sulla bellezza di una albicocca matura, piuttosto che invece l’illusione di vivere come se non si dovesse morire e anzi di giocarci allegramente sopra.

 ‘Grazie della squisita prova’, il titolo, è una battuta sarcastica di un grande protagonista della scena italiana dagli anni Settanta all’alba del secondo millennio, Leo De Bernardinis, e viene spiegata molto bene nello spettacolo perciò è un peccato spoilerare.

Resta da aggiungere: non pensate che dietro a questo titolo e al tema del confronto generazionale tra attori sul senso del mestiere del teatro, si nasconda la solita polpetta avvelenata in salsa meta-teatrale, vagamente ombelicale; ricordatevi pur sempre che con Vetrano e Randisi lo spettacolo è assicurato e sempre straordinariamente anche divertente. 

 Vale il biglietto, per dire, solo per i due momenti autobiografici, Enzo che ricorda quando, dopo le prime crisi d’identità come giovane attore, scoprì la salutare medicina di fare la iena, e Stefano che ritorna al momento in cui da bambino s’è innamorato del teatro, apre un vecchio libro di famiglia e legge in siciliano…

 Basta così. Sembrano così vicini, e in questo caso lo sono per davvero in scena, eppure vengono da un altro pianeta e si possono soltanto ammirare. Soprattutto se si pensa che questi due protagonisti riconosciuti (ma in fondo non troppo, rispetto a certe mezze calzette di successo), sono ancora lì che si cambiano in uno sgabuzzino accanto ai bagni, e s’impegnano lo stesso a recitare perfettamente ‘con e per’ i giovani colleghi Borghesi antiborghesi.

 Anche in questo caso vanno in scena, Vetrano e Randisi, come hanno sempre fatto, qualche volta anche solo per quattro gatti in sala, mettendosi in gioco totalmente, tanto quanto faranno tra pochi giorni addirittura in Cina, a Wuhzen, per un maestro che è già quasi un monumento come il greco Theodoros Terzopulos, e con un testo sacro come ‘Aspettando Godot’.

 Visto accanto a una giovane ballerina, appassionata di danza e poco incline al teatro di prosa (ma subito pronta a rivedere Vetrano-Randisi quando torneranno a Milano per ‘Aspettando Godot’), e a tre sedie da un’altra ragazza con il fidanzato incantati... 

 P.S.: Se’ Grazie della squisita prova’ è anche uno spettacolo della memoria, alla fine il vostro vecchio dramaholico è come se fosse tornato il liceale che s’intrufolava alle prove delle compagnie alternative e militanti, ma non disdegnava nemmeno di andare a vedere i mostri sacri, alle pomeridiane degli spettacoli popolari-borghesi, e per fortuna!, che così ha visto recitare, tra gli altri, Salvo Randone pirandelliano impareggiabile... e non avendo osato allora appostarsi per chiedere l’autografo… (vedi sotto)  

Ultimissime sui cinque arruolati in 'A place of safety', con foto di scena dal fronte del porto di Kepler-452

Redazione • 

Alla vigilia della prima di 'A place of safety. Viaggio nel Mediterraneo centrale' di Kepler-452, all'Arena del Sole di Bologna da giovedì 27 febbraio, ERT Emilia Romagna Teatro ha diffuso le foto scattate alle ultime prove.

C'è un clima di grande attesa anche nel mondo delle organizzazioni di volontariato (in particolare Sea Watch e Life Support) che hanno consentito agli autori Enrico Baraldi e Nicola Borghesi di poter vivere l'esperienza di un soccorso in mare e di conoscere e incontrare le persone che racconteranno nello spettacolo questa parte del presente storico così drammatica e insieme solidale e viva.

I cinque 'attori' di realtà che interloquiranno in scena con Nicola Borghesi sono - come scrivono i due autori kepleriani nella presentazione - 'un cast che è frutto di una lunga ricerca, seguita all'esperienza di volontariato a Lampedusa e poi del viaggio in mare con Sea-Watch, per individuare persone che hanno testimoniato coi propri occhi punti diversi dell’avventura lunga un decennio del soccorso civile nel Mar Mediterraneo.

Le testimonianze raccolte diventano nella drammaturgia le tappe di una missione: dalle paure prima di partire, alle motivazioni che spingono a imbarcarsi, ciò che accade quando ci si avvicina alla zona delle operazioni, il soccorso, fino poi al viaggio di ritorno'. I cinque protagonisti sono, in ordine alfabetico:

Flavio Catalano di Life Support-Emergency: nato a Napoli, nel 1958, in una famiglia medio-borghese e cresciuto fra Napoli e Catania, dopo una formazione scientifica come ingegnere navale e meccanico, lavora come ufficiale tecnico sommergibilista nella Marina Militare. Ben presto s'impegna nel volontariato spaziando dalla politica alla conservazione della memoria storica, dal commercio equo al restauro di antichi manufatti industriali, alla cooperazione internazionale in paesi dell’Africa Occidentale Sub-Sahariana. Il suo impegno sociale sfocia, nel 2022, nell’allestimento della Life Support, la nave della ONG Emergency; dopo i lavori propedeutici in cantiere, rimane imbarcato per lo svolgimento dell’attività operativa di ricerca e soccorso naufraghi nel Mediterraneo centrale; a tutt’oggi è stato impegnato in 22 delle 28 missioni portate a termine. Ha una figlia, Francesca, nata nel 1986 da un suo precedente matrimonio. Attualmente vive, con la moglie Maryam e la cagnolina Mia, fra La Spezia e Rovegno, in alta Val Trebbia.

Miguel Duarte è un 'civil sea rescuer' nel Mediterraneo centrale dal 2016. Era un membro dell'equipaggio della nave Iuventa ed è stato tra i dieci operatori umanitari che hanno rischiato fino a venti anni di carcere per un'accusa di favoreggiamento dell'immigrazione clandestina da parte del Governo italiano. Si è trattato del primo e più lungo caso di criminalizzazione del soccorso in mare in Italia, durato complessivamente otto anni, fino all'assoluzione di tutte le persone coinvolte, avvenuta nel maggio 2024. Oggi lavora come capo missione a bordo delle navi della Sea-Watch. In Portogallo, dove vive, Miguel è un fisico matematico che fa ricerca sui buchi neri e insegna all'università. È cofondatore di HuBB - Humans Before Borders, un collettivo per i diritti dei migranti, con cui organizza manifestazioni, eventi e campagne.

Giorgia Linardi, 34 anni. Nata a Como con radici emiliane e siciliane, che da sempre la legano al Mediterraneo. Allo scoppiare della primavera araba nel 2011, inizia a interessarsi al fenomeno migratorio via mare. Studia Scienze Politiche e Relazioni Internazionali a Milano e si specializza in Diritto Internazionale con un master a Ginevra. Dal 2015 collabora con la ONG tedesca di soccorso in mare Sea-Watch, per cui ha ricoperto i ruoli di consulente legale e per le operazioni, coordinatrice del team italiano, responsabile advocacy e portavoce. Ha preso parte a diverse missioni sulle navi di soccorso e di monitoraggio aereo nel Mediterraneo Centrale e nell'Egeo, da Lampedusa, Malta e dall’isola greca di Lesbo. Ha collaborato con Medici Senza Frontiere come Humanitarian Affairs Officer tra il 2016 e il 2017 a bordo della nave Aquarius, mentre nel 2022 ha trascorso un anno tra Tunisia e Libia come advocacy manager, in supporto alle persone migranti nei centri di detenzione di Tripoli, e per l'apertura di un progetto in Tunisia. Docente universitaria in materia di Rifugiati e diritti umani, dal 2024 coordina anche la ONG Avocats Sans Frontièrs.

Floriana Pati, 37 anni, è infermiera. Dopo una prima esperienza negli ospedali lombardi, si dedica all’area sanitaria del terzo settore, rivolta all’accoglienza dei migranti e alla gestione della marginalità urbana della città di Milano. Nel 2016 inizia a collaborare con Emergency come volontaria, supportando le attività sanitarie della clinica mobile di Milano e degli sbarchi nella Sicilia orientale. Successivamente si specializza in Salute Globale e dal 2020 al 2024 lavora in alcuni degli ambulatori di Emergency in Italia: Milano, Napoli, Castelvolturno e Rosarno. L’obiettivo principale di questi progetti è quello di garantire il diritto alla salute a tutte e tutti, indipendentemente dalla situazione amministrativa. In questo contesto affina la sua esperienza nella medicina della migrazione. Dal 2022 a oggi ha partecipato a cinque missioni di ricerca e soccorso nel Mar Mediterraneo centrale sulla nave Life Support.

José Ricardo Peña è nato a Houston, Texas, il 23 aprile 1994, figlio di immigrati. Sua madre è una cittadina statunitense cresciuta in Messico, mentre suo padre ha attraversato il confine illegalmente.
José ha iniziato a lavorare come elettricista all'età di 19 anni. Anche se, quando glielo si chiede, in realtà ha iniziato la sua carriera di elettricista all'età di 12 anni, suo padre gli ha insegnato a installare semplici impianti elettrici. Non sapendo nulla della ricerca e del soccorso civile nel Mediterraneo, José ha fatto domanda per il posto di elettricista marittimo presso la Sea-Watch il 10 ottobre 2023, dopo essersi imbattuto in un annuncio di lavoro sponsorizzato su Instagram. Tre settimane dopo aver fatto domanda, si è ritrovato a Vinaros a bordo della Sea-Watch 5. Da allora ha completato quattro missioni con la Sea-Watch e ha dato una mano durante i periodi di cantiere. Attualmente vive in Texas con i suoi due cani.

Da sinistra, in alto, Flavio Catalano e Miguel Duarte; sedute, sotto Floriana Pati e ancora sotto Giorgia Linardi; a destra, in piedi, José Ricardo Peña e Nicola Borghesi (foto di scena di Luca Del Pia)

'A place of safety' è un accumulo di storie impossibili da raccontare – conclude la presentazione ufficiale – accadute in un posto lontanissimo e vicino, ma anche il tentativo di capire come si raccontino, a cosa servano tutte queste storie. 'A place of safety' è la storia dell’incontro tra una compagnia di teatro e un gruppo di persone che ha deciso di dedicare una parte della propria vita al soccorso in mare, ma è anche e soprattutto una scintilla di attenzione sul rimosso collettivo del nostro continente, ciò che accade nel Mediterraneo centrale. In fondo, un discorso intimo su ciò che l’Europa vorrebbe essere, su ciò che non è, su ciò che potrebbe essere'.

Redazione • 

Alla vigilia della prima di 'A place of safety. Viaggio nel Mediterraneo centrale' di Kepler-452, all'Arena del Sole di Bologna da giovedì 27 febbraio, ERT Emilia Romagna Teatro ha diffuso le foto scattate alle ultime prove.

C'è un clima di grande attesa anche nel mondo delle organizzazioni di volontariato (in particolare Sea Watch e Life Support) che hanno consentito agli autori Enrico Baraldi e Nicola Borghesi di poter vivere l'esperienza di un soccorso in mare e di conoscere e incontrare le persone che racconteranno nello spettacolo questa parte del presente storico così drammatica e insieme solidale e viva.

I cinque 'attori' di realtà che interloquiranno in scena con Nicola Borghesi sono - come scrivono i due autori kepleriani nella presentazione - 'un cast che è frutto di una lunga ricerca, seguita all'esperienza di volontariato a Lampedusa e poi del viaggio in mare con Sea-Watch, per individuare persone che hanno testimoniato coi propri occhi punti diversi dell’avventura lunga un decennio del soccorso civile nel Mar Mediterraneo.

Le testimonianze raccolte diventano nella drammaturgia le tappe di una missione: dalle paure prima di partire, alle motivazioni che spingono a imbarcarsi, ciò che accade quando ci si avvicina alla zona delle operazioni, il soccorso, fino poi al viaggio di ritorno'. I cinque protagonisti sono, in ordine alfabetico:

Flavio Catalano di Life Support-Emergency: nato a Napoli, nel 1958, in una famiglia medio-borghese e cresciuto fra Napoli e Catania, dopo una formazione scientifica come ingegnere navale e meccanico, lavora come ufficiale tecnico sommergibilista nella Marina Militare. Ben presto s'impegna nel volontariato spaziando dalla politica alla conservazione della memoria storica, dal commercio equo al restauro di antichi manufatti industriali, alla cooperazione internazionale in paesi dell’Africa Occidentale Sub-Sahariana. Il suo impegno sociale sfocia, nel 2022, nell’allestimento della Life Support, la nave della ONG Emergency; dopo i lavori propedeutici in cantiere, rimane imbarcato per lo svolgimento dell’attività operativa di ricerca e soccorso naufraghi nel Mediterraneo centrale; a tutt’oggi è stato impegnato in 22 delle 28 missioni portate a termine. Ha una figlia, Francesca, nata nel 1986 da un suo precedente matrimonio. Attualmente vive, con la moglie Maryam e la cagnolina Mia, fra La Spezia e Rovegno, in alta Val Trebbia.

Miguel Duarte è un 'civil sea rescuer' nel Mediterraneo centrale dal 2016. Era un membro dell'equipaggio della nave Iuventa ed è stato tra i dieci operatori umanitari che hanno rischiato fino a venti anni di carcere per un'accusa di favoreggiamento dell'immigrazione clandestina da parte del Governo italiano. Si è trattato del primo e più lungo caso di criminalizzazione del soccorso in mare in Italia, durato complessivamente otto anni, fino all'assoluzione di tutte le persone coinvolte, avvenuta nel maggio 2024. Oggi lavora come capo missione a bordo delle navi della Sea-Watch. In Portogallo, dove vive, Miguel è un fisico matematico che fa ricerca sui buchi neri e insegna all'università. È cofondatore di HuBB - Humans Before Borders, un collettivo per i diritti dei migranti, con cui organizza manifestazioni, eventi e campagne.

Giorgia Linardi, 34 anni. Nata a Como con radici emiliane e siciliane, che da sempre la legano al Mediterraneo. Allo scoppiare della primavera araba nel 2011, inizia a interessarsi al fenomeno migratorio via mare. Studia Scienze Politiche e Relazioni Internazionali a Milano e si specializza in Diritto Internazionale con un master a Ginevra. Dal 2015 collabora con la ONG tedesca di soccorso in mare Sea-Watch, per cui ha ricoperto i ruoli di consulente legale e per le operazioni, coordinatrice del team italiano, responsabile advocacy e portavoce. Ha preso parte a diverse missioni sulle navi di soccorso e di monitoraggio aereo nel Mediterraneo Centrale e nell'Egeo, da Lampedusa, Malta e dall’isola greca di Lesbo. Ha collaborato con Medici Senza Frontiere come Humanitarian Affairs Officer tra il 2016 e il 2017 a bordo della nave Aquarius, mentre nel 2022 ha trascorso un anno tra Tunisia e Libia come advocacy manager, in supporto alle persone migranti nei centri di detenzione di Tripoli, e per l'apertura di un progetto in Tunisia. Docente universitaria in materia di Rifugiati e diritti umani, dal 2024 coordina anche la ONG Avocats Sans Frontièrs.

Floriana Pati, 37 anni, è infermiera. Dopo una prima esperienza negli ospedali lombardi, si dedica all’area sanitaria del terzo settore, rivolta all’accoglienza dei migranti e alla gestione della marginalità urbana della città di Milano. Nel 2016 inizia a collaborare con Emergency come volontaria, supportando le attività sanitarie della clinica mobile di Milano e degli sbarchi nella Sicilia orientale. Successivamente si specializza in Salute Globale e dal 2020 al 2024 lavora in alcuni degli ambulatori di Emergency in Italia: Milano, Napoli, Castelvolturno e Rosarno. L’obiettivo principale di questi progetti è quello di garantire il diritto alla salute a tutte e tutti, indipendentemente dalla situazione amministrativa. In questo contesto affina la sua esperienza nella medicina della migrazione. Dal 2022 a oggi ha partecipato a cinque missioni di ricerca e soccorso nel Mar Mediterraneo centrale sulla nave Life Support.

José Ricardo Peña è nato a Houston, Texas, il 23 aprile 1994, figlio di immigrati. Sua madre è una cittadina statunitense cresciuta in Messico, mentre suo padre ha attraversato il confine illegalmente.
José ha iniziato a lavorare come elettricista all'età di 19 anni. Anche se, quando glielo si chiede, in realtà ha iniziato la sua carriera di elettricista all'età di 12 anni, suo padre gli ha insegnato a installare semplici impianti elettrici. Non sapendo nulla della ricerca e del soccorso civile nel Mediterraneo, José ha fatto domanda per il posto di elettricista marittimo presso la Sea-Watch il 10 ottobre 2023, dopo essersi imbattuto in un annuncio di lavoro sponsorizzato su Instagram. Tre settimane dopo aver fatto domanda, si è ritrovato a Vinaros a bordo della Sea-Watch 5. Da allora ha completato quattro missioni con la Sea-Watch e ha dato una mano durante i periodi di cantiere. Attualmente vive in Texas con i suoi due cani.

Da sinistra, in alto, Flavio Catalano e Miguel Duarte; sedute, sotto Floriana Pati e ancora sotto Giorgia Linardi; a destra, in piedi, José Ricardo Peña e Nicola Borghesi (foto di scena di Luca Del Pia)

'A place of safety' è un accumulo di storie impossibili da raccontare – conclude la presentazione ufficiale – accadute in un posto lontanissimo e vicino, ma anche il tentativo di capire come si raccontino, a cosa servano tutte queste storie. 'A place of safety' è la storia dell’incontro tra una compagnia di teatro e un gruppo di persone che ha deciso di dedicare una parte della propria vita al soccorso in mare, ma è anche e soprattutto una scintilla di attenzione sul rimosso collettivo del nostro continente, ciò che accade nel Mediterraneo centrale. In fondo, un discorso intimo su ciò che l’Europa vorrebbe essere, su ciò che non è, su ciò che potrebbe essere'.

'Possiamo chiudere con il passato ma il passato non chiude con noi': Kepler-452 brilla di nuovo con un toccante 'Album' eco-solidale

Paolo Martini • 

 Ancor prima del successo facile al botteghino, a volte bastano i premi ufficiali e il consenso istituzionale a rovinare le menti migliori. Non sembra il caso della compagnia Kepler-452, per fortuna, anche perché rischierebbero il doppio praticando il teatro politico in modo nuovo e autentico rispetto a un certo conformismo ‘engagé’. 

 Dietro al logo astronomico, che con la b dopo il numero indicherebbe il pianeta più simile alla Terra mai scoperta tra le stelle, si muovono oggi Nicola Borghesi, Enrico Baraldi, Paola AielloRoberta Gabriele, mantenendo fede agli intendimenti di fondo di aprire le porte dei teatri alla realtà, spaziando tra i format e gli stili senza fossilizzarsi su uno in particolare.

 E così, dopo ‘Il Capitale. Un libro che non abbiamo ancora letto’, che nei prossimi giorni sarà di nuovo in scena al TPE Teatro Astra di Torino, poi a Udine e Vicenza, e mentre ancora gira ‘Gli Altri. Un’indagine sui nuovissimi mostri’, lo spettacolo sugli hater e l’odio online presentato nel ’21 e sempre più attuale, ecco la sorprendente novità di ‘Album’. 

 Una piccola meraviglia, firmata da Borghesi e Baraldi con Riccardo Tabiglio, vista a Milano al Teatro Franco Parenti, sala Zenitale, che è piaciuta tantissimo agli appassionati per i motivi che si possono riassumere in pochi punti.

 1. In perfetta armonia con il tema, gli spettatori di ‘Album’ sono invitati fuori dalle sale teatrali e vengono fatti accomodare, a tre o quattro decine per volta, in una sorta di salotto di casa, con qualche poltrona e sedie varie spaiate, intorno a due-tre tavoli, in mezzo ad oggetti appoggiati qua e là o accatastati in qualche angolo, tra cui si notano i monitor, i televisori, il giradischi e il mangianastri con  radio incorporata.

 2. Il linguaggio è innovativo, multimediale e partecipato - il pubblico è chiamato in qualche modo a ‘recitare’ parlando, annuendo, mangiando - , ma tutto sempre molto ben dosato, esattamente come il tono accattivante che mescola comicità e ironia con impegno militante e testimonianza, caratteristica già apprezzata nei precedenti spettacoli di Kepler-452.

 3. La sequenza della narrazione ha del mirabolante, comincia dalla riproduzione delle anguille e dal problema sociale della demenza senile, poi dall’ossessione per le cose e i ricordi arriva al disastro dell’alluvione in Romagna, mentre il narratore è alle prese prima con l’Alzheimer di suo padre stesso e poi con il problema di svuotarne la casa.

Non spoileriamo di più che un altro dettaglio: ogni salto è sottolineato da un cambio di scarpe, il protagonista indossa le sneaker, poi si mette in calzini per un cambio di luogo, esce e rientra con gli stivali da pioggia infangati e infine si rimette le sue scarpe in tela canvas.

 4. E’ un testo che non sfigurerebbe nella biblioteca di ‘ecologia integrale’, con un monologo clou sulla solidarietà e la fratellanza, di segno decisamente anti-capitalista e un’aura artistico-letteraria, che s’intravede oltre la superficie medico-scientifica, che sembra richiamare le poetiche della memoria che hanno segnato la cultura di fine secondo millennio, tra i libri di W.G. Sebald e le installazioni di Christian Boltanski

 Aver scelto di collocarsi così sul versante più alto dell’impossibile assimilazione della storia e delle vite di tutti, per evidenziare l’amnesia collettiva nei confronti della catastrofe ecologica (1), è ancor più pregevole in un momento in cui viene tanto sdoganata la più trita estetica passatista, ovvero, come notava il riverito maestro Franco Cordelli, ‘quell’ideologia dei vari ‘C’è ancora domani’ e di tanto teatro che mostrano una familiarità con l’inattuale ai limiti del compiacimento: qualcosa che riguarda più il contesto che il testo, accenti che due decenni fa si sarebbero definiti reazionari’.

 5. ‘Album’ è una vera e propria prova di maturità, anche del protagonista stesso, Nicola Borghesi, come attore: così ammirevole e capace da far pensare che non sia servita solo a divertire gli spettatori l’esperienza particolarissima della pièce meta-teatrale ‘Grazie della squisita prova’, che lo ha viso misurarsi in scena con due mostri sacri come Enzo Vetrano e Stefano Randisi.

 Bravo, bravo, bravissimo Nicola. E viva Kepler-452!

 P.S.: Fa davvero piacere notare l’affermazione in nuce di una nuova pattuglia di autori che tengono alta la bandiera del teatro, sono perlopiù della generazione Millennials, con piccole punte anche nei ‘nativi digitali’.

Dovrebbero buttar giù a spallate un sistema vecchio e stantio, ma intanto alcuni, come Kepler-452 (piuttosto che, su tutt’altro indirizzo, un Ferracchiati o Lidi), dimostrano quanto meno di saper non farsi schiacciare dalle gabbie dorate degli enti pubblici teatrali, soprattutto quelli di prim’ordine, come il Piccolo o l’ERT con cui lavora questa compagnia di Bologna da alcune stagioni, che certo garantiscono l’upgrade anche a livello d’immagine.

Meglio non seguire i cattivi esempi di facile rispettabilità e restare un po’ brutti, sporchi e cattivi così come ci si è fatti conoscere e amare: gli spettatori appassionati saranno ancor più riconoscenti. 'Possiamo chiudere con il passato ma il passato non chiude con noi' vale anche per il rapporto tra i teatranti e il pubblico.

Vista d'insieme a una delle prime rappresentazioni di 'Album' (foto di Giulia Lenzi)

 NOTA A MARGINE DELLA PROTESTA DEI TRATTORI E DELL’ANTI-AMBIENTALISMO MONTANTE

(1) vedi https://www.ilfattoquotidiano.it/blog/pmartini/

Paolo Martini • 

 Ancor prima del successo facile al botteghino, a volte bastano i premi ufficiali e il consenso istituzionale a rovinare le menti migliori. Non sembra il caso della compagnia Kepler-452, per fortuna, anche perché rischierebbero il doppio praticando il teatro politico in modo nuovo e autentico rispetto a un certo conformismo ‘engagé’. 

 Dietro al logo astronomico, che con la b dopo il numero indicherebbe il pianeta più simile alla Terra mai scoperta tra le stelle, si muovono oggi Nicola Borghesi, Enrico Baraldi, Paola AielloRoberta Gabriele, mantenendo fede agli intendimenti di fondo di aprire le porte dei teatri alla realtà, spaziando tra i format e gli stili senza fossilizzarsi su uno in particolare.

 E così, dopo ‘Il Capitale. Un libro che non abbiamo ancora letto’, che nei prossimi giorni sarà di nuovo in scena al TPE Teatro Astra di Torino, poi a Udine e Vicenza, e mentre ancora gira ‘Gli Altri. Un’indagine sui nuovissimi mostri’, lo spettacolo sugli hater e l’odio online presentato nel ’21 e sempre più attuale, ecco la sorprendente novità di ‘Album’. 

 Una piccola meraviglia, firmata da Borghesi e Baraldi con Riccardo Tabiglio, vista a Milano al Teatro Franco Parenti, sala Zenitale, che è piaciuta tantissimo agli appassionati per i motivi che si possono riassumere in pochi punti.

 1. In perfetta armonia con il tema, gli spettatori di ‘Album’ sono invitati fuori dalle sale teatrali e vengono fatti accomodare, a tre o quattro decine per volta, in una sorta di salotto di casa, con qualche poltrona e sedie varie spaiate, intorno a due-tre tavoli, in mezzo ad oggetti appoggiati qua e là o accatastati in qualche angolo, tra cui si notano i monitor, i televisori, il giradischi e il mangianastri con  radio incorporata.

 2. Il linguaggio è innovativo, multimediale e partecipato - il pubblico è chiamato in qualche modo a ‘recitare’ parlando, annuendo, mangiando - , ma tutto sempre molto ben dosato, esattamente come il tono accattivante che mescola comicità e ironia con impegno militante e testimonianza, caratteristica già apprezzata nei precedenti spettacoli di Kepler-452.

 3. La sequenza della narrazione ha del mirabolante, comincia dalla riproduzione delle anguille e dal problema sociale della demenza senile, poi dall’ossessione per le cose e i ricordi arriva al disastro dell’alluvione in Romagna, mentre il narratore è alle prese prima con l’Alzheimer di suo padre stesso e poi con il problema di svuotarne la casa.

Non spoileriamo di più che un altro dettaglio: ogni salto è sottolineato da un cambio di scarpe, il protagonista indossa le sneaker, poi si mette in calzini per un cambio di luogo, esce e rientra con gli stivali da pioggia infangati e infine si rimette le sue scarpe in tela canvas.

 4. E’ un testo che non sfigurerebbe nella biblioteca di ‘ecologia integrale’, con un monologo clou sulla solidarietà e la fratellanza, di segno decisamente anti-capitalista e un’aura artistico-letteraria, che s’intravede oltre la superficie medico-scientifica, che sembra richiamare le poetiche della memoria che hanno segnato la cultura di fine secondo millennio, tra i libri di W.G. Sebald e le installazioni di Christian Boltanski

 Aver scelto di collocarsi così sul versante più alto dell’impossibile assimilazione della storia e delle vite di tutti, per evidenziare l’amnesia collettiva nei confronti della catastrofe ecologica (1), è ancor più pregevole in un momento in cui viene tanto sdoganata la più trita estetica passatista, ovvero, come notava il riverito maestro Franco Cordelli, ‘quell’ideologia dei vari ‘C’è ancora domani’ e di tanto teatro che mostrano una familiarità con l’inattuale ai limiti del compiacimento: qualcosa che riguarda più il contesto che il testo, accenti che due decenni fa si sarebbero definiti reazionari’.

 5. ‘Album’ è una vera e propria prova di maturità, anche del protagonista stesso, Nicola Borghesi, come attore: così ammirevole e capace da far pensare che non sia servita solo a divertire gli spettatori l’esperienza particolarissima della pièce meta-teatrale ‘Grazie della squisita prova’, che lo ha viso misurarsi in scena con due mostri sacri come Enzo Vetrano e Stefano Randisi.

 Bravo, bravo, bravissimo Nicola. E viva Kepler-452!

 P.S.: Fa davvero piacere notare l’affermazione in nuce di una nuova pattuglia di autori che tengono alta la bandiera del teatro, sono perlopiù della generazione Millennials, con piccole punte anche nei ‘nativi digitali’.

Dovrebbero buttar giù a spallate un sistema vecchio e stantio, ma intanto alcuni, come Kepler-452 (piuttosto che, su tutt’altro indirizzo, un Ferracchiati o Lidi), dimostrano quanto meno di saper non farsi schiacciare dalle gabbie dorate degli enti pubblici teatrali, soprattutto quelli di prim’ordine, come il Piccolo o l’ERT con cui lavora questa compagnia di Bologna da alcune stagioni, che certo garantiscono l’upgrade anche a livello d’immagine.

Meglio non seguire i cattivi esempi di facile rispettabilità e restare un po’ brutti, sporchi e cattivi così come ci si è fatti conoscere e amare: gli spettatori appassionati saranno ancor più riconoscenti. 'Possiamo chiudere con il passato ma il passato non chiude con noi' vale anche per il rapporto tra i teatranti e il pubblico.

Vista d'insieme a una delle prime rappresentazioni di 'Album' (foto di Giulia Lenzi)

 NOTA A MARGINE DELLA PROTESTA DEI TRATTORI E DELL’ANTI-AMBIENTALISMO MONTANTE

(1) vedi https://www.ilfattoquotidiano.it/blog/pmartini/

E la nave va, da un pianeta molto lontano, verso l'approdo di un nuovo Racconto dei popoli in movimento

Paolo Martini • 

 Nessuno certo sentiva il bisogno di un così clamoroso effetto Trump, con il varo delle deportazioni dei migranti e il brusco taglio degli aiuti umanitari americani, e nemmeno del balzo in avanti delle destre nazionaliste e xenofobe in Europa. 

 Ci mancava pure il nuovo scontro tra il governo di Giorgia Meloni e i giudici tutti, ordinari, d’Appello e di Giustizia europei, sul balletto delle ‘ricollocazioni’ in Albania e dei respingimenti nei ‘Paesi di origine sicuri’…subito dopo cotanto caso di fuga di Stato, garantita al generale torturatore libico Almasri! 

 Così, tra l’altro, parlando della stagione teatrale d’inizio 2025, un appuntamento di per sé già molto atteso come la prima di ‘A place of safety - Viaggio nel Mediterraneo centrale’ di Kepler-452, all’Arena del Sole di Bologna, il 27 febbraio, si carica oggettivamente di sempre maggiori aspettative. 

 In questo caso, del resto, si parla pur sempre di un genere particolarissimo di ‘post-teatro di realtà fatto con la realtà’, esplicitamente umanista militante e di testimonianza politico-culturale.

Non è che disprezzino gli eterni ammiratori di Peter Brook o i grotowskiani oltranzisti, questi benedetti ragazzi che si sono scelti come nome quello del pianeta più lontano e più simile alla Terra che sia stato scoperto di recente. Sono soltanto di un mondo dopo, si sono messi in compagnia nel 2015, uno nemmeno trentenne e l’altro poco più. E vogliono semplicemente proporre una forma viva e precisa, perciò tout court politica, di rappresentazione del presente.  

 Il fortunato precedente de ‘Il Capitale’, che ha portato la compagnia di Enrico Baraldi e Nicola Borghesi alla ribalta anche europea, ha di fatto contribuito, in maniera aperta, a far rimettere all’ordine del giorno la realtà delle lotte di fabbrica in un’epoca di turbo-capitalismo finanziario.

 Questo ‘A place of safety’, nel pieno della stagione del Risentimento occidentale, si pone addirittura l’obiettivo forse più ‘in direzione ostinata e contraria’ che ci si possa dare oggi: concorrere a un tentativo di ‘Cambiare il racconto sui popoli in movimento’. 

 Così, peraltro, suggerisce il titolo della stessa presentazione pubblica del nuovo lavoro, che si terrà domenica 2 marzo, sempre nel teatro di Bologna, presenti esperti e protagonisti della contro-narrazione mediatica nonché la variegata compagnia che ha retto la scena delle prime rappresentazioni, con diversi esponenti di organizzazioni umanitarie a interloquire con Nicola Borghesi.

 Puntualmente, con l’efficienza sorridente ben nota, si sta impegnando a dovere la famiglia allargata di Emilia Romagna Teatro, che ha come ‘adottato a distanza’ i pur vicinissimi bolognesi di Kepler-452, cioè garantendo la totale indipendenza e il sostegno alle loro creazioni, in questo caso con altre due tra le migliori realtà istituzionali italiane, il Teatro Metastasio di Prato e CSS Teatro stabile di innovazione del Friuli Venezia Giulia.

 Il lancio di ‘A place of Safety’ è cominciato con largo anticipo, e un articolato comunicato stampa (1) con le prime foto è stato diffuso da ERT con la ‘fatidica’ data del 1° febbraio.

Il giorno stesso, guarda caso, in cui i giornali di quasi tutto il mondo analizzavano gli effetti del primo provvedimento suggerito da Elon Musk ‘nuovo Doge’ (come da sigla del dipartimento per i tagli di bilancio) al Presidente Trump: la brusca e immediata sospensione degli aiuti umanitari americani. A cui è seguito, peraltro, l'attacco frontale contro l'agenzia pubblica UsAid, 'nido di serpi dei marxisti della sinistra radicale che odia l'America' (X-Musk).

Questo stop agli aiuti umanitari è stato considerato un vero 'choc tettonico' planetario, dato che gli Usa mettono sul tavolo delle organizzazioni internazionali impegnate nel mondo, di cui sono il primo contribuente, qualcosa come 64,7 miliardi di dollari (62,4 miliardi di euro, dato OCSE 2023).

 ‘Le vittime di questo atto di crudeltà senza pari potrebbero essere centinaia di migliaia’, ha commentato il direttore di ‘Libération’ Dov Alfon (la Francia borghese vanta una ricca tradizione di volontariato laico, vedi anche solo l'esercito di 65mila volontari che nel mondo si raccolgono in Médicins Sans Frontières).

Basti pensare che a restar subito privi degli aiuti americani con cui campavano, saranno i rifugiati nei campi profughi più precari delle situazioni di guerra, per esempio i centomila disperati a Mae La e altri accampamenti tra Birmania e Thainlandia, i quarantamila reclusi a Roj e Al-Hol, nel nord-est siriano, e via elencando.

‘Un mondo impoverito finirà per impoverire anche l'America’ ha spiegato ancora Alfon. ‘Ma lo capiremo ex post, il lungo e il medio termine adesso sono scomparsi dal dibattito pubblico, a Washington come altrove’. 

Prove di 'A place of safety': da sinistra Miguel Duarte, Flavio Catalano, José Ricardo Peña, Giorgia Linardi, Nicola Borghesi - con caschetto e microfono -, Floriana Pati (foto di Alberto Camanni)

 Ha un che di paradossale, tra l’altro, che l’ideologia neo-utilitarista a cui si ispirano Musk e i nuovi techno-oligarchi, si chiami invece ‘long terminism’ perché in nome degli obiettivi di lungo periodo, come il mondo dell’Intelligenza artificiale e la colonizzazione dello spazio, invita i Paesi ricchi a lasciar perdere i problemi irrisolvibili del presente.

Cancellate pure ogni insensato residuo ideologico ecologista o umanitario - ripetono come un mantra i ‘lungo-terministi’ -, bisogna pensare al futuro dell’Umanità, tanto i poveri al presente sono condannati comunque a continuare ad esserlo e la Natura si è sempre rigenerata (sic!)

 E’ chiaro che poi, in concreto, tutto viene ammantato con trovate comunicative diaboliche e di facile effetto: il giorno dopo l’annuncio del blocco dei fondi umanitari dalla Casa Bianca sono arrivate spiegazioni relative di merito, mescolando fake come: ’50 milioni di dollari erano stati diretti per finanziare l'acquisto di preservativi a Gaza, uno spreco grottesco di denaro dei contribuenti’, e riferimenti effettivi a piani certo poco sintonici con il trumpismo, per esempio la protezione di persone LGBT+ in Libano o la prevenzione dell’HIV in America Latina.

 Come sottolineato più volte dall’entusiastico consenso via Twitter di Musk, i nostri Matteo Salvini e Meloni si possono considerare all’avanguardia di questo nuovo trend mondiale, con la rigida applicazione delle nuove leggi per ostacolare le organizzazioni umanitarie che operano nel Mediterraneo, dopo il tentativo social-mediatico di additarle come complici dei ‘mercanti di morte’ dell’immigrazione clandestina. 

 Ecco che, dunque, per tornare all’appuntamento di fine febbraio all’Arena del Sole, è impossibile anche solo affrontare separatamente dal valore etico-politico, la vera e propria prova teatrale, tanto impegnativa anche sotto il profilo per così dire estetico, che attende comunque Kepler-452.

 Ora, per metterla un po’ sul ridere dopo tanta serietà, chissà chi dei due fondatori della compagnia ha deciso per primo di dirigersi verso questo Castello di Frankestein jr., magari - s’immagina - il birrofilo Nicola ha indicato a Enrico la meta imponente e oscura, in una nottata di convivialità ‘luppolare’, ‘Lup…Luppululà? Luppo Ululì…’ 

 E’ che, proprio dopo il successo del Capitale, Kepler-452 ha regalato agli appassionati di emozioni un piccolo gioiello di post-teatro povero, ‘Album’, il racconto in una stanza di un toccante addio alle cose della memoria, frutto dell’esperienza con i volontari tra gli alluvionati in Romagna e di un lavoro di ricerca nei centri per malati di Alzheimer. 

 Ora, con ‘A place of safety’ ecco che affrontano davvero il salto ‘in mare aperto’, come certo inevitabile per il tema e dati i complici e host navali di Sea-Watch e di Emergency. Qui si intende però soffermarsi un attimo sull’upgrade dello spettacolo in termini di linguaggio e d’investimento, anche proprio di quel capitale che ci hanno insegnato Enrico e Nicola e compagni a rileggere marxianamente.

 E’ uno spettacolo importante questo, che richiede infatti un budget considerevole e si avvale persino di contributi professionali extra-kepleriani di rilievo, nomi consolidati e di tutto rispetto come Alberto Favretto per le scene e i costumi, Maria Domènech per il disegno luci, Massimo Carozzi per le musiche e il disegno sonoro e Marta Ciappina per la consulenza sui movimenti.

 Con il talento e la passione che si ritrovano Baraldi e Borghesi non avranno certo avuto problemi a gestire un grande gioco come questo, nemmeno sul fronte della produzione, con quell’ERT dove sono pure portati in palmo di mano. Tra l’altro Walter Malosti è notoriamente un direttore che lascia fare, casomai riconosce e incoraggia i talenti di carattere. 

 Piccola inevitabile parentesi a tema Malosti: l'attore-regista numero uno di ERT si sta giocando la riconferma a cavallo tra questo nuovo Kepler-452 e la chiusura di stagione con ‘Le Nuvole di Amleto’ di Eugenio Barba (a Bologna dal 14 maggio). Tanto di cappello, aldilà di qualunque altra considerazione.

E’ vero che in Emilia Romagna resta pur salda la presa del Pd, ma non parliamo comunque di artisti ascrivibili alla sinistra istituzionale, teatranti organici agli ex comunisti, nipotini di Romano Prodi, o 'cocchi' dell'ex ministro Franceschini.

Bisognerebbe poi considerare pure le possibili reazioni a destra di fronte a queste scelte. S’intende non solo del Ministero a cui spetta la firma sulle nomine nei cosiddetti 'teatri nazionali', ma anche quel che potrebbe dire - o dirà -, già a proposito di questi giorni con K-452 all’Arena del Sole, l’ultrà meloniano bolognese Galeazzo Bignami, ora Capogruppo alla Camera di FdI.

 Chiusa parentesi, tornando alle questioncelle dramaholiche, la metafora del Castello di Frankestein jr indica appunto che in questa impresa così significativa e di peso produttivo, com’è ‘A place of safety’, si gioca tanto anche l’identità kepleriana: non è affatto facile restare fedeli alla bellezza poetica di ‘Album’ entrando così tra le mura della roccaforte teatrale, dove si può risvegliare il Mostro dell’Intrattenimento post-moderno, e per giunta nella versione 'fighetta'.

A noi dichiarati incompetenti e tifosi kepleriani resta la certezza che Baraldi-Borghesi&Co. sapranno come cavarsela bene anche stavolta, ovvero sapranno andare al sodo, destreggiandosi pure tra canzonette e filmati, salvagenti arancioni e invenzioni sceniche, luci da capolavori del Prado e movenze d'arte coreutica, sofisticati remix del suono e altri possibili, pur ammirevoli, 'sovrappiù'.

Epperò, per dirla tutta, ci si può immaginare già Enrico e Nicola, e Roberta Gabriele in regia come assistente, e gli altri compagni di pianeta K-452, così soddisfatti del risultato che alla fine si faranno l’occhiolino mentre si salutano scambiandosi - con buona pace di questa ‘gufata’ del Castello di Frankestein jr. - un sano tocco di gomito e ‘Taffetà a te, taffettà’.

Foto di gruppo dell'equipaggio di Sea Watch 5 che ha ospitato Baraldi e Borghesi (quest'ultimo si riconosce in cima alla scaletta, appoggiato con entrambe le mani al parapetto)


(1) UN DISCORSO INTIMO SULL'EUROPA POSSIBILE

(…) 'A place of Safety - Viaggio nel Mediterraneo centrale' è il risultato di un lungo periodo di indagine sul campo intorno al tema della SAR (search and rescue), cominciato con dialoghi tra Enrico Baraldi e Nicola Borghesi, fondatori e componenti della compagnia, e alcuni referenti di ONG, proseguito con un periodo di residenza a Lampedusa e con la successiva partenza per la rotta mediterranea a bordo della nave Sea-Watch 5, l’11 luglio 2024 dal porto di Messina.

Nell’arco di quasi cinque settimane di navigazione la crew ha soccorso 156 persone, sbarcate poi nel “place of safety”, il porto di La Spezia. La nave, con Borghesi e Baraldi a bordo, è tornata in Sicilia al termine della missione il 5 agosto.

«Un tempo di ricerca molto particolare», affermano i registi: «una compagnia che si imbarca su una nave e, prima di allora, trascorre un periodo di residenza a Lampedusa e, dunque, non in teatro, ma su un'isola, in un porto e con le persone».

(…) Durante il percorso gli artisti hanno incontrato alcuni operatori di Life Support – la nave di EMERGENCY e di Sea-Watch, che sono diventati protagonisti dello spettacolo, in scena con Nicola Borghesi: Flavio Catalano, ufficiale tecnico sommergibilista della Marina Militare, ora in pensione e volontario su Life Support per EMERGENCY in ventidue missioni dal 2022; Miguel Duarte, fisico matematico portoghese, un civil sea rescuer nel Mediterraneo centrale dal 2016, membro dell'equipaggio della nave “Iuventa” che ha rischiato fino a venti anni di carcere per un'accusa di favoreggiamento dell'immigrazione clandestina, oggi capo missione per Sea-Watch; Giorgia Linardi, giurista e portavoce di Sea-Watch, con esperienze anche con Medici Senza Frontiere a bordo della Geo Barents in Libia e, attualmente, Visiting Professor al Graduate Institute of International and Development Studies di Ginevra; Floriana Pati, infermiera specializzata in medicina della migrazione e che dal 2022 ha partecipato a cinque missioni di ricerca e soccorso nel Mar Mediterraneo centrale sulla nave Life Support di EMERGENCY; José Ricardo Peña, nato in Texas, figlio di immigrati messicani, che ha lavorato come elettricista sulle navi prima di diventare un volontario con Sea-Watch, portando a compimento quattro missioni e dando una mano durante i periodi di cantiere.

 «Un cast che è frutto di una lunga ricerca – scrivono Enrico Baraldi e Nicola Borghesi – e che raccoglie persone che hanno testimoniato coi propri occhi punti diversi dell’avventura lunga un decennio del soccorso civile in mare».

 Le testimonianze raccolte, relative agli ultimi dieci anni di ricerca e soccorso nel Mar Mediterraneo, diventano nella drammaturgia le tappe di una missione: dalle paure prima di partire, alle motivazioni che spingono a imbarcarsi, ciò che accade quando ci si avvicina alla zona delle operazioni, il soccorso, fino poi al viaggio di ritorno. Tra le narrazioni dei personaggi una domanda affiora nella mente dei registi: “Come si deve raccontare questa storia?”

«A place of safety è un accumulo di storie impossibili da raccontare – continua la compagnia – accadute in un posto lontanissimo e vicino, ma anche il tentativo di capire come si raccontino, a cosa servano tutte queste storie. A place of safety è la storia dell’incontro tra una compagnia di teatro e un gruppo di persone che ha deciso di dedicare una parte della propria vita al soccorso in mare, ma è anche e soprattutto una scintilla di attenzione sul rimosso collettivo del nostro continente, ciò che accade nel Mediterraneo centrale. In fondo, un discorso intimo su ciò che l’Europa vorrebbe essere, su ciò che non è, su ciò che potrebbe essere».

(Dalla presentazione ufficiale di Emilia Romagna Teatro)

Paolo Martini • 

 Nessuno certo sentiva il bisogno di un così clamoroso effetto Trump, con il varo delle deportazioni dei migranti e il brusco taglio degli aiuti umanitari americani, e nemmeno del balzo in avanti delle destre nazionaliste e xenofobe in Europa. 

 Ci mancava pure il nuovo scontro tra il governo di Giorgia Meloni e i giudici tutti, ordinari, d’Appello e di Giustizia europei, sul balletto delle ‘ricollocazioni’ in Albania e dei respingimenti nei ‘Paesi di origine sicuri’…subito dopo cotanto caso di fuga di Stato, garantita al generale torturatore libico Almasri! 

 Così, tra l’altro, parlando della stagione teatrale d’inizio 2025, un appuntamento di per sé già molto atteso come la prima di ‘A place of safety - Viaggio nel Mediterraneo centrale’ di Kepler-452, all’Arena del Sole di Bologna, il 27 febbraio, si carica oggettivamente di sempre maggiori aspettative. 

 In questo caso, del resto, si parla pur sempre di un genere particolarissimo di ‘post-teatro di realtà fatto con la realtà’, esplicitamente umanista militante e di testimonianza politico-culturale.

Non è che disprezzino gli eterni ammiratori di Peter Brook o i grotowskiani oltranzisti, questi benedetti ragazzi che si sono scelti come nome quello del pianeta più lontano e più simile alla Terra che sia stato scoperto di recente. Sono soltanto di un mondo dopo, si sono messi in compagnia nel 2015, uno nemmeno trentenne e l’altro poco più. E vogliono semplicemente proporre una forma viva e precisa, perciò tout court politica, di rappresentazione del presente.  

 Il fortunato precedente de ‘Il Capitale’, che ha portato la compagnia di Enrico Baraldi e Nicola Borghesi alla ribalta anche europea, ha di fatto contribuito, in maniera aperta, a far rimettere all’ordine del giorno la realtà delle lotte di fabbrica in un’epoca di turbo-capitalismo finanziario.

 Questo ‘A place of safety’, nel pieno della stagione del Risentimento occidentale, si pone addirittura l’obiettivo forse più ‘in direzione ostinata e contraria’ che ci si possa dare oggi: concorrere a un tentativo di ‘Cambiare il racconto sui popoli in movimento’. 

 Così, peraltro, suggerisce il titolo della stessa presentazione pubblica del nuovo lavoro, che si terrà domenica 2 marzo, sempre nel teatro di Bologna, presenti esperti e protagonisti della contro-narrazione mediatica nonché la variegata compagnia che ha retto la scena delle prime rappresentazioni, con diversi esponenti di organizzazioni umanitarie a interloquire con Nicola Borghesi.

 Puntualmente, con l’efficienza sorridente ben nota, si sta impegnando a dovere la famiglia allargata di Emilia Romagna Teatro, che ha come ‘adottato a distanza’ i pur vicinissimi bolognesi di Kepler-452, cioè garantendo la totale indipendenza e il sostegno alle loro creazioni, in questo caso con altre due tra le migliori realtà istituzionali italiane, il Teatro Metastasio di Prato e CSS Teatro stabile di innovazione del Friuli Venezia Giulia.

 Il lancio di ‘A place of Safety’ è cominciato con largo anticipo, e un articolato comunicato stampa (1) con le prime foto è stato diffuso da ERT con la ‘fatidica’ data del 1° febbraio.

Il giorno stesso, guarda caso, in cui i giornali di quasi tutto il mondo analizzavano gli effetti del primo provvedimento suggerito da Elon Musk ‘nuovo Doge’ (come da sigla del dipartimento per i tagli di bilancio) al Presidente Trump: la brusca e immediata sospensione degli aiuti umanitari americani. A cui è seguito, peraltro, l'attacco frontale contro l'agenzia pubblica UsAid, 'nido di serpi dei marxisti della sinistra radicale che odia l'America' (X-Musk).

Questo stop agli aiuti umanitari è stato considerato un vero 'choc tettonico' planetario, dato che gli Usa mettono sul tavolo delle organizzazioni internazionali impegnate nel mondo, di cui sono il primo contribuente, qualcosa come 64,7 miliardi di dollari (62,4 miliardi di euro, dato OCSE 2023).

 ‘Le vittime di questo atto di crudeltà senza pari potrebbero essere centinaia di migliaia’, ha commentato il direttore di ‘Libération’ Dov Alfon (la Francia borghese vanta una ricca tradizione di volontariato laico, vedi anche solo l'esercito di 65mila volontari che nel mondo si raccolgono in Médicins Sans Frontières).

Basti pensare che a restar subito privi degli aiuti americani con cui campavano, saranno i rifugiati nei campi profughi più precari delle situazioni di guerra, per esempio i centomila disperati a Mae La e altri accampamenti tra Birmania e Thainlandia, i quarantamila reclusi a Roj e Al-Hol, nel nord-est siriano, e via elencando.

‘Un mondo impoverito finirà per impoverire anche l'America’ ha spiegato ancora Alfon. ‘Ma lo capiremo ex post, il lungo e il medio termine adesso sono scomparsi dal dibattito pubblico, a Washington come altrove’. 

Prove di 'A place of safety': da sinistra Miguel Duarte, Flavio Catalano, José Ricardo Peña, Giorgia Linardi, Nicola Borghesi - con caschetto e microfono -, Floriana Pati (foto di Alberto Camanni)

 Ha un che di paradossale, tra l’altro, che l’ideologia neo-utilitarista a cui si ispirano Musk e i nuovi techno-oligarchi, si chiami invece ‘long terminism’ perché in nome degli obiettivi di lungo periodo, come il mondo dell’Intelligenza artificiale e la colonizzazione dello spazio, invita i Paesi ricchi a lasciar perdere i problemi irrisolvibili del presente.

Cancellate pure ogni insensato residuo ideologico ecologista o umanitario - ripetono come un mantra i ‘lungo-terministi’ -, bisogna pensare al futuro dell’Umanità, tanto i poveri al presente sono condannati comunque a continuare ad esserlo e la Natura si è sempre rigenerata (sic!)

 E’ chiaro che poi, in concreto, tutto viene ammantato con trovate comunicative diaboliche e di facile effetto: il giorno dopo l’annuncio del blocco dei fondi umanitari dalla Casa Bianca sono arrivate spiegazioni relative di merito, mescolando fake come: ’50 milioni di dollari erano stati diretti per finanziare l'acquisto di preservativi a Gaza, uno spreco grottesco di denaro dei contribuenti’, e riferimenti effettivi a piani certo poco sintonici con il trumpismo, per esempio la protezione di persone LGBT+ in Libano o la prevenzione dell’HIV in America Latina.

 Come sottolineato più volte dall’entusiastico consenso via Twitter di Musk, i nostri Matteo Salvini e Meloni si possono considerare all’avanguardia di questo nuovo trend mondiale, con la rigida applicazione delle nuove leggi per ostacolare le organizzazioni umanitarie che operano nel Mediterraneo, dopo il tentativo social-mediatico di additarle come complici dei ‘mercanti di morte’ dell’immigrazione clandestina. 

 Ecco che, dunque, per tornare all’appuntamento di fine febbraio all’Arena del Sole, è impossibile anche solo affrontare separatamente dal valore etico-politico, la vera e propria prova teatrale, tanto impegnativa anche sotto il profilo per così dire estetico, che attende comunque Kepler-452.

 Ora, per metterla un po’ sul ridere dopo tanta serietà, chissà chi dei due fondatori della compagnia ha deciso per primo di dirigersi verso questo Castello di Frankestein jr., magari - s’immagina - il birrofilo Nicola ha indicato a Enrico la meta imponente e oscura, in una nottata di convivialità ‘luppolare’, ‘Lup…Luppululà? Luppo Ululì…’ 

 E’ che, proprio dopo il successo del Capitale, Kepler-452 ha regalato agli appassionati di emozioni un piccolo gioiello di post-teatro povero, ‘Album’, il racconto in una stanza di un toccante addio alle cose della memoria, frutto dell’esperienza con i volontari tra gli alluvionati in Romagna e di un lavoro di ricerca nei centri per malati di Alzheimer. 

 Ora, con ‘A place of safety’ ecco che affrontano davvero il salto ‘in mare aperto’, come certo inevitabile per il tema e dati i complici e host navali di Sea-Watch e di Emergency. Qui si intende però soffermarsi un attimo sull’upgrade dello spettacolo in termini di linguaggio e d’investimento, anche proprio di quel capitale che ci hanno insegnato Enrico e Nicola e compagni a rileggere marxianamente.

 E’ uno spettacolo importante questo, che richiede infatti un budget considerevole e si avvale persino di contributi professionali extra-kepleriani di rilievo, nomi consolidati e di tutto rispetto come Alberto Favretto per le scene e i costumi, Maria Domènech per il disegno luci, Massimo Carozzi per le musiche e il disegno sonoro e Marta Ciappina per la consulenza sui movimenti.

 Con il talento e la passione che si ritrovano Baraldi e Borghesi non avranno certo avuto problemi a gestire un grande gioco come questo, nemmeno sul fronte della produzione, con quell’ERT dove sono pure portati in palmo di mano. Tra l’altro Walter Malosti è notoriamente un direttore che lascia fare, casomai riconosce e incoraggia i talenti di carattere. 

 Piccola inevitabile parentesi a tema Malosti: l'attore-regista numero uno di ERT si sta giocando la riconferma a cavallo tra questo nuovo Kepler-452 e la chiusura di stagione con ‘Le Nuvole di Amleto’ di Eugenio Barba (a Bologna dal 14 maggio). Tanto di cappello, aldilà di qualunque altra considerazione.

E’ vero che in Emilia Romagna resta pur salda la presa del Pd, ma non parliamo comunque di artisti ascrivibili alla sinistra istituzionale, teatranti organici agli ex comunisti, nipotini di Romano Prodi, o 'cocchi' dell'ex ministro Franceschini.

Bisognerebbe poi considerare pure le possibili reazioni a destra di fronte a queste scelte. S’intende non solo del Ministero a cui spetta la firma sulle nomine nei cosiddetti 'teatri nazionali', ma anche quel che potrebbe dire - o dirà -, già a proposito di questi giorni con K-452 all’Arena del Sole, l’ultrà meloniano bolognese Galeazzo Bignami, ora Capogruppo alla Camera di FdI.

 Chiusa parentesi, tornando alle questioncelle dramaholiche, la metafora del Castello di Frankestein jr indica appunto che in questa impresa così significativa e di peso produttivo, com’è ‘A place of safety’, si gioca tanto anche l’identità kepleriana: non è affatto facile restare fedeli alla bellezza poetica di ‘Album’ entrando così tra le mura della roccaforte teatrale, dove si può risvegliare il Mostro dell’Intrattenimento post-moderno, e per giunta nella versione 'fighetta'.

A noi dichiarati incompetenti e tifosi kepleriani resta la certezza che Baraldi-Borghesi&Co. sapranno come cavarsela bene anche stavolta, ovvero sapranno andare al sodo, destreggiandosi pure tra canzonette e filmati, salvagenti arancioni e invenzioni sceniche, luci da capolavori del Prado e movenze d'arte coreutica, sofisticati remix del suono e altri possibili, pur ammirevoli, 'sovrappiù'.

Epperò, per dirla tutta, ci si può immaginare già Enrico e Nicola, e Roberta Gabriele in regia come assistente, e gli altri compagni di pianeta K-452, così soddisfatti del risultato che alla fine si faranno l’occhiolino mentre si salutano scambiandosi - con buona pace di questa ‘gufata’ del Castello di Frankestein jr. - un sano tocco di gomito e ‘Taffetà a te, taffettà’.

Foto di gruppo dell'equipaggio di Sea Watch 5 che ha ospitato Baraldi e Borghesi (quest'ultimo si riconosce in cima alla scaletta, appoggiato con entrambe le mani al parapetto)


(1) UN DISCORSO INTIMO SULL'EUROPA POSSIBILE

(…) 'A place of Safety - Viaggio nel Mediterraneo centrale' è il risultato di un lungo periodo di indagine sul campo intorno al tema della SAR (search and rescue), cominciato con dialoghi tra Enrico Baraldi e Nicola Borghesi, fondatori e componenti della compagnia, e alcuni referenti di ONG, proseguito con un periodo di residenza a Lampedusa e con la successiva partenza per la rotta mediterranea a bordo della nave Sea-Watch 5, l’11 luglio 2024 dal porto di Messina.

Nell’arco di quasi cinque settimane di navigazione la crew ha soccorso 156 persone, sbarcate poi nel “place of safety”, il porto di La Spezia. La nave, con Borghesi e Baraldi a bordo, è tornata in Sicilia al termine della missione il 5 agosto.

«Un tempo di ricerca molto particolare», affermano i registi: «una compagnia che si imbarca su una nave e, prima di allora, trascorre un periodo di residenza a Lampedusa e, dunque, non in teatro, ma su un'isola, in un porto e con le persone».

(…) Durante il percorso gli artisti hanno incontrato alcuni operatori di Life Support – la nave di EMERGENCY e di Sea-Watch, che sono diventati protagonisti dello spettacolo, in scena con Nicola Borghesi: Flavio Catalano, ufficiale tecnico sommergibilista della Marina Militare, ora in pensione e volontario su Life Support per EMERGENCY in ventidue missioni dal 2022; Miguel Duarte, fisico matematico portoghese, un civil sea rescuer nel Mediterraneo centrale dal 2016, membro dell'equipaggio della nave “Iuventa” che ha rischiato fino a venti anni di carcere per un'accusa di favoreggiamento dell'immigrazione clandestina, oggi capo missione per Sea-Watch; Giorgia Linardi, giurista e portavoce di Sea-Watch, con esperienze anche con Medici Senza Frontiere a bordo della Geo Barents in Libia e, attualmente, Visiting Professor al Graduate Institute of International and Development Studies di Ginevra; Floriana Pati, infermiera specializzata in medicina della migrazione e che dal 2022 ha partecipato a cinque missioni di ricerca e soccorso nel Mar Mediterraneo centrale sulla nave Life Support di EMERGENCY; José Ricardo Peña, nato in Texas, figlio di immigrati messicani, che ha lavorato come elettricista sulle navi prima di diventare un volontario con Sea-Watch, portando a compimento quattro missioni e dando una mano durante i periodi di cantiere.

 «Un cast che è frutto di una lunga ricerca – scrivono Enrico Baraldi e Nicola Borghesi – e che raccoglie persone che hanno testimoniato coi propri occhi punti diversi dell’avventura lunga un decennio del soccorso civile in mare».

 Le testimonianze raccolte, relative agli ultimi dieci anni di ricerca e soccorso nel Mar Mediterraneo, diventano nella drammaturgia le tappe di una missione: dalle paure prima di partire, alle motivazioni che spingono a imbarcarsi, ciò che accade quando ci si avvicina alla zona delle operazioni, il soccorso, fino poi al viaggio di ritorno. Tra le narrazioni dei personaggi una domanda affiora nella mente dei registi: “Come si deve raccontare questa storia?”

«A place of safety è un accumulo di storie impossibili da raccontare – continua la compagnia – accadute in un posto lontanissimo e vicino, ma anche il tentativo di capire come si raccontino, a cosa servano tutte queste storie. A place of safety è la storia dell’incontro tra una compagnia di teatro e un gruppo di persone che ha deciso di dedicare una parte della propria vita al soccorso in mare, ma è anche e soprattutto una scintilla di attenzione sul rimosso collettivo del nostro continente, ciò che accade nel Mediterraneo centrale. In fondo, un discorso intimo su ciò che l’Europa vorrebbe essere, su ciò che non è, su ciò che potrebbe essere».

(Dalla presentazione ufficiale di Emilia Romagna Teatro)

Se questo è un viaggio nel Mediterraneo centrale, bisogna proprio vivere su Kepler-452 per affrontarlo

Paolo Martini • 
La citazione

Siete come vapore che appare per un istante e poi scompare.

Lettera di Giacomo 4,14

 ‘Rescue complete, I repeat: rescue complete’. Per ora possono chiuderla così, proprio come nel finale di ‘A place of safety’, anche Enrico Baraldi e Nicola Borghesi, con Roberta Gabriele, Dario Salvetti, Giovanni Zanotti e gli altri compagni di strada? 

 In effetti, il salvataggio è finito anche per Kepler-452, e non c’erano carabinieri ad aspettarli in porto come quando sono scesi da SeaWatch5, ma soltanto qualche migliaio di spettatori, che alle prime quattro repliche ‘sold out’ nella sala grande dell’Arena del Sole di Bologna, hanno seguito le quasi due ore di rappresentazione con palpabili e sincere commozione, rabbia e compassione, prima ancora d’esplodere in lunghe ‘standing ovation’. 

 Ottimo, saranno andati finalmente a riposarsi, Enrico e Nicola e compagni. Almeno non sono finiti sommersi dall’imponenza di un impianto teatrale borghese, ché Dio-solo-sa se potranno davvero ripetere ‘rescue complete’ anche i megafoni delle anime di questi Extra-Terrestri, abituati da qualche anno a fare puntualmente irruzione nella stanca e trita scena teatrale italiana, per squarciare un po’ il velo della realtà con il racconto di realtà.

 Dopo aver cavalcato la tigre del kolossal, a Kepler-452 tocca in sorte di tornare subito alla dimensione lillipuziana, alla verità del rapporto diretto con poche decine di spettatori, per varie repliche (le prime sono il 12-13 marzo a Trento) di quel gioiello di ‘Album’.

Oltretutto, in termini per così dire di ‘gradazione morale’ del contenuto, ‘Album’ si colloca esattamente al passo prima di questo ‘A place of safety’, legando il tema dell'Alzheimer al dopo alluvione in Romagna.

In fondo, la nostra indifferenza nei confronti delle tragedie dei migranti è un caso specifico, forse il più inaccettabile, di quella sorta di perdita della memoria collettiva della nostra civiltà, ormai schiava di un materialismo dell’accumulazione maniacale che nega persino la bellezza della solidarietà.

 Purtroppo, come mi fa notare la solita vicina di poltrona intelligente, si deve constatare la progressiva crescita di una consapevolezza radicalmente pessimistica, da parte degli autori de ‘Il Capitale’ di lotta e di teatro, prima, e poi dell’umanissimo e già sofferente ‘Album’.

Ora sembra che dal mare anche i kepleriani siano tornati con l’orizzonte chiuso da quelle onde scure e terribili, ed era abbastanza prevedibile che ne sarebbero usciti sfiniti. Ma sono chiacchiere da spettatori adulti e senior, che sono come genitori per questi ‘ragazzi’: vorrebbero sempre e solo vederli sorridere alla rossa primavera da conquistare dove sorge il sol dell’avvenire.

Peccato che non sia proprio possibile.   

 Bisognerà aspettare il ritorno dalle varie missioni di soccorso che s’intensificano con le belle stagioni, dei cinque veri protagonisti del racconto di questo ‘Viaggio nel Mediterraneo centrale’, per assistere alla tripla ripresa di ‘A place of safety’, verso fine 2025, in casa dei co-produttori che hanno affiancato ERT Emilia Romagna Teatro.

Si comincia a novembre, per il festival ‘Rencontres des Arts de la Scène en Méditerranée’ che organizza il Théâtre des 13 vents di Montpellier; segue, il 2 dicembre, la replica al Teatro Palamostre del CSS di Udine (dove dal 10 aprile, in sala Pier Paolo Pasolini, Kepler-452 presenta 4 repliche di ‘Album’); e dal 4 al 7 dicembre 2025 rieccoli al Teatro Metastasio di Prato (altra bella realtà di provincia dove, tra l’altro, Baraldi nel 2022 è riuscito a varare, con un pugno di attrici ucraine, il notevole ‘Non tre sorelle / He tpи cectpи - Liberamente non ispirato a un’opera di A. Cechov’).

 Attenzione: si parla anche di una prossima ‘versione lettura’, nuda e cruda sul testo preparatorio, poco più o poco meno, che dovrebbe tenersi a Milano, a metà maggio, nell’ambito di un nuovo festival di Zona K. Benissimo.

Per chi ha già visto la versione teatrale grandiosa, sarà pure l’occasione di poter verificare ancor meglio, come entrando nel laboratorio di Kepler-452, la sostanza di questo lavoro.

‘A place of safety’ è infatti sembrato così tanto dentro alla scrittura e alla drammaturgia, senza cedimenti facili al pietismo e alle ideologie, come i grandi romanzi di mare di fine Ottocento si fondavano su mirabolanti costruzioni narrative pre-psicanalisi (ovvero sulla convenzione anche un po' reazionaria che ‘il cuore di tenebra’ esista e sia davvero tale), prive di fronzoli e di facili spiegazioni pseudo-razionali.

 La scelta del tema meta-teatrale, di come una compagnia approccia il mondo dei soccorsi in mare per raccontarlo in uno spettacolo, e l’abilità con cui è costruito il crescendo drammatico, intessuto all’inizio con ironia e disincanto, non fa che mettere in luce la verità dei personaggi scelti e portati in scena, così ben assortiti e calibrati: cinque ‘attori’ veri e naturali, che non interpretano ma confessano ciascuno le proprie contraddizioni, piccole e grandi.

 Come a specchio, il narratore Borghesi racconta addirittura d’aver sempre avuto paura persino dell’acqua, e mette in piazza tutta la contraddittorietà di questo lavoro, ammettendo che è pure troppo accattivante e tanto razzista, fatto soltanto da bianchi, fino al monologo in cui motiva la decisione di chiudere il racconto con le immagini della festa dei naufraghi scampati sulla nave.

 Detto tra parentesi - é un mezzo spoiler! - in realtà ci saranno poi pure un contro-finale e un finale, non senza prima un bellissimo ‘dopo-ultimo monologo’ di documentazione fotografica (ecco, forse solo in questo sovrappiù di finali, sì, che si vede 'il solco' di Milo Rau; per il resto zero: il guru svizzero tedesco avrebbe fatto la sua bella ‘Ifigenia in SAR-Sea-Med’, invece che in Tauride...).

 In particolare quel fermo immagine - spoilerissimo! - sul corpulento carabiniere in borghese che mette al muro con il numerino per la fotografia segnaletica un piccolo bimbo nero, manco fosse baby-Scarface, è francamente terribile e disarmante: ci racconta in quale ribaltamento di valori e di senso siamo precipitati.

 Peraltro tutta la scelta delle immagini girate e raccolte da Enrico Baraldi è assolutamente perfetta, anti-retorica, imprevedibile e pregnante. Quell’orizzonte marino cupo cupo e minaccioso, sparato lungo quasi l’intera scena, alla partenza della missione di Sea Watch 5, è esattamente quel che si porta poi dentro lo spettatore, nonché rappresenta di fatto la suggestione che anticipa l’apoteosi dell’eroe, il capo-missione Miguel Duarte, nel monologo in portoghese sul degrado morale europeo.  

 A Duarte è affidato anche il compito di aprire e in qualche modo di presentare l’intero lavoro, comunicando al pubblico l’unica autentica possibilità di trovare un senso residuale - ‘forse lo facciamo soltanto per noi stessi’ - alla disperante dissennatezza dell’impegno ‘umanitarista’ in mare, che a specchio è poi identica all’impossibilità del racconto teatrale dello stesso e, sempre più in piccolo, all’insopportabile posizione comoda di spettatori di questa finzione. 

Manuel Duarte, capomissione di Sea Watch 5, durante le prove (foto di Luca Del Pia)

 Ciascuno dei protagonisti ha una parte precisa, ritagliata su misura e ‘autenticata’ con aneddoti di vita vissuta perfettamente calibrati: il vecchio ex sommergibilista Flavio Catalano, ormai disarmato di fronte alle ideologie e persino alla riconoscenza umana; l’elettricista folle José Ricardo Peña, latino-americano, figlio d’immigrati clandestini in Texas, il più naturalmente vicino alla condizione dei migranti e il meno consono alle regole delle organizzazioni umanitarie.

Ci sono poi l’ex infermiera di pronto soccorso Floriana Pati, che è una specie di deuteragonista di Duarte sulla nave; la militante e studiosa di diritto dei rifugiati Giorgia Linardi, che di Sea Watch è anche portavoce, cui tocca il compito ingrato di fare il punto sulle parti più ostiche, a cominciare dal terribile e disumano regresso politico imposto alla guardia costiera e alla marina militare.              

 Di primo acchito la materia stessa, così sporca - nel senso proprio, del maleodorante ‘distress’ dei naufraghi che Floriana ci racconta così bene, e pure di riflesso, nella nostra coscienza d’indifferenti -, impedisce di stare sereni e men che meno freddi a giudicare lo spettacolo. 

  Un altro vicino, arrivato al definitivo groppo in gola dopo il primo monologo dell’infermiera, sul destino che attende in Italia i salvati, confessa che si sarebbe volentieri alzato dalla poltrona per guadagnare l’uscita verso una confortevole lasagna. 

 Esattamente come il dramma stesso di cui parla, anche ‘A place of safety’ è un caso di ribaltamento delle aspettative. Più che farsi ammirare per grandiosità, schiaccia e fa sentire piccoli-piccoli, e meschini, gli spettatori con un barlume di coscienza, da andare tutti a confessarsi subito per il peccato d’omissione (non a caso uno dei più rimossi dalle chiese). 

 Questo salto quasi nell’etica cristiana delle origini, si poteva già intuire grazie a due puntuali presentazioni comparse con grande rilievo sul gornale cattolico ‘Avvenire’, a firma di Michele Sciancalepore, e su ‘Famiglia cristiana’, con un’intervista congiunta a Baraldi e Borghesi, di Antonio Sanfrancesco.

In questo ampio testo i due ‘marpioni’ kepleriani facevano addirittura cenno a una personale riscoperta della dimensione religiosa e spirituale durante la preparazione di questo lavoro, ma chi può dire che non fosse soprattutto per la gioia delle mamme che non li hanno visti per settimane? 

 Nessuno può credere che a Kepler-452, dove fingono già di aver compulsato l'ostico malloppone di critica dell’economia politica di Marx, adesso si siano messi a leggere il Nuovo Testamento, anche solo quel centinaio di versetti della Lettera di Giacomo, o addirittura giusto al capitolo 4,11-17, con il più esplicito richiamo all’imperativo morale di fare il bene se si conosce qual è: ché questo sapere che cosa sarebbe bene fare, ma non farlo, è davvero un peccato grave - ed è il nostro stesso, guarda caso, di spettatori, soprattutto dopo ‘A place of safety’. 

 I lettori cattolici hanno avuto la possibilità anche di conoscere la più semplice e precisa esposizione di poetica teatrale di Baraldi e Borghesi: ‘Per noi la possibilità di avere delle persone (di Sea Watch e Life support) che hanno visto e vissuto questo fenomeno con i loro occhi e che hanno agito con il loro corpo è un grande valore aggiunto ed è molto diversa, dal punto di vista teatrale, scenico e del racconto, rispetto che ad affidarlo ad attori professionisti'.

Ancora (corsivi nostri): 'Non è tanto una sfiducia nelle possibilità del teatro, ma appunto una fiducia ancora maggiore nella possibilità del teatro di essere un luogo aperto ad accogliere storie, testimoni diretti, vissuti personali. Se vogliamo, è il ritorno all’idea di un teatro come luogo di formazione civica ed espressione dell’agora, come avrebbero detto i greci del quinto secolo, in cui due comunità si incontrano – una per raccontare una storia e l'altra per sentirsela raccontare. Come già accade tra cinema e documentario, anche il teatro si può inserire in questo filone di non mediazione e tessere questo filo diretto tra testimoni e ascoltatori’.

 Perfetto. Ed è davvero confortante notare come Kepler-452 riesca poi così a farsi comprendere e accettare anche dagli spettatori più difficili, in primis quelli delle ultime generazioni, che per formazione e gusti artistici hanno maturato una giusta repulsione nei confronti del vecchio teatro-teatrante e del nuovo intellettualistico, inutile e bolso (prova ne sia anche soltanto la precisa recensione di Emanuela Zanon sul magazine online Juliet).

 Ma ogni considerazione ulteriore e specifica vale quel che vale, poco o nulla, rispetto al risultato agghiacciante di questo racconto di realtà, che sbatte garbatamente in faccia a noi spettatori quello che ‘nessuno di noi’ vuole vedere.

E lo fa, oltretutto, attraverso la mediazione perfetta di personaggi e di storie così potenzialmente da ‘uno di noi’.

La distanza è davvero corta, grazie a Borghesi stesso (in fondo fa la parte anche del primo spettatore in scena), sia in particolare con le due straordinarie figure femminili, la perfetta neo-kepleriana Floriana e questa ‘Altra Giorgia’ così agli antipodi rispetto alla nostra/o illustre premier. Esempi viventi, con l'immenso Duarte, di quanto Guccini - altro che Battiato! - avesse ragione: 'gli eroi sono tutti giovani e belli...'

 A proposito di politica, perché di questo soprattutto si tratta, una bella domanda sui contenuti della manifestazione per l’Europa se la sarebbe posta seriamente lo stesso Michele Serra, se avesse lasciato per una sera il suo ‘buen ritiro’ nel vicino Appennino per assistere anche soltanto al primo racconto di Giorgia Linardi e al monologo chiave di Duarte. 

 Per non dire del bravo primo cittadino di Bologna, Matteo Lepore, subito schieratosi tra gli entusiastici sindaci organizzatori della sfilata ‘europeista’, che risulta essersi poi discretamente seduto in platea, da spettatore, nel suo teatro, per questa così importante nuova prova della compagnia gioiello della sua città. 

 Possono sempre rimediare, Serra, Lepore che l'ha visto e apprezzato, e tutti i nuovi 'ursulisti e riarmisti' di complemento: si facciano mandare una piccola registrazione degli spezzoni chiave di 'A place of safety' da proiettare in piazza, chiedano magari ai kepleriani se è possibile allestire al volo una versione ridotta, una breve lettura.

Si dovrà pure dar retta agli artisti dissidenti: non saremo mica di fronte a un clima da nuovo stalinismo, quando qualunque critica e qualunque diversità diventavano subito attività ‘anti-sovietiche’?

Quest’Europa che si crede 'assediata' ai confini, dai poveracci prima ancora che dai russi, fa proprio schifo e noi tutti ‘europeisti’ di risulta, meritiamo davvero di finire in fretta - ‘come vapore che appare per un istante e poi scompare’, quale tutti noi umani siamo - nello stesso inferno di cui abbiamo spalancato i cancelli ai migranti.      

Giorgia Linardi e Floriana Pati, la meglio gioventù che Kepler-452 ha portato in scena (foto di Luca Del Pia)
Paolo Martini • 
La citazione

Siete come vapore che appare per un istante e poi scompare.

Lettera di Giacomo 4,14

 ‘Rescue complete, I repeat: rescue complete’. Per ora possono chiuderla così, proprio come nel finale di ‘A place of safety’, anche Enrico Baraldi e Nicola Borghesi, con Roberta Gabriele, Dario Salvetti, Giovanni Zanotti e gli altri compagni di strada? 

 In effetti, il salvataggio è finito anche per Kepler-452, e non c’erano carabinieri ad aspettarli in porto come quando sono scesi da SeaWatch5, ma soltanto qualche migliaio di spettatori, che alle prime quattro repliche ‘sold out’ nella sala grande dell’Arena del Sole di Bologna, hanno seguito le quasi due ore di rappresentazione con palpabili e sincere commozione, rabbia e compassione, prima ancora d’esplodere in lunghe ‘standing ovation’. 

 Ottimo, saranno andati finalmente a riposarsi, Enrico e Nicola e compagni. Almeno non sono finiti sommersi dall’imponenza di un impianto teatrale borghese, ché Dio-solo-sa se potranno davvero ripetere ‘rescue complete’ anche i megafoni delle anime di questi Extra-Terrestri, abituati da qualche anno a fare puntualmente irruzione nella stanca e trita scena teatrale italiana, per squarciare un po’ il velo della realtà con il racconto di realtà.

 Dopo aver cavalcato la tigre del kolossal, a Kepler-452 tocca in sorte di tornare subito alla dimensione lillipuziana, alla verità del rapporto diretto con poche decine di spettatori, per varie repliche (le prime sono il 12-13 marzo a Trento) di quel gioiello di ‘Album’.

Oltretutto, in termini per così dire di ‘gradazione morale’ del contenuto, ‘Album’ si colloca esattamente al passo prima di questo ‘A place of safety’, legando il tema dell'Alzheimer al dopo alluvione in Romagna.

In fondo, la nostra indifferenza nei confronti delle tragedie dei migranti è un caso specifico, forse il più inaccettabile, di quella sorta di perdita della memoria collettiva della nostra civiltà, ormai schiava di un materialismo dell’accumulazione maniacale che nega persino la bellezza della solidarietà.

 Purtroppo, come mi fa notare la solita vicina di poltrona intelligente, si deve constatare la progressiva crescita di una consapevolezza radicalmente pessimistica, da parte degli autori de ‘Il Capitale’ di lotta e di teatro, prima, e poi dell’umanissimo e già sofferente ‘Album’.

Ora sembra che dal mare anche i kepleriani siano tornati con l’orizzonte chiuso da quelle onde scure e terribili, ed era abbastanza prevedibile che ne sarebbero usciti sfiniti. Ma sono chiacchiere da spettatori adulti e senior, che sono come genitori per questi ‘ragazzi’: vorrebbero sempre e solo vederli sorridere alla rossa primavera da conquistare dove sorge il sol dell’avvenire.

Peccato che non sia proprio possibile.   

 Bisognerà aspettare il ritorno dalle varie missioni di soccorso che s’intensificano con le belle stagioni, dei cinque veri protagonisti del racconto di questo ‘Viaggio nel Mediterraneo centrale’, per assistere alla tripla ripresa di ‘A place of safety’, verso fine 2025, in casa dei co-produttori che hanno affiancato ERT Emilia Romagna Teatro.

Si comincia a novembre, per il festival ‘Rencontres des Arts de la Scène en Méditerranée’ che organizza il Théâtre des 13 vents di Montpellier; segue, il 2 dicembre, la replica al Teatro Palamostre del CSS di Udine (dove dal 10 aprile, in sala Pier Paolo Pasolini, Kepler-452 presenta 4 repliche di ‘Album’); e dal 4 al 7 dicembre 2025 rieccoli al Teatro Metastasio di Prato (altra bella realtà di provincia dove, tra l’altro, Baraldi nel 2022 è riuscito a varare, con un pugno di attrici ucraine, il notevole ‘Non tre sorelle / He tpи cectpи - Liberamente non ispirato a un’opera di A. Cechov’).

 Attenzione: si parla anche di una prossima ‘versione lettura’, nuda e cruda sul testo preparatorio, poco più o poco meno, che dovrebbe tenersi a Milano, a metà maggio, nell’ambito di un nuovo festival di Zona K. Benissimo.

Per chi ha già visto la versione teatrale grandiosa, sarà pure l’occasione di poter verificare ancor meglio, come entrando nel laboratorio di Kepler-452, la sostanza di questo lavoro.

‘A place of safety’ è infatti sembrato così tanto dentro alla scrittura e alla drammaturgia, senza cedimenti facili al pietismo e alle ideologie, come i grandi romanzi di mare di fine Ottocento si fondavano su mirabolanti costruzioni narrative pre-psicanalisi (ovvero sulla convenzione anche un po' reazionaria che ‘il cuore di tenebra’ esista e sia davvero tale), prive di fronzoli e di facili spiegazioni pseudo-razionali.

 La scelta del tema meta-teatrale, di come una compagnia approccia il mondo dei soccorsi in mare per raccontarlo in uno spettacolo, e l’abilità con cui è costruito il crescendo drammatico, intessuto all’inizio con ironia e disincanto, non fa che mettere in luce la verità dei personaggi scelti e portati in scena, così ben assortiti e calibrati: cinque ‘attori’ veri e naturali, che non interpretano ma confessano ciascuno le proprie contraddizioni, piccole e grandi.

 Come a specchio, il narratore Borghesi racconta addirittura d’aver sempre avuto paura persino dell’acqua, e mette in piazza tutta la contraddittorietà di questo lavoro, ammettendo che è pure troppo accattivante e tanto razzista, fatto soltanto da bianchi, fino al monologo in cui motiva la decisione di chiudere il racconto con le immagini della festa dei naufraghi scampati sulla nave.

 Detto tra parentesi - é un mezzo spoiler! - in realtà ci saranno poi pure un contro-finale e un finale, non senza prima un bellissimo ‘dopo-ultimo monologo’ di documentazione fotografica (ecco, forse solo in questo sovrappiù di finali, sì, che si vede 'il solco' di Milo Rau; per il resto zero: il guru svizzero tedesco avrebbe fatto la sua bella ‘Ifigenia in SAR-Sea-Med’, invece che in Tauride...).

 In particolare quel fermo immagine - spoilerissimo! - sul corpulento carabiniere in borghese che mette al muro con il numerino per la fotografia segnaletica un piccolo bimbo nero, manco fosse baby-Scarface, è francamente terribile e disarmante: ci racconta in quale ribaltamento di valori e di senso siamo precipitati.

 Peraltro tutta la scelta delle immagini girate e raccolte da Enrico Baraldi è assolutamente perfetta, anti-retorica, imprevedibile e pregnante. Quell’orizzonte marino cupo cupo e minaccioso, sparato lungo quasi l’intera scena, alla partenza della missione di Sea Watch 5, è esattamente quel che si porta poi dentro lo spettatore, nonché rappresenta di fatto la suggestione che anticipa l’apoteosi dell’eroe, il capo-missione Miguel Duarte, nel monologo in portoghese sul degrado morale europeo.  

 A Duarte è affidato anche il compito di aprire e in qualche modo di presentare l’intero lavoro, comunicando al pubblico l’unica autentica possibilità di trovare un senso residuale - ‘forse lo facciamo soltanto per noi stessi’ - alla disperante dissennatezza dell’impegno ‘umanitarista’ in mare, che a specchio è poi identica all’impossibilità del racconto teatrale dello stesso e, sempre più in piccolo, all’insopportabile posizione comoda di spettatori di questa finzione. 

Manuel Duarte, capomissione di Sea Watch 5, durante le prove (foto di Luca Del Pia)

 Ciascuno dei protagonisti ha una parte precisa, ritagliata su misura e ‘autenticata’ con aneddoti di vita vissuta perfettamente calibrati: il vecchio ex sommergibilista Flavio Catalano, ormai disarmato di fronte alle ideologie e persino alla riconoscenza umana; l’elettricista folle José Ricardo Peña, latino-americano, figlio d’immigrati clandestini in Texas, il più naturalmente vicino alla condizione dei migranti e il meno consono alle regole delle organizzazioni umanitarie.

Ci sono poi l’ex infermiera di pronto soccorso Floriana Pati, che è una specie di deuteragonista di Duarte sulla nave; la militante e studiosa di diritto dei rifugiati Giorgia Linardi, che di Sea Watch è anche portavoce, cui tocca il compito ingrato di fare il punto sulle parti più ostiche, a cominciare dal terribile e disumano regresso politico imposto alla guardia costiera e alla marina militare.              

 Di primo acchito la materia stessa, così sporca - nel senso proprio, del maleodorante ‘distress’ dei naufraghi che Floriana ci racconta così bene, e pure di riflesso, nella nostra coscienza d’indifferenti -, impedisce di stare sereni e men che meno freddi a giudicare lo spettacolo. 

  Un altro vicino, arrivato al definitivo groppo in gola dopo il primo monologo dell’infermiera, sul destino che attende in Italia i salvati, confessa che si sarebbe volentieri alzato dalla poltrona per guadagnare l’uscita verso una confortevole lasagna. 

 Esattamente come il dramma stesso di cui parla, anche ‘A place of safety’ è un caso di ribaltamento delle aspettative. Più che farsi ammirare per grandiosità, schiaccia e fa sentire piccoli-piccoli, e meschini, gli spettatori con un barlume di coscienza, da andare tutti a confessarsi subito per il peccato d’omissione (non a caso uno dei più rimossi dalle chiese). 

 Questo salto quasi nell’etica cristiana delle origini, si poteva già intuire grazie a due puntuali presentazioni comparse con grande rilievo sul gornale cattolico ‘Avvenire’, a firma di Michele Sciancalepore, e su ‘Famiglia cristiana’, con un’intervista congiunta a Baraldi e Borghesi, di Antonio Sanfrancesco.

In questo ampio testo i due ‘marpioni’ kepleriani facevano addirittura cenno a una personale riscoperta della dimensione religiosa e spirituale durante la preparazione di questo lavoro, ma chi può dire che non fosse soprattutto per la gioia delle mamme che non li hanno visti per settimane? 

 Nessuno può credere che a Kepler-452, dove fingono già di aver compulsato l'ostico malloppone di critica dell’economia politica di Marx, adesso si siano messi a leggere il Nuovo Testamento, anche solo quel centinaio di versetti della Lettera di Giacomo, o addirittura giusto al capitolo 4,11-17, con il più esplicito richiamo all’imperativo morale di fare il bene se si conosce qual è: ché questo sapere che cosa sarebbe bene fare, ma non farlo, è davvero un peccato grave - ed è il nostro stesso, guarda caso, di spettatori, soprattutto dopo ‘A place of safety’. 

 I lettori cattolici hanno avuto la possibilità anche di conoscere la più semplice e precisa esposizione di poetica teatrale di Baraldi e Borghesi: ‘Per noi la possibilità di avere delle persone (di Sea Watch e Life support) che hanno visto e vissuto questo fenomeno con i loro occhi e che hanno agito con il loro corpo è un grande valore aggiunto ed è molto diversa, dal punto di vista teatrale, scenico e del racconto, rispetto che ad affidarlo ad attori professionisti'.

Ancora (corsivi nostri): 'Non è tanto una sfiducia nelle possibilità del teatro, ma appunto una fiducia ancora maggiore nella possibilità del teatro di essere un luogo aperto ad accogliere storie, testimoni diretti, vissuti personali. Se vogliamo, è il ritorno all’idea di un teatro come luogo di formazione civica ed espressione dell’agora, come avrebbero detto i greci del quinto secolo, in cui due comunità si incontrano – una per raccontare una storia e l'altra per sentirsela raccontare. Come già accade tra cinema e documentario, anche il teatro si può inserire in questo filone di non mediazione e tessere questo filo diretto tra testimoni e ascoltatori’.

 Perfetto. Ed è davvero confortante notare come Kepler-452 riesca poi così a farsi comprendere e accettare anche dagli spettatori più difficili, in primis quelli delle ultime generazioni, che per formazione e gusti artistici hanno maturato una giusta repulsione nei confronti del vecchio teatro-teatrante e del nuovo intellettualistico, inutile e bolso (prova ne sia anche soltanto la precisa recensione di Emanuela Zanon sul magazine online Juliet).

 Ma ogni considerazione ulteriore e specifica vale quel che vale, poco o nulla, rispetto al risultato agghiacciante di questo racconto di realtà, che sbatte garbatamente in faccia a noi spettatori quello che ‘nessuno di noi’ vuole vedere.

E lo fa, oltretutto, attraverso la mediazione perfetta di personaggi e di storie così potenzialmente da ‘uno di noi’.

La distanza è davvero corta, grazie a Borghesi stesso (in fondo fa la parte anche del primo spettatore in scena), sia in particolare con le due straordinarie figure femminili, la perfetta neo-kepleriana Floriana e questa ‘Altra Giorgia’ così agli antipodi rispetto alla nostra/o illustre premier. Esempi viventi, con l'immenso Duarte, di quanto Guccini - altro che Battiato! - avesse ragione: 'gli eroi sono tutti giovani e belli...'

 A proposito di politica, perché di questo soprattutto si tratta, una bella domanda sui contenuti della manifestazione per l’Europa se la sarebbe posta seriamente lo stesso Michele Serra, se avesse lasciato per una sera il suo ‘buen ritiro’ nel vicino Appennino per assistere anche soltanto al primo racconto di Giorgia Linardi e al monologo chiave di Duarte. 

 Per non dire del bravo primo cittadino di Bologna, Matteo Lepore, subito schieratosi tra gli entusiastici sindaci organizzatori della sfilata ‘europeista’, che risulta essersi poi discretamente seduto in platea, da spettatore, nel suo teatro, per questa così importante nuova prova della compagnia gioiello della sua città. 

 Possono sempre rimediare, Serra, Lepore che l'ha visto e apprezzato, e tutti i nuovi 'ursulisti e riarmisti' di complemento: si facciano mandare una piccola registrazione degli spezzoni chiave di 'A place of safety' da proiettare in piazza, chiedano magari ai kepleriani se è possibile allestire al volo una versione ridotta, una breve lettura.

Si dovrà pure dar retta agli artisti dissidenti: non saremo mica di fronte a un clima da nuovo stalinismo, quando qualunque critica e qualunque diversità diventavano subito attività ‘anti-sovietiche’?

Quest’Europa che si crede 'assediata' ai confini, dai poveracci prima ancora che dai russi, fa proprio schifo e noi tutti ‘europeisti’ di risulta, meritiamo davvero di finire in fretta - ‘come vapore che appare per un istante e poi scompare’, quale tutti noi umani siamo - nello stesso inferno di cui abbiamo spalancato i cancelli ai migranti.      

Giorgia Linardi e Floriana Pati, la meglio gioventù che Kepler-452 ha portato in scena (foto di Luca Del Pia)

Vedere i fantasmi de 'La zona blu' nel cielo stellato sopra il Mediterraneo, questa sì che è un'utopia teatrale

Paolo Martini • 

 ‘La zona blu’ che dà il titolo a questo diario del viaggio nel Mediterraneo con i soccorritori di Sea-Watch (base del lavoro da cui la compagnia Kepler-452 ha tratto ‘A place of safety’), è lo spazio dove vengono appoggiati a morire i naufraghi considerati subito casi disperati. Eppure, a differenza dello straordinario ‘politikolossal’ presentato all’Arena del Sole di Bologna il 27 febbraio, questa ‘lettura di appunti ai confini dell’Europa’ porta decisamente meno dentro la camera magmatica del dramma epocale di quest’olocausto migratorio. 

 E’ un lavoro d’una ben diversa crudezza, prima di tutto perché in questo caso non ci sono le testimonianze dei soccorritori. Ma anche nei racconti del narratore ‘La zona blu’ risulta poi quasi completamente diverso da ‘A place of safety’, che resta così tutto da scoprire per il grande pubblico atteso nell’impegnativa tournée autunnale.

Il regista Enrico Baraldi, il frontman Nicola Borghesi, l’angelo custode producer Roberta Gabriele e i ragazzi della compagnia bolognese batteranno decine di piazze, da Montpellier a Udine, da Prato a Torino, per non dire dei teatri dell’Emilia Romagna quasi al completo, e qualche giorno di metà dicembre persino il Piccolo Teatro Studio.

In vista delle repliche di ‘A place of safety’, ‘La zona blu’ è stato uno degli eventi del nuovo festival LIFE a Milano, ma verrà riproposto ancora dai kepleriani in questi prossimi mesi. In questo periodo, peraltro, la compagnia bolognese ha lodevolmente riportato in giro il piccolo gioiello di teatro-conversazione ‘Album’.

 Anche questo diario è ritagliato su misura di Nicola Borghesi, la cui cifra di autore e di attore s’apre decisamente spesso e volentieri al sorriso, alla battuta, al racconto con virate improvvise alla comicità, e invece dosa con sobrietà i crescendo verso l’indignazione. 

 Oltre al canovaccio degli appunti preparatori di ‘A place of safety’, in ‘La zona blu’ entrano in gioco un certo numero di immagini girate da Enrico Baraldi nelle varie situazioni di cui si parla e in modo altrettanto sobrio un accompagnamento musicale sorprendente, con la contrabbassista-musicista elettronica Francesca Boccolini, che in scena sembrava a tratti la prima spettatrice commossa da un racconto che davvero non lascia indifferenti.

 Caldeggiando comunque ai più sensibili, come per ‘A place of safety’, di dotarsi tempestivamente di citrosodina, gaviscon, geffer e diavolerie varie per frenare l’inevitabile motilità dello stomaco da complessi di colpa del borghese indifferente, che cosa si può dire alla fine di questo ‘La zona blu’?

 Senza voler spoilerare oltre misura, non si può però non prendere atto di una straordinaria chiusa ‘shakespeariana’ in cui Borghesi espone - forse bene come mai prima aveva fatto - la poetica stessa del teatro di Kepler-452. Lo fa attraverso il racconto sulle stelle che il comandante tedesco di Sea-Watch decide di tenere all’equipaggio sul ponte, durante la prima notte del ritorno dopo la missione, tracciando un’appassionata e competente mappa del cielo stellato, con relativi approfondimenti mitologici sui nomi. 

 Nell’artificio retorico finale il narratore che si è spinto un po’ disperatamente fino a ‘La zona blu’, riscopre proprio il suo ruolo in una sfida tanto ardua da apparire insensata, quale questa su un tema così caldo, contemplando l’immensità del cielo stellato dentro il cui infinito brillio poi si perderebbe tutto, se in realtà ciascun pianeta non avesse un nome o una storia, dove le storie che non si dimenticano per sempre sono soltanto quelle che vengono raccontate bene, così bene, addirittura, da sfiorare la creazione di miti.

 Che cosa può mai dire a questo punto lo spettatore appassionato, persino già kepleriano convinto? Alza le mani per gli applausi, ma idealmente ha già subito fatto il gesto di allargarle verso il basso, ‘eh beh’, come a ripetere il gesto istintivo della resa immediata all’ammirazione.               

 Peraltro, Baraldi e Borghesi potevano finire proprio malconci dopo questa impresa di ‘A place of safety’, anche personalmente, oltre che professionalmente. E invece no, sembrano rinati e persino ringiovaniti.

Più saldi ancora nella convinzione di voler fare questo teatro di storie di realtà, di voler aggiungere la luminescenza ad altri racconti di vita, di vite magari che il mondo scarta subito via. 

Enrico Baraldi con Nicola Borghesi a bordo della Sea-Watch 5 (foto di Luca Del Pia)

 P.S.: Chissà, forse nell’analisi dello spettro psicologico dello spettatore appassionato, dovrebbero entrare in gioco anche gli istinti di protezione nei confronti della specie dei teatranti. 

 Funzionano un po’ al contrario del meccanismo che gli allievi di Freud chiamano ‘effetto spettatore’, intendendo l’apatia che scatta rispetto a quel che subisce/prova/vive un’altra persona proprio di fronte al soggetto all’effetto di cui sopra; peraltro gli inglesi lo chiamano ‘bystander effect’, e quindi qualcosa a che fare con le tribune per il pubblico ce l’ha pure.

 E’ al rovescio di così che invece tira un sospiro di sollievo, il 14 maggio alla Fabbrica del Vapore di Milano, grazie all’intraprendenza delle solite ‘cattive ragazze’ di Zona K, anche il lato paterno del ‘boomer’ dramaholico, entrato un po’ in ansia dopo la prima di ‘A place of safety’. 

 Fa proprio piacere ritrovare i marziani teatrali di Kepler-452 in gran forma, con la meglio gioventù di amici e seguaci a circondarli, sempre un buon quarto d’ora prima dello spettacolo e poi ‘ad libitum’ dopo, mentre se ne stanno con grande tranquillità e non falsa modestia a salutare tutti. 

Paolo Martini • 

 ‘La zona blu’ che dà il titolo a questo diario del viaggio nel Mediterraneo con i soccorritori di Sea-Watch (base del lavoro da cui la compagnia Kepler-452 ha tratto ‘A place of safety’), è lo spazio dove vengono appoggiati a morire i naufraghi considerati subito casi disperati. Eppure, a differenza dello straordinario ‘politikolossal’ presentato all’Arena del Sole di Bologna il 27 febbraio, questa ‘lettura di appunti ai confini dell’Europa’ porta decisamente meno dentro la camera magmatica del dramma epocale di quest’olocausto migratorio. 

 E’ un lavoro d’una ben diversa crudezza, prima di tutto perché in questo caso non ci sono le testimonianze dei soccorritori. Ma anche nei racconti del narratore ‘La zona blu’ risulta poi quasi completamente diverso da ‘A place of safety’, che resta così tutto da scoprire per il grande pubblico atteso nell’impegnativa tournée autunnale.

Il regista Enrico Baraldi, il frontman Nicola Borghesi, l’angelo custode producer Roberta Gabriele e i ragazzi della compagnia bolognese batteranno decine di piazze, da Montpellier a Udine, da Prato a Torino, per non dire dei teatri dell’Emilia Romagna quasi al completo, e qualche giorno di metà dicembre persino il Piccolo Teatro Studio.

In vista delle repliche di ‘A place of safety’, ‘La zona blu’ è stato uno degli eventi del nuovo festival LIFE a Milano, ma verrà riproposto ancora dai kepleriani in questi prossimi mesi. In questo periodo, peraltro, la compagnia bolognese ha lodevolmente riportato in giro il piccolo gioiello di teatro-conversazione ‘Album’.

 Anche questo diario è ritagliato su misura di Nicola Borghesi, la cui cifra di autore e di attore s’apre decisamente spesso e volentieri al sorriso, alla battuta, al racconto con virate improvvise alla comicità, e invece dosa con sobrietà i crescendo verso l’indignazione. 

 Oltre al canovaccio degli appunti preparatori di ‘A place of safety’, in ‘La zona blu’ entrano in gioco un certo numero di immagini girate da Enrico Baraldi nelle varie situazioni di cui si parla e in modo altrettanto sobrio un accompagnamento musicale sorprendente, con la contrabbassista-musicista elettronica Francesca Boccolini, che in scena sembrava a tratti la prima spettatrice commossa da un racconto che davvero non lascia indifferenti.

 Caldeggiando comunque ai più sensibili, come per ‘A place of safety’, di dotarsi tempestivamente di citrosodina, gaviscon, geffer e diavolerie varie per frenare l’inevitabile motilità dello stomaco da complessi di colpa del borghese indifferente, che cosa si può dire alla fine di questo ‘La zona blu’?

 Senza voler spoilerare oltre misura, non si può però non prendere atto di una straordinaria chiusa ‘shakespeariana’ in cui Borghesi espone - forse bene come mai prima aveva fatto - la poetica stessa del teatro di Kepler-452. Lo fa attraverso il racconto sulle stelle che il comandante tedesco di Sea-Watch decide di tenere all’equipaggio sul ponte, durante la prima notte del ritorno dopo la missione, tracciando un’appassionata e competente mappa del cielo stellato, con relativi approfondimenti mitologici sui nomi. 

 Nell’artificio retorico finale il narratore che si è spinto un po’ disperatamente fino a ‘La zona blu’, riscopre proprio il suo ruolo in una sfida tanto ardua da apparire insensata, quale questa su un tema così caldo, contemplando l’immensità del cielo stellato dentro il cui infinito brillio poi si perderebbe tutto, se in realtà ciascun pianeta non avesse un nome o una storia, dove le storie che non si dimenticano per sempre sono soltanto quelle che vengono raccontate bene, così bene, addirittura, da sfiorare la creazione di miti.

 Che cosa può mai dire a questo punto lo spettatore appassionato, persino già kepleriano convinto? Alza le mani per gli applausi, ma idealmente ha già subito fatto il gesto di allargarle verso il basso, ‘eh beh’, come a ripetere il gesto istintivo della resa immediata all’ammirazione.               

 Peraltro, Baraldi e Borghesi potevano finire proprio malconci dopo questa impresa di ‘A place of safety’, anche personalmente, oltre che professionalmente. E invece no, sembrano rinati e persino ringiovaniti.

Più saldi ancora nella convinzione di voler fare questo teatro di storie di realtà, di voler aggiungere la luminescenza ad altri racconti di vita, di vite magari che il mondo scarta subito via. 

Enrico Baraldi con Nicola Borghesi a bordo della Sea-Watch 5 (foto di Luca Del Pia)

 P.S.: Chissà, forse nell’analisi dello spettro psicologico dello spettatore appassionato, dovrebbero entrare in gioco anche gli istinti di protezione nei confronti della specie dei teatranti. 

 Funzionano un po’ al contrario del meccanismo che gli allievi di Freud chiamano ‘effetto spettatore’, intendendo l’apatia che scatta rispetto a quel che subisce/prova/vive un’altra persona proprio di fronte al soggetto all’effetto di cui sopra; peraltro gli inglesi lo chiamano ‘bystander effect’, e quindi qualcosa a che fare con le tribune per il pubblico ce l’ha pure.

 E’ al rovescio di così che invece tira un sospiro di sollievo, il 14 maggio alla Fabbrica del Vapore di Milano, grazie all’intraprendenza delle solite ‘cattive ragazze’ di Zona K, anche il lato paterno del ‘boomer’ dramaholico, entrato un po’ in ansia dopo la prima di ‘A place of safety’. 

 Fa proprio piacere ritrovare i marziani teatrali di Kepler-452 in gran forma, con la meglio gioventù di amici e seguaci a circondarli, sempre un buon quarto d’ora prima dello spettacolo e poi ‘ad libitum’ dopo, mentre se ne stanno con grande tranquillità e non falsa modestia a salutare tutti. 

Allora, la vogliamo fare finalmente una benedetta polemica sul teatro di realtà e su chi sono poi i cattivi?!?

Paolo Martini • 

 ‘Gli altri. Indagine sui nuovissimi mostri’ è una sorta di cavallo di battaglia di Kepler 452, forse fino ad oggi lo spettacolo più rappresentato della sempre più nota compagnia bolognese del teatro politico di realtà. Risale al momento della ripresa da Covid, nel 2022, e in qualche modo offre una più immediata e divertente fruizione rispetto al successivo gioiello malinconico e toccante, ‘Album’, che è del ’23 e solo ora, pian piano, si sta ritagliando lo spazio che merita, cominciando a ricevere pure i primi prestigiosi inviti all’estero. 

 Sul piano del contenuto vero e proprio, ‘Gli altri’ va a centrare il tema della nostra fragilità nel mondo del risentimento social-mediatico, a partire dalla ricostruzione del tentativo di raccontare la storia del pizzaiolo Mario che a Lampedusa gridò gli insulti peggiori all’indirizzo di Carola Rackete, fatta sbarcare in manette dalla Sea-Watch, nell’estate del 2019, salvo poi pentirsene quasi subito e chiedere scusa a mezzo stampa. 

 Nella produzione di Kepler 452 ‘Gli altri’ si può situare agli albori del ‘ciclo maggiore’ che ha segnato l’affermazione della compagnia bolognese. S’intende la fase in corso, in questo stesso periodo, dove si è avuta la maturazione dei due spettacoli più importanti, ‘Il Capitale’ e ‘A place of safety’, di grande impatto e di forte richiamo, non solo nazionale, inframmezzati appunto da quell’esperimento quasi perfetto di conversazione teatrale che è ’Album’.

Visto con il senno di poi, nel 2025, questo spettacolo di tre anni fa costituisce anche la vera e propria tappa di avvicinamento al tema dei soccorsi ai migranti nel Mediterraneo.

 Nel frattempo, peraltro, il frontman Nicola Borghesi ha consolidato anche la sua variegata esperienza di scena con alcune collaborazioni ‘esterne’. L’impegno più recente, con un aut-attore giovane ma già affermato come Niccolò Fettarappa, s’intitola ‘Uno spettacolo italiano’, ed è il paradossale racconto della clamorosa conversione a destra di due comici della sinistra militante (nei titoli si cita anche un ‘contributo intellettuale di Christian Raimo’), e sbarcherà addirittura al grande Festival de l’Unità di Modena. 

 Anche il regista co-autore Enrico Baraldi, che con Borghesi costituisce l’asse portante della compagnia, ha fatto fortunate esperienze in proprio: questa libertà di manovra evidentemente contribuisce a dar respiro a entrambi, lasciando - s’immagina - forse anche un certo spazio agli altri ‘kepleriani’. Il cielo lassù sopra Bologna, peraltro, non è mai così fisso: partendo dal primo esempio, il braccio operativo della compagnia, Roberta Gabriele, oltre a fare il producer lavora in alcuni spettacoli come aiuto regista.

 Il compagno stesso d’avventura di Borghesi negli ‘Gli altri’, Andrea Bovaia, che sul libretto di lavoro ex Enpals si sarà registrato, in quanto ‘macchinista’, ai codici sopra il 100, in questo caso, come in ‘Album’, compare alla voce ‘ideazione tecnica’ in locandina, subito sotto alla riga sulla drammaturgia. Ché poi Bovaia, viene pure citato in scena da Borghesi, sempre alla ricerca di trovate per sbriciolare ‘la quarta parete’, e additato al pubblico come autore-suggeritore di una delle battute più efficaci della pièce.      

 Dove poi Borghesi trovi tutte le energie, anche solo per consumarsi così ne ‘Gli altri’, è un mistero che forse si spiega con la particolarissima ‘normalità’ con cui si lascia avvicinare a tu per tu dopo lo spettacolo, chiacchierando e scambiando saluti con tutti, come se ciascuno fosse davvero importante.

 Si ferma a mangiare una pizzetta al buffet con i ragazzi che hanno magari seguito fino a tre ore prima la sua master-class, com’è successo a Lomazzo nella replica d’inizio giugno. Spegne la sigaretta in cortile per rispondere soddisfatto alle educatissime signore che vorrebbero invitarlo a Erba ma, soprattutto, sognano di poter assistere alla prossima ripresa di ‘A place of safety’, in autunno, nel contesto del Festival del Mediterraneo di Montpellier. 

 Tra l’altro questa replica de ‘Gli altri’ a Lomazzo offre ai viandanti teatrali anche l’occasione d’incontrare Dimore creative, una bella realtà culturale di quella Lombardia di mezzo tra Milano e Como, tra Italia del profondo nord e Svizzera ticinese, con un tessuto sociale ancora vivace, dove la prosperità non sembra aver fatto tabula rasa dello spirito d’intraprendenza a 360 gradi.

 Dimore creative è una sorta di collettivo giovanile di appassionati di teatro, musica e arti varie, che organizza due piccole programmazione di qualità (una solo per i più piccoli, l’altra generalista) e varie iniziative di formazione. Tutto, sia chiaro, con quello spirito d’apertura reale al pubblico che i nostri teatri hanno completamente dimenticato: l’ultimo atto prima delle vacanze estive è precisamente quello di presentare e mettere in discussione con chiunque voglia partecipare la programmazione della prossima stagione.

 Si fa notare per standing anche il singolare spazio post-industriale che i ragazzi di Dimore creative hanno a disposizione, in co-abitazione con uno stilista di tendenza che ha qui l’atelier e show-room, proprio di fronte all’edificio dove ha sede l’Innovation Hub ComoNExT, a pochi metri da una Trattoria contemporanea che si è guadagnata la stella Michelin. 

Nicola Borghesi con cellulare in mano ne 'Gli altri'. Alle spalle le immagini del telegiornale sugli insulti urlati contro Carola Rackete nel porto di Lampedusa, nel giugno del 2019

 Per tornare a ‘Gli altri’, è un racconto di realtà che poggia la sua forza sulla non banalità del giudizio morale: in fondo sarebbe facile mettere in croce gli odiatori di Carola, o gli stessi suggeritori politici di queste ondate emotive (Salvini non viene nemmeno nominato), quasi come raccontare la biografia di Hitler o Mussolini per ribadire quanto siano stati i Peggiori Cattivi.

  Se il titolo ‘Gli altri. Indagine sui nuovissimi mostri’ fosse stato sic e simpliciter ‘Gli altri’ avrebbe indotto all’aggiunta di ‘siamo noi’ per facile automatismo canzonettistico. E lo spettacolo propone proprio il tentativo di allargare a tutti, e direttamente ai presenti, il suggerimento di una riflessione profonda su quanto i social-media ci stiano cambiando e su quanto risentimento ormai giace insepolto dentro ciascuno di noi.

Gli altri, ai quali facilmente attribuiamo i peggiori comportamenti, addirittura 'mostruosi', siamo appunto anche tutti noi.

 Borghesi fa vivere il testo con la massima naturalezza, seppur nell’altalena più impegnativa tra divertimento e indignazione, provandosi anche a calare nei panni dell’insultatore da banchina di Lampedusa.

Il meccanismo narrativo poggia sul racconto trasparente della costruzione dello stesso spettacolo, ma non è propriamente meta-teatrale, forse soltanto post-teatrale, basandosi anche così apertamente sul dialogo diretto con i presenti.

 Ecco, un buon programmatore teatrale, magari il prossimo nominando direttore di ERT Emilia Romagna Teatro - si parla di Elena Di Gioia, che conosce molto bene Kepler 452 avendo lavorato a Bologna in Comune proprio nel settore cultura e spettacolo -, potrebbe organizzare un’opportuna mini-rassegna con ‘Gli altri’, ‘Il Capitale’, ‘Album’ e ‘La Zona Blu’. Quest’ultimo è poi il diario di preparazione di ‘A place of safety’, spettacolo kolossal di complesso allestimento, prevedendo anche la presenza in scena di soccorritori che devono arrivare da mezzo mondo in un momento in cui non sono in mare con le rispettive Ong.

 Per dare pane al pane e vino al vino, ‘Gli altri’ è firmato da Nicola Borghesi con il drammaturgo Riccardo Tabilio, che con lo stesso Borghesi e Baraldi ha scritto anche ‘Album’. Classe 1987, nato a Riva del Garda, eclettico autore formatosi tra Milano e Bologna, Tabilio è stato dal 2020 un nome di casa a Zona K, contesto in cui ha avuto addirittura occasione di collaborare con Rimini Protokoll - il collettivo tedesco punto di riferimento anche di Kepler 452 - in un progetto varato a Milano per questa vivace associazione capofila del rinnovamento e del post-teatro documentario e politico. 

 Il 10 giugno, proprio nell’ex garage in zona Isola dove ha sede il bel gruppo di ‘Kattive ragazze’, nell’ambito della seconda parte del nuovo festival LIFE, il regista d’origini ucraino-slovacche Boris Nikitin è stato invitato a riprendere il suo ‘Magda Toffler or an Essay on Silence’.

E' un singolare racconto a metà strada tra la ricerca personale sulle origini ebraiche della nonna Magda e un piccolo Saggio sul Silenzio assoluto con cui fu accolto il discorso di Himmler a Poznan sull’obiettivo dell’annientamento della razza ebraica, rivolto a una quarantina di comandanti delle SS, in un momento del ’43 in cui era già evidente che i nazisti avrebbero perso la guerra.  

 Nikitin, che è di casa a Basilea, ha cominciato a preparare questo lavoro mentre portava in scena uno spettacolo con due performer, ‘Imitation of Life’, esplicitamente costruito per svelare la trappola del cosiddetto ‘teatro di realtà’ alla Rimini Protokoll.

E così ha preso corpo anche in Magda Toffler questa polemica tutta interna al mondo della scena, soprattutto germanofona, dove del resto ci si è accapigliati per anni intorno all’affermazione del ‘Postdramatisches Theater’. 

 In sostanza, l’accusa di Nikitin è relativa all’essenza stessa di non-verità del ‘teatro di realtà fatto con la realtà’, trattandosi di un’operazione comunque artefatta che si dichiara paradossalmente autentica. Contro queste pettinature della realtà Nikitin si spende in scena personalmente, dichiarandosi un non attore e leggendo seduto il suo racconto con due semplici spostamenti di sedia, spesso a testa china o ad occhi chiusi: il grado zero, o quasi, della rappresentazione.     

 Certo così, in questo apparente non-modo, l’efficacia del saggio sul silenzio, raddoppiato dalla ricostruzione del tenace nascondimento delle origini ebraiche da parte della nonna, risulta davvero inquietante, a freddo. E in questo caso ha un senso pieno la riduzione maniacale della teatralizzazione, per evitare l’auto-fiction. 

 Resta il dubbio di fondo legato alla stessa 'convenzione di realtà' tradizionale del teatro con il pubblico, tale per cui, nonostante la rinuncia assoluta all'artefazione e la scelta totale di un post-teatro, Nikitin stesso potrebbe aver fatto un lavoro d’invenzione e il risultato sarebbe altrettanto efficace.

Ancora, in definitiva persino il grado zero della rappresentazione può essere letto comunque come un inganno o un trick per rendere ancora più assolutista il racconto.

 Sembra di voler saltellare di palo in frasca, da ‘Gli altri’ a Nikitin attraverso la Zona K. E invece è particolarmente lodevole che siano proprio coloro che più si sono spesi per il rinnovamento e la sprovincializzazione portando in Italia il meglio del teatro europeo documentario e di realtà, a porsi degli interrogativi autocritici.

In attesa della risposta che hanno dato alla domanda sulla verità e la finzione gli Agrupación Señor Serrano in’The Mountains’, una costruzione davvero incantevole, che si potrà rivedere, sempre nell'ambito di LIFE, il 17/18 giugno al Teatro Out Off.             

Paolo Martini • 

 ‘Gli altri. Indagine sui nuovissimi mostri’ è una sorta di cavallo di battaglia di Kepler 452, forse fino ad oggi lo spettacolo più rappresentato della sempre più nota compagnia bolognese del teatro politico di realtà. Risale al momento della ripresa da Covid, nel 2022, e in qualche modo offre una più immediata e divertente fruizione rispetto al successivo gioiello malinconico e toccante, ‘Album’, che è del ’23 e solo ora, pian piano, si sta ritagliando lo spazio che merita, cominciando a ricevere pure i primi prestigiosi inviti all’estero. 

 Sul piano del contenuto vero e proprio, ‘Gli altri’ va a centrare il tema della nostra fragilità nel mondo del risentimento social-mediatico, a partire dalla ricostruzione del tentativo di raccontare la storia del pizzaiolo Mario che a Lampedusa gridò gli insulti peggiori all’indirizzo di Carola Rackete, fatta sbarcare in manette dalla Sea-Watch, nell’estate del 2019, salvo poi pentirsene quasi subito e chiedere scusa a mezzo stampa. 

 Nella produzione di Kepler 452 ‘Gli altri’ si può situare agli albori del ‘ciclo maggiore’ che ha segnato l’affermazione della compagnia bolognese. S’intende la fase in corso, in questo stesso periodo, dove si è avuta la maturazione dei due spettacoli più importanti, ‘Il Capitale’ e ‘A place of safety’, di grande impatto e di forte richiamo, non solo nazionale, inframmezzati appunto da quell’esperimento quasi perfetto di conversazione teatrale che è ’Album’.

Visto con il senno di poi, nel 2025, questo spettacolo di tre anni fa costituisce anche la vera e propria tappa di avvicinamento al tema dei soccorsi ai migranti nel Mediterraneo.

 Nel frattempo, peraltro, il frontman Nicola Borghesi ha consolidato anche la sua variegata esperienza di scena con alcune collaborazioni ‘esterne’. L’impegno più recente, con un aut-attore giovane ma già affermato come Niccolò Fettarappa, s’intitola ‘Uno spettacolo italiano’, ed è il paradossale racconto della clamorosa conversione a destra di due comici della sinistra militante (nei titoli si cita anche un ‘contributo intellettuale di Christian Raimo’), e sbarcherà addirittura al grande Festival de l’Unità di Modena. 

 Anche il regista co-autore Enrico Baraldi, che con Borghesi costituisce l’asse portante della compagnia, ha fatto fortunate esperienze in proprio: questa libertà di manovra evidentemente contribuisce a dar respiro a entrambi, lasciando - s’immagina - forse anche un certo spazio agli altri ‘kepleriani’. Il cielo lassù sopra Bologna, peraltro, non è mai così fisso: partendo dal primo esempio, il braccio operativo della compagnia, Roberta Gabriele, oltre a fare il producer lavora in alcuni spettacoli come aiuto regista.

 Il compagno stesso d’avventura di Borghesi negli ‘Gli altri’, Andrea Bovaia, che sul libretto di lavoro ex Enpals si sarà registrato, in quanto ‘macchinista’, ai codici sopra il 100, in questo caso, come in ‘Album’, compare alla voce ‘ideazione tecnica’ in locandina, subito sotto alla riga sulla drammaturgia. Ché poi Bovaia, viene pure citato in scena da Borghesi, sempre alla ricerca di trovate per sbriciolare ‘la quarta parete’, e additato al pubblico come autore-suggeritore di una delle battute più efficaci della pièce.      

 Dove poi Borghesi trovi tutte le energie, anche solo per consumarsi così ne ‘Gli altri’, è un mistero che forse si spiega con la particolarissima ‘normalità’ con cui si lascia avvicinare a tu per tu dopo lo spettacolo, chiacchierando e scambiando saluti con tutti, come se ciascuno fosse davvero importante.

 Si ferma a mangiare una pizzetta al buffet con i ragazzi che hanno magari seguito fino a tre ore prima la sua master-class, com’è successo a Lomazzo nella replica d’inizio giugno. Spegne la sigaretta in cortile per rispondere soddisfatto alle educatissime signore che vorrebbero invitarlo a Erba ma, soprattutto, sognano di poter assistere alla prossima ripresa di ‘A place of safety’, in autunno, nel contesto del Festival del Mediterraneo di Montpellier. 

 Tra l’altro questa replica de ‘Gli altri’ a Lomazzo offre ai viandanti teatrali anche l’occasione d’incontrare Dimore creative, una bella realtà culturale di quella Lombardia di mezzo tra Milano e Como, tra Italia del profondo nord e Svizzera ticinese, con un tessuto sociale ancora vivace, dove la prosperità non sembra aver fatto tabula rasa dello spirito d’intraprendenza a 360 gradi.

 Dimore creative è una sorta di collettivo giovanile di appassionati di teatro, musica e arti varie, che organizza due piccole programmazione di qualità (una solo per i più piccoli, l’altra generalista) e varie iniziative di formazione. Tutto, sia chiaro, con quello spirito d’apertura reale al pubblico che i nostri teatri hanno completamente dimenticato: l’ultimo atto prima delle vacanze estive è precisamente quello di presentare e mettere in discussione con chiunque voglia partecipare la programmazione della prossima stagione.

 Si fa notare per standing anche il singolare spazio post-industriale che i ragazzi di Dimore creative hanno a disposizione, in co-abitazione con uno stilista di tendenza che ha qui l’atelier e show-room, proprio di fronte all’edificio dove ha sede l’Innovation Hub ComoNExT, a pochi metri da una Trattoria contemporanea che si è guadagnata la stella Michelin. 

Nicola Borghesi con cellulare in mano ne 'Gli altri'. Alle spalle le immagini del telegiornale sugli insulti urlati contro Carola Rackete nel porto di Lampedusa, nel giugno del 2019

 Per tornare a ‘Gli altri’, è un racconto di realtà che poggia la sua forza sulla non banalità del giudizio morale: in fondo sarebbe facile mettere in croce gli odiatori di Carola, o gli stessi suggeritori politici di queste ondate emotive (Salvini non viene nemmeno nominato), quasi come raccontare la biografia di Hitler o Mussolini per ribadire quanto siano stati i Peggiori Cattivi.

  Se il titolo ‘Gli altri. Indagine sui nuovissimi mostri’ fosse stato sic e simpliciter ‘Gli altri’ avrebbe indotto all’aggiunta di ‘siamo noi’ per facile automatismo canzonettistico. E lo spettacolo propone proprio il tentativo di allargare a tutti, e direttamente ai presenti, il suggerimento di una riflessione profonda su quanto i social-media ci stiano cambiando e su quanto risentimento ormai giace insepolto dentro ciascuno di noi.

Gli altri, ai quali facilmente attribuiamo i peggiori comportamenti, addirittura 'mostruosi', siamo appunto anche tutti noi.

 Borghesi fa vivere il testo con la massima naturalezza, seppur nell’altalena più impegnativa tra divertimento e indignazione, provandosi anche a calare nei panni dell’insultatore da banchina di Lampedusa.

Il meccanismo narrativo poggia sul racconto trasparente della costruzione dello stesso spettacolo, ma non è propriamente meta-teatrale, forse soltanto post-teatrale, basandosi anche così apertamente sul dialogo diretto con i presenti.

 Ecco, un buon programmatore teatrale, magari il prossimo nominando direttore di ERT Emilia Romagna Teatro - si parla di Elena Di Gioia, che conosce molto bene Kepler 452 avendo lavorato a Bologna in Comune proprio nel settore cultura e spettacolo -, potrebbe organizzare un’opportuna mini-rassegna con ‘Gli altri’, ‘Il Capitale’, ‘Album’ e ‘La Zona Blu’. Quest’ultimo è poi il diario di preparazione di ‘A place of safety’, spettacolo kolossal di complesso allestimento, prevedendo anche la presenza in scena di soccorritori che devono arrivare da mezzo mondo in un momento in cui non sono in mare con le rispettive Ong.

 Per dare pane al pane e vino al vino, ‘Gli altri’ è firmato da Nicola Borghesi con il drammaturgo Riccardo Tabilio, che con lo stesso Borghesi e Baraldi ha scritto anche ‘Album’. Classe 1987, nato a Riva del Garda, eclettico autore formatosi tra Milano e Bologna, Tabilio è stato dal 2020 un nome di casa a Zona K, contesto in cui ha avuto addirittura occasione di collaborare con Rimini Protokoll - il collettivo tedesco punto di riferimento anche di Kepler 452 - in un progetto varato a Milano per questa vivace associazione capofila del rinnovamento e del post-teatro documentario e politico. 

 Il 10 giugno, proprio nell’ex garage in zona Isola dove ha sede il bel gruppo di ‘Kattive ragazze’, nell’ambito della seconda parte del nuovo festival LIFE, il regista d’origini ucraino-slovacche Boris Nikitin è stato invitato a riprendere il suo ‘Magda Toffler or an Essay on Silence’.

E' un singolare racconto a metà strada tra la ricerca personale sulle origini ebraiche della nonna Magda e un piccolo Saggio sul Silenzio assoluto con cui fu accolto il discorso di Himmler a Poznan sull’obiettivo dell’annientamento della razza ebraica, rivolto a una quarantina di comandanti delle SS, in un momento del ’43 in cui era già evidente che i nazisti avrebbero perso la guerra.  

 Nikitin, che è di casa a Basilea, ha cominciato a preparare questo lavoro mentre portava in scena uno spettacolo con due performer, ‘Imitation of Life’, esplicitamente costruito per svelare la trappola del cosiddetto ‘teatro di realtà’ alla Rimini Protokoll.

E così ha preso corpo anche in Magda Toffler questa polemica tutta interna al mondo della scena, soprattutto germanofona, dove del resto ci si è accapigliati per anni intorno all’affermazione del ‘Postdramatisches Theater’. 

 In sostanza, l’accusa di Nikitin è relativa all’essenza stessa di non-verità del ‘teatro di realtà fatto con la realtà’, trattandosi di un’operazione comunque artefatta che si dichiara paradossalmente autentica. Contro queste pettinature della realtà Nikitin si spende in scena personalmente, dichiarandosi un non attore e leggendo seduto il suo racconto con due semplici spostamenti di sedia, spesso a testa china o ad occhi chiusi: il grado zero, o quasi, della rappresentazione.     

 Certo così, in questo apparente non-modo, l’efficacia del saggio sul silenzio, raddoppiato dalla ricostruzione del tenace nascondimento delle origini ebraiche da parte della nonna, risulta davvero inquietante, a freddo. E in questo caso ha un senso pieno la riduzione maniacale della teatralizzazione, per evitare l’auto-fiction. 

 Resta il dubbio di fondo legato alla stessa 'convenzione di realtà' tradizionale del teatro con il pubblico, tale per cui, nonostante la rinuncia assoluta all'artefazione e la scelta totale di un post-teatro, Nikitin stesso potrebbe aver fatto un lavoro d’invenzione e il risultato sarebbe altrettanto efficace.

Ancora, in definitiva persino il grado zero della rappresentazione può essere letto comunque come un inganno o un trick per rendere ancora più assolutista il racconto.

 Sembra di voler saltellare di palo in frasca, da ‘Gli altri’ a Nikitin attraverso la Zona K. E invece è particolarmente lodevole che siano proprio coloro che più si sono spesi per il rinnovamento e la sprovincializzazione portando in Italia il meglio del teatro europeo documentario e di realtà, a porsi degli interrogativi autocritici.

In attesa della risposta che hanno dato alla domanda sulla verità e la finzione gli Agrupación Señor Serrano in’The Mountains’, una costruzione davvero incantevole, che si potrà rivedere, sempre nell'ambito di LIFE, il 17/18 giugno al Teatro Out Off.             

Che cos'è il teatro, oggi, cos'è la Polis? Ah, saperlo. Ormai è comunque una delle forme più vive di linguaggio dell'impegno

Paolo Martini • 

UN'ALLUVIONE TIRA L'ALTRO

Con un dibattito all’Auditorium Biagi di Salaborsa, a Bologna ha preso il via la settimana di appuntamenti 'Raccontare la catastrofe' ideata da Kepler-452. Le combinazioni del fato hanno voluto che - ben aldilà dell'occasione dei dieci anni di attività della compagnia teatrale e della presentazione di alcune repliche della conversazione-spettacolo 'Album', forse la miglior prova di Enrico Baraldi, Nicola Borghesi and Co. - in questa stessa settimana si registrasse un nuovo allarme legato a fenomeni di maltempo.

Si legge nella presentazione: 'Uno dei meccanismi più consolidati, di fronte a qualcosa di grande e terribile è quello della rimozione: fare finta di niente. Raccontarsi che nulla di grave sta succedendo e che tutto sommato le nostre vite continueranno più o meno nello stesso modo. A volte però la catastrofe viene a trovarci fin nelle nostre case, nei nostri posti di lavoro, là dove crediamo di essere al sicuro. A volte si presenta in forma di alluvione, altre di siccità, altre di una lettera di licenziamento in tronco, altre in forma di pandemia e lockdown. La strategia è sempre quella: affrontare la catastrofe, se strettamente necessario e poi ripartire da dove si era rimasti, business as usual, come è accaduto in Emilia-Romagna dopo l’alluvione del 2023.

Parte di questa rimozione ha certamente a che fare col fatto di non voler accettare che siamo nei guai e che, nella storia che riprende il suo cammino, dovremmo trovare un nostro posto, disabituati come siamo a cercarlo.

È difficile raccontare la catastrofe, perché nessuno, noi compresi, ha voglia di pensarci'.

LA ZONA BLU ARRIVA A MILANO

Dopo la settimana 'catastrofista' a casa propria, Kepler-452 onorerà il nuovo festival milanese Life organizzato da Zona K presentando 'La Zona Blu', una lettura di appunti in forma di diario di bordo, accompagnata da immagini documentarie originali, sul viaggio nel Mediterraneo a bordo di Sea-Watch5 che è stato la base di preparazione del nuovo spettacolo 'A Place of Safety'.

Questo ultimo lavoro ha debuttato al Teatro Arena del Sole di Bologna a febbraio del 2025 e tornerà compiutamente in scena nel prossimo autunno al festival del Mediterraneo che organizza il Théâtre des 13 vents a Montpellier.

Lo spettacolo teatrale vero e proprio prevede infatti la presenza di cinque soccoritori, che sono i protagonisti, esattamente come gli operai della ex-GKN lo erano nel fortunato precedente 'Il Capitale. Un libro che ancora non abbiamo letto'.

A proposito, durante la settimana 'Raccontare la catastrofe', ovvero fino all’11 maggio, nel foyer dell'Arena del Sole a Bologna un'installazione video intitolata 'Insorgiamo Insieme' e allestita da Jakob Brossmann, vedrà ancora gli operai della ex-GKN continuare a raccontare la loro lotta e la loro storia.

Un membro del colletivo di fabbrica, Dario Salvetti, ha poi collaborato con Kepler-452 proprio per la preparazione 'A place of Safety'. Teatro di realtà e realtà del teatro, alla fine, si tratta pur sempre di storie di vita e su questo piano Baraldi-Borghesi&Co. hanno già mostrato di saper magistralmente muoversi.

Anche per il poster della nuova iniziativa di Kepler-452 è di scena la realtà: una foto scattata a Faenza il 9 giugno 2023, dopo l'alluvione, da Michele Lapini

SALE L'ATTESA PER IL NUOVO 'LIFE'

Proprio sul profondo incrocio con la realtà si gioca tutta la nuova coraggiosa iniziativa di Zona K che si svolgerà fino al 21 giugno a Milano e si apre il 7 maggio nell'area dell'ex Fabbrica del Vapore. Come il logo stesso Life indica, con il richiamo alla celebre testata americana di fotogiornalismo, sarà un festival 'teatrale' in senso particolarissimo, senza concessioni al facile intrattenimento ma con una forte volontà d'impegno politico.

Scopo dichiarato è 'l’allargamento dello sguardo che chiede di andare oltre il bombardamento di informazioni, immagini ed eventi destinati a restare in superficie. Una modalità che si avvicina e si intreccia con l’inchiesta, divergendo in parte nel risultato: non informare, bensì stimolare, riflettere, creare connessioni e osare, dare al pubblico una responsabilità di interpretare quello che vede'.

Impressionante il fittissimo palinsesto di 'Life' intorno a metà maggio, con tocchi d'originalità unici, come 'The Cloud' di Arkadi Zaides che, il 12-13 maggio, esplora i fenomeni naturali/artificiali delle nuvole e la loro complessa relazione materiale e simbolica con l’azione umana, dalla nube tossica di Chernobyl al cloud dell’intelligenza artificiale.

Zaides, ballerino e coreografo di fama, con questo nuovo lavoro prodotto da laGeste, la compagnia belga di Alain Platel, vuole offrire 'un’inaspettata ibridazione tra gli aspetti documentari e fantasmatici delle sue tematiche e del suo dispositivo: dimostrare ciò che vuole considerare, e considerare ciò che vuole dimostrare, nel tempo della rappresentazione scenica'.

METTI LA DEMOCRAZIA IN SHOW

Il 13 maggio, in prima nazionale, Life presenta la conferenza spettacolo del giornalista tedesco Jean Peters, autore con CORRECTIV del primo scoop sul piano segreto contro la Germania delle reti di estremisti di destra, che farà il punto su quel che è successo dopo e sul caso controverso della legittimità politica di AfD.

Il 14, come già detto, Borghesi racconterà 'La Zona Blu' kepleriana, e poi, il 15-16 maggio, ecco un altro colpaccio internazionale di Zona K: il ritorno degli originalissimi Ontroerend Goed, collettivo belga in grado di esprimersi con una ricercatezza di linguaggio davvero unica.

Nel 2022, l'ultima volta che sono venuti a Milano, in Triennale Teatro hanno lasciato letteralmente a bocca aperta gli spettatori con 'Are we not drawn onward to new erA', uno spettacolo palindromo sul disastro ecologico ideato dal direttore artistico e regista Alexander Devrient.

A Life, invece, presenteranno la nuova edizione del classico 'Fight Night', creazione del 2013 che aveva portato il collettivo alla ribalta internazionale, con repliche dall’Australia al Canada, da Hong Kong alla Svizzera. A dieci anni dal debutto, gli Ontroerend Goed (ora associati a NTGent), ripropongono e rifanno da capo questo strano spettacolo interattivo, in cui a fare da protagonista è una democrazia in crisi, serrata da un generale sentimento di sfiducia della popolazione e dei partiti politici.

Una scena del nuovo 'Fight night' di Ontroerend Goed (foto di Michiel Devijver)
La citazione

Ne pas faire de films politiques mais faire des films politiquement

di Jean-Luc Godard

LA QUESTIONE DELLA POLITICA

Il fare 'politicamente' dello spettacolo, secondo la celebre citazione godardiana, è un po' la parola d'ordine di chi invece, pur condividendo gran parte delle ragioni di questo nuovo teatro impegnato, sceglie di attestarsi ancora coraggiosamente su di un linguaggio di teatro-teatro. Esempio aulico Eugenio Barba con Odin Teatret, proprio in questi stessi giorni di Life a Milano, al Teatro Menotti, con il nuovo 'Le nuvole di 'Amleto'.

In questa tradizione, che vanta ormai purtroppo pochi degni eredi, dai maestri della fedeltà poetica al teatro classico ci si può sentir obiettare apoditticamente, a proposito della rappresentazione dei drammi dei migranti: ‘Che cosa si potrà mai dire dopo Euripide? In ‘Ifigenia in Tauride’ chiunque sbarchi sulla costa come esule o migrante viene consegnato alla sacerdotessa e, dopo un dialogo conoscitivo, fatto a pezzi e sacrificato. Un giorno sbarcano dalla Grecia due migranti, li portano al cospetto della sacerdotessa la quale prima di ucciderli li interroga, e scopre che uno di loro è suo fratello. Non c’è altro da aggiungere’.

 Già, ma in effetti questi racconti di ‘realtà con la realtà’, come per esempio 'A place of safety', si possono tranquillamente definire ‘post-teatro’, a modello di Rimini Protokoll (che dalle sale teatrali sono ormai usciti fuori) e non si pongono nemmeno il problema di misurarsi con i classici, come hanno fatto e fanno ancora viceversa Milo Rau e i suoi allievi o imitatori.

Ma il dibattito sulle quote di realismo e d'impegno politico non deve distrarre da una situazione che, in prevalenza, vede purtroppo dominare quel teatro-teatrante da mestieranti, riassumibile nel titolo originale 'A failed entertainment' che David Foster Wallace aveva scelto per il suo capolavoro 'Infinite Jest'.

 A essere onesti, in mezzo a tante produzioni di costruzione astratta e in fondo d'intrattenimento cult, che magari piacciono ai critici e alle giurie dei premi, almeno in Italia, il genere che potremmo definire del post-teatro impegnato conosce una straordinaria e ammirevole vitalità. 

Paolo Martini • 

UN'ALLUVIONE TIRA L'ALTRO

Con un dibattito all’Auditorium Biagi di Salaborsa, a Bologna ha preso il via la settimana di appuntamenti 'Raccontare la catastrofe' ideata da Kepler-452. Le combinazioni del fato hanno voluto che - ben aldilà dell'occasione dei dieci anni di attività della compagnia teatrale e della presentazione di alcune repliche della conversazione-spettacolo 'Album', forse la miglior prova di Enrico Baraldi, Nicola Borghesi and Co. - in questa stessa settimana si registrasse un nuovo allarme legato a fenomeni di maltempo.

Si legge nella presentazione: 'Uno dei meccanismi più consolidati, di fronte a qualcosa di grande e terribile è quello della rimozione: fare finta di niente. Raccontarsi che nulla di grave sta succedendo e che tutto sommato le nostre vite continueranno più o meno nello stesso modo. A volte però la catastrofe viene a trovarci fin nelle nostre case, nei nostri posti di lavoro, là dove crediamo di essere al sicuro. A volte si presenta in forma di alluvione, altre di siccità, altre di una lettera di licenziamento in tronco, altre in forma di pandemia e lockdown. La strategia è sempre quella: affrontare la catastrofe, se strettamente necessario e poi ripartire da dove si era rimasti, business as usual, come è accaduto in Emilia-Romagna dopo l’alluvione del 2023.

Parte di questa rimozione ha certamente a che fare col fatto di non voler accettare che siamo nei guai e che, nella storia che riprende il suo cammino, dovremmo trovare un nostro posto, disabituati come siamo a cercarlo.

È difficile raccontare la catastrofe, perché nessuno, noi compresi, ha voglia di pensarci'.

LA ZONA BLU ARRIVA A MILANO

Dopo la settimana 'catastrofista' a casa propria, Kepler-452 onorerà il nuovo festival milanese Life organizzato da Zona K presentando 'La Zona Blu', una lettura di appunti in forma di diario di bordo, accompagnata da immagini documentarie originali, sul viaggio nel Mediterraneo a bordo di Sea-Watch5 che è stato la base di preparazione del nuovo spettacolo 'A Place of Safety'.

Questo ultimo lavoro ha debuttato al Teatro Arena del Sole di Bologna a febbraio del 2025 e tornerà compiutamente in scena nel prossimo autunno al festival del Mediterraneo che organizza il Théâtre des 13 vents a Montpellier.

Lo spettacolo teatrale vero e proprio prevede infatti la presenza di cinque soccoritori, che sono i protagonisti, esattamente come gli operai della ex-GKN lo erano nel fortunato precedente 'Il Capitale. Un libro che ancora non abbiamo letto'.

A proposito, durante la settimana 'Raccontare la catastrofe', ovvero fino all’11 maggio, nel foyer dell'Arena del Sole a Bologna un'installazione video intitolata 'Insorgiamo Insieme' e allestita da Jakob Brossmann, vedrà ancora gli operai della ex-GKN continuare a raccontare la loro lotta e la loro storia.

Un membro del colletivo di fabbrica, Dario Salvetti, ha poi collaborato con Kepler-452 proprio per la preparazione 'A place of Safety'. Teatro di realtà e realtà del teatro, alla fine, si tratta pur sempre di storie di vita e su questo piano Baraldi-Borghesi&Co. hanno già mostrato di saper magistralmente muoversi.

Anche per il poster della nuova iniziativa di Kepler-452 è di scena la realtà: una foto scattata a Faenza il 9 giugno 2023, dopo l'alluvione, da Michele Lapini

SALE L'ATTESA PER IL NUOVO 'LIFE'

Proprio sul profondo incrocio con la realtà si gioca tutta la nuova coraggiosa iniziativa di Zona K che si svolgerà fino al 21 giugno a Milano e si apre il 7 maggio nell'area dell'ex Fabbrica del Vapore. Come il logo stesso Life indica, con il richiamo alla celebre testata americana di fotogiornalismo, sarà un festival 'teatrale' in senso particolarissimo, senza concessioni al facile intrattenimento ma con una forte volontà d'impegno politico.

Scopo dichiarato è 'l’allargamento dello sguardo che chiede di andare oltre il bombardamento di informazioni, immagini ed eventi destinati a restare in superficie. Una modalità che si avvicina e si intreccia con l’inchiesta, divergendo in parte nel risultato: non informare, bensì stimolare, riflettere, creare connessioni e osare, dare al pubblico una responsabilità di interpretare quello che vede'.

Impressionante il fittissimo palinsesto di 'Life' intorno a metà maggio, con tocchi d'originalità unici, come 'The Cloud' di Arkadi Zaides che, il 12-13 maggio, esplora i fenomeni naturali/artificiali delle nuvole e la loro complessa relazione materiale e simbolica con l’azione umana, dalla nube tossica di Chernobyl al cloud dell’intelligenza artificiale.

Zaides, ballerino e coreografo di fama, con questo nuovo lavoro prodotto da laGeste, la compagnia belga di Alain Platel, vuole offrire 'un’inaspettata ibridazione tra gli aspetti documentari e fantasmatici delle sue tematiche e del suo dispositivo: dimostrare ciò che vuole considerare, e considerare ciò che vuole dimostrare, nel tempo della rappresentazione scenica'.

METTI LA DEMOCRAZIA IN SHOW

Il 13 maggio, in prima nazionale, Life presenta la conferenza spettacolo del giornalista tedesco Jean Peters, autore con CORRECTIV del primo scoop sul piano segreto contro la Germania delle reti di estremisti di destra, che farà il punto su quel che è successo dopo e sul caso controverso della legittimità politica di AfD.

Il 14, come già detto, Borghesi racconterà 'La Zona Blu' kepleriana, e poi, il 15-16 maggio, ecco un altro colpaccio internazionale di Zona K: il ritorno degli originalissimi Ontroerend Goed, collettivo belga in grado di esprimersi con una ricercatezza di linguaggio davvero unica.

Nel 2022, l'ultima volta che sono venuti a Milano, in Triennale Teatro hanno lasciato letteralmente a bocca aperta gli spettatori con 'Are we not drawn onward to new erA', uno spettacolo palindromo sul disastro ecologico ideato dal direttore artistico e regista Alexander Devrient.

A Life, invece, presenteranno la nuova edizione del classico 'Fight Night', creazione del 2013 che aveva portato il collettivo alla ribalta internazionale, con repliche dall’Australia al Canada, da Hong Kong alla Svizzera. A dieci anni dal debutto, gli Ontroerend Goed (ora associati a NTGent), ripropongono e rifanno da capo questo strano spettacolo interattivo, in cui a fare da protagonista è una democrazia in crisi, serrata da un generale sentimento di sfiducia della popolazione e dei partiti politici.

Una scena del nuovo 'Fight night' di Ontroerend Goed (foto di Michiel Devijver)
La citazione

Ne pas faire de films politiques mais faire des films politiquement

di Jean-Luc Godard

LA QUESTIONE DELLA POLITICA

Il fare 'politicamente' dello spettacolo, secondo la celebre citazione godardiana, è un po' la parola d'ordine di chi invece, pur condividendo gran parte delle ragioni di questo nuovo teatro impegnato, sceglie di attestarsi ancora coraggiosamente su di un linguaggio di teatro-teatro. Esempio aulico Eugenio Barba con Odin Teatret, proprio in questi stessi giorni di Life a Milano, al Teatro Menotti, con il nuovo 'Le nuvole di 'Amleto'.

In questa tradizione, che vanta ormai purtroppo pochi degni eredi, dai maestri della fedeltà poetica al teatro classico ci si può sentir obiettare apoditticamente, a proposito della rappresentazione dei drammi dei migranti: ‘Che cosa si potrà mai dire dopo Euripide? In ‘Ifigenia in Tauride’ chiunque sbarchi sulla costa come esule o migrante viene consegnato alla sacerdotessa e, dopo un dialogo conoscitivo, fatto a pezzi e sacrificato. Un giorno sbarcano dalla Grecia due migranti, li portano al cospetto della sacerdotessa la quale prima di ucciderli li interroga, e scopre che uno di loro è suo fratello. Non c’è altro da aggiungere’.

 Già, ma in effetti questi racconti di ‘realtà con la realtà’, come per esempio 'A place of safety', si possono tranquillamente definire ‘post-teatro’, a modello di Rimini Protokoll (che dalle sale teatrali sono ormai usciti fuori) e non si pongono nemmeno il problema di misurarsi con i classici, come hanno fatto e fanno ancora viceversa Milo Rau e i suoi allievi o imitatori.

Ma il dibattito sulle quote di realismo e d'impegno politico non deve distrarre da una situazione che, in prevalenza, vede purtroppo dominare quel teatro-teatrante da mestieranti, riassumibile nel titolo originale 'A failed entertainment' che David Foster Wallace aveva scelto per il suo capolavoro 'Infinite Jest'.

 A essere onesti, in mezzo a tante produzioni di costruzione astratta e in fondo d'intrattenimento cult, che magari piacciono ai critici e alle giurie dei premi, almeno in Italia, il genere che potremmo definire del post-teatro impegnato conosce una straordinaria e ammirevole vitalità. 

Facciamo una bella 'attività di ricerca sul campo': troviamo i nomi giusti per cambiare e riportare un po' di vita vera a teatro. 4/Kepler-452

Paolo Martini • 

 L’altra sera, alla fine di uno dei più importanti ‘spettacoloni’ di un primario ‘teatrone’, annoiati e ancora un po’ sgomenti per la sgangheratezza di cotanta produzione, alcuni dramaholici che s’alzavano lentamente dalle sedie hanno incrociato per i saluti un altro spettatore appassionato seriale, che per giunta è un po’ del mestiere. 

 All’immancabile giudizio sottovoce ‘tutto sbagliato, tutto da rifare’, ha fatto seguito la domanda: ma chi potrebbe mettere in scena, oggi, in Italia, un testo del genere, senza tradirne lo spirito? (perché si trattava di un grande classico tanto impolverato quanto impervio).

 Il solito ‘so-tutto-io’ ha trovato subito la risposta: ‘magari uno di quei due ragazzi di Bologna…sì, i kepleriani!’. E da uno degli altri che hanno annuito con un gran sorriso, si sentiva aggiungere: ‘già, sicuramente ci vogliono menti fresche, energie vere, idee originali, e bisogna credere per davvero in quello che si vuole dire’.

 Già, nella così sfibrata scena ufficiale italiana, dopo la fortuna di quel ‘Capitale…mai letto’, è come se fosse venuto alla luce il patrimonio immateriale di Kepler-452.

C’era qualcosa di promettente, del resto, già nella scelta di un marchio stellare (il 452b è uno dei pianeti più simili alla Terra tra quelli scoperti dal telescopio spaziale Kepler, il ‘cacciatore di esoplaneti’ della Nasa) per una compagnia teatrale che è nata, nel 2015 a Bologna, dall’incontro tra Nicola Borghesi, Enrico Baraldi, Paola Aiello e, per la parte organizzativa, prima Michela Buscema e poi, dal 2021, Roberta Gabriele.

 E’ abbastanza naturale che adesso vogliano e invochino anche a casaccio i kepleriani tutti quelli che hanno già avuto la possibilità di vedere ‘Il Capitale’, o il più recente ‘Album’, nominando ovviamente soprattutto il frontman Borghesi, attore in grado di reggere la scena persino accanto a mostri di bravura come Enzo Vetrano e Stefano Randisi(1), e l’autore-regista Baraldi, fresco di ripresa di un commovente ’Non tre sorelle’ con tre attrici ucraine. 

 E’ improprio trattare come emergenti Kepler-452 e il duo bolognese con la doppia B, aldilà dell’età (Baraldi è un classe 1993, Borghesi 1986): eppure, dato che siamo nell’Italia dell’obsolescenza culturale, sicuramente vanno iscritti tra i primi nomi che dimostrano quanto un grande ricambio generazionale nel teatro sia oggi possibile, oltre che auspicabile. 

 Per dirla con una battutaccia, vivaddio c’è vita oltre Ronconi! Oltre i soliti nomi dei teatroni, oltre le presunte scuole e le effettive camarille, oltre le pastette dei mediocri, che peraltro di diminutivo non hanno niente aldilà del termine, vista la quantità di denaro pubblico in questione.

Tanto per capirci, con il valore di un pezzo soltanto dell’inutile scenografia del pessimo spettacolone da cui siamo partiti, un collettivo ‘indie’ ci fa quasi un’intera stagione. Amen. 

 Per fortuna che esiste anche una scena europea di qualità, dove non mancano istituzioni che sono più sensibili al nuovo: ed ecco che, in questa fortunatissima stagione, ‘Il Capitale, un libro che non abbiamo ancora letto’ è in dirittura d’arrivo addirittura al FIND di Berlino, il prestigioso festival internazionale del New Drama.

Saranno gli unici italiani, i kepleriani con gli operai della GKN, che calcheranno il palcoscenico in tanto di sala Globe dello Schaubühne Theater, dal 20 aprile, per tre serate.

 Sia detto tra parentesi, interrompendo la lettura per cliccare sul cartellone di questi giorni dello stesso Schaubühne, potete sognare di andare a teatro in quel di Berlino e vedervi qualche regia di Tomas Ostermeir, compreso un ’Gabbiano’ presentato nel 2013, o il nuovo allestimento in inglese di ‘status quo’ firmato Marius von Mayenburg; così, per gradire, c’è pure la ripresa di uno degli spettacoli più belli e commoventi del dopo pandemia, ‘Everywoman’ di Milo Rau con Ursina Lardi (forse l’attrice più brava dell’Europa continentale). 

 Un bel respiro, e dopo una pausa d’obbligo nell’auditorium della brechtiana Berliner Ensemble, per l’ultima parte più radicale di ‘Min Kamp’ da Karl Ove Knausgård della provocatoria Yana Ross, si gira mese allo Schaubühne: prima del FIND, aprile s’inaugura con la prima mondiale di ‘Bad Kingdom’ di Falk Richter, ovvero un duro apologo sul mondo di oggi che parte dall’assunto ‘c’è qualcosa di marcio nel regno del presente’. Un pugno dritto nello stomaco, che viene accompagnato, alla voce ‘sensitive content’ in rosso, dall’avvertenza: ‘la produzione tematizza la violenza e contiene rappresentazioni esplicite di atti sessuali’.

 La scena teatrale è questa, il livello a Berlino è questo, i nomi dei registi sono questi: coraggio Nicola, non troverai facilmente nemmeno qualche pinta di una buona Ipa, perché nelle birrerie prevale ancora lo stile tedesco classico! Puoi sempre provare a vedere al pub italiano Birra, in Prenzlauer Allee, guarda caso a un km dalla cupola del Grande Planetario Zeiss, magari c’è ancora una ‘imperial’ Quarantot del Lambrate alla spina. 

 Scherzi e divagazioni a parte, in fondo, a Berlino, Baraldi e Borghesi, è un po’ come se ci fossero nati: nel senso che il teatro di Kepler-452 prende origine dalla loro passione di spettatori giramondo e in particolare da una lunga stagione passata a inseguire Rimini Protokoll per l’Europa.

Questo collettivo fondato da Helgard Haug, Daniel Wetzel con Stefan Kaegi come punto di riferimento, ha preso stanza a Berlino, dall’inizio degli anni Duemila, presso il teatro indipendente Hebbel am Ufer (HAU 1), nel cuore di Mitte, in quella Stresemannstraße che fu inglobata per decenni nella ’striscia della morte’ intorno al Muro.

L’HAU, com’è noto, è stato plasmato come culla delle avanguardie post-Duemila dal primo mitico direttore Matthias Lilienthal, che da drammaturgo a Basilea aveva lavorato con due nascenti guru del post-drammatico come Franck Castorf e Christoph Marthaler (e lì conosciuto anche Kaegi e i Rimini Protokoll, che sono svizzeri d’origine).  

 Tanto per non girare ancora troppo in tondo, tra i primi eventi teatrali di realtà firmati dai prolifici Rimini Protokoll c’è stata un’assemblea dei soci, con i rappresentanti degli operai, della fabbrica Daimler-Benz nel 2002 e nel 2007 hanno presentato, riscuotendo premi e consensi, ‘Karl Marx: Il Capitale, Primo Volume’. L’orizzonte di riferimento è appunto quello di una scena dove non ci sono attori che riproducono una parte imparata a memoria da un’opera teatrale letteraria, bensì persone che raccontano al pubblico qualcosa della loro vita: ‘esperti’, come li chiamano i Rimini Protokoll, per l’appunto della propria esperienza biografica e visione del mondo.

 Anche nel singolare spettacolo ‘Non Tre Sorelle’, che Enrico Baraldi ha allestito per il Teatro Metastasio di Prato - e che lodevolmente è stato riproposto in questi giorni da ERT nella sala sotto l’Arena del Sole di Bologna -, la vera storia di vita di tre giovane attrici scappate dalla guerra in Ucraina (Natalia e Julia Mykhalchuk con Anfisa Lazebna) viene scavata a partire dal pretesto di una messa in scena in sospeso del classico cechoviano (2), toccando quindi così bene anche il problema scottante del confronto con la cultura russa. 

 Lo spettacolo viene recitato in quattro lingue: le altre due interpreti, Susanna Acchiardi e Alice Conti, parlano quasi sempre italiano, ma poi s’intersecano inglese, ucraino e russo: il testo va seguito nei sopratitoli doppi, in italiano e in ucraino. Eppure, per tutti i settanta minuti della rappresentazione del 19 marzo scorso a Bologna, per esempio, nonostante ben due scolaresche di adolescenti in sala, non si è sentito letteralmente ‘volare una mosca’ (allusione che non spoileriamo oltre, al momento forse più esilarante di una piéce drammatica peraltro così intensa). 

 Va infine ascritto a merito di Giuliana De Sio, che si è aggiudicata soltanto quest’anno il premio Duse, di aver indicato proprio per la ‘menzione d’onore a una personalità emergente nell’interpretazione femminile’ il cast intero di questo ‘Non Tre Sorelle’.

Si è così raddoppiato il palmares kepleriano di queste ultime stagioni, dove campeggia il ‘Premio speciale per l’attività di ricerca sul campo’ arrivato a corollario dei vari regolari UBU 2023. 

 Ecco, a pensarci bene, senza offesa per nessuno, ‘hic Rhodus, hic salta’.

E’ pur vero che Kepler-452 pratichi un preciso genere di teatro per così dire documentario, piuttosto che sia diventata la compagnia protagonista del rinnovamento di un filone d'impegno politico che in Italia vanta illustri precedenti...

...ma la dice lunga sullo stato dell’arte anche solo il confino ipocrita a margine dei riconoscimenti ufficiali: un’elemosina, pur apprezzabilissima, della grande Giuliana De Sio per le straordinarie interpreti di ’Non tre sorelle’; uno dei sei marginali Ubu, ‘per l’attività di ricerca sul campo’ (sic!), a uno spettacolo che certo è stato tra i migliori in assoluto, come ‘Il Capitale’, di gran lunga più vivo - e/o anche soltanto meno noioso e tristemente borghese - di quasi tutti i titoli che arrivano alle varie nomination e statuette e targhe d’onore.

 E non sono certo i kepleriani, quelli che non si rendono conto di com’è urgente una radicale rifondazione del teatro italiano. Quand’era ancora solo ‘uno tra gli altri’ giovani autori impegnati e militanti, Nicola Borghesi aveva messo molto bene a fuoco, in un intervento pubblico durante la pandemia, la situazione del teatro italiano, e i guasti di una predominanza nelle sale di un ‘teatro rassicurante e spesso ornamentale, aderente a quella retorica della ‘bellezza che ci salverà’ che spesso si sente ripetere in televisione’.

 Ma è ancor più significativo, in effetti, il monologo d’autocoscienza che Borghesi interpreta a un certo punto proprio de ‘Il Capitale’, raccontando i suoi stessi pensieri e le preoccupazioni per così dire di natura etica che lo sopraffanno durante una pausa di ritorno a casa a Bologna, dopo il ‘lavoro di ricerca sul campo’ di settimane trascorse tra gli occupanti della GKN di Campo Bisenzio. 

 L’autore, l’attore e soprattutto la persona, dopo un’esperienza del genere, si ritrovano totalmente fuori luogo nel ritorno alla piacevole normalità, come se il comodo divano di casa fosse diventato più disagevole della brandina da campeggio in un angolo della fabbrica in via di dismissione.

 E’ un’invettiva vera e propria, fatta davanti a uno specchio ideale con su scritto ‘Fuck you’, del genere che a qualche dramaholico evoca vagamente la spettacolare tirata anti-newyorchese di Edward Norton per Spike Lee nella ‘25ma ora’ (‘Yeah, fuck you, too. Fuck me? Fuck you, Fuck you and this whole city and everyone in it’): solo che questa volta è la città del teatro al centro di un’analisi lucida e fredda, che tanti del mestiere dovrebbero cominciare a leggere e meditare.

Nella foto di Bea Borgers, tra gli operai del collettivo di fabbrica della GKN, Enrico Baraldi (da sinistra, il terzo, dietro, in camicia), e Nicola Borghesi, che mostra 'Il Capitale' di Marx

 FUCK YOU, TEATRANTE MESTIERANTE E WOKE

 (il titolo è nostro, il testo dal Capitale di Borghesi e Baraldi)

 …Odiavo noi teatranti che in questi anni ci siamo occupati di moda, di glamour, di grandi apparati, delle performance, che cazzo performiamo. 

 Odio quelli che hanno fatto politica, che si sono preoccupati del cambiamento climatico senza pensare che cambiare il modo di produzione delle merci dalle fondamenta è l’unica possibilità di salvare questo pianeta al collasso.

 Odio chi si è accontentato di linguaggi inclusivi, asterischi, schwa, diritti civili, splendide astrazioni solo e soltanto per rimuovere che le merci, le cazzo di merci le fa qualcuno. 

 Qualcuno, per tutta la sua vita, fa le merci che noi non facciamo. E noi è l’unica cosa che davvero non vogliamo sapere. 

 Qualcuno che non incontriamo mai fa le cazzo di merci, di giorno, di notte, all’alba in dei posti dimenticati da dio che vogliamo giustamente rimuovere dalla nostra vista perché fanno schifo e puzzano di morchia e chimica. 

 Qualcuno fa le merci, idioti.

 E ancora di più odio me stesso che in una fabbrica ci sono capitato solo per farci uno spettacolo, solo per leggere un libro che non ho nemmeno finito, e che dopo questo spettacolo in una fabbrica non ci rientrerò mai più. 

 Perché mi interessa solo del teatro, solo che questo spettacolo sia bellissimo, e poi di farne un altro, con una produzione ancora più grande, più luci, più tecnici, più biglietti, più soldi,

 perché io in quella fabbrica ci sono entrato solo per produrre. 

 Pezzi. Pezzi. Pezzi.

Ancora Baraldi con Borghesi al lavoro durate una prova (foto di Luca Del Pia)

NOTE

A MARGINE DELLA SQUISITA PROVA E DI UN GIARDINO DEL 2018

(1) Lo spettacolo ‘Grazie della squisita prova’, nato dall’incontro casuale tra Vetrano e Randisi e Kepler-452, torna in scena per una mini-tournée dopo il lungo impegno dei due attori con Terzopoulos per ‘Aspettando Godot’. ‘Grazie della squisita prova’ riparte da Rubiera il 3 aprile, passa da Chianciano il 6, fa tappa il 13 aprile a Imola, dove i due attori sono di casa, e poi a maggio arriverà in Sicilia, terra d’origine di Vetrano e Randisi, che in scena rievocano persino gli esordi familiari da bambini, il 22 maggio a Palermo e il 23 a Noto.

(2) Non è il primo 'non-Cechov' di Kepler-452, che nel 2018 si era fatta notare da Ert per aver proposto, con tanto di Lodo Guenzi dello Stato Sociale e Paola Ajello in scena, ‘Il giardino dei ciliegi. Trent’anni di felicità in comodato d’uso’, che nasceva dalla storia vera di Giuliano e Annalisa Bianchi, che per trent’anni hanno vissuto in una casa colonica concessa in comodato d’uso gratuito dal Comune nella periferia di Bologna e che sono stati poi sfrattati.

Paolo Martini • 

 L’altra sera, alla fine di uno dei più importanti ‘spettacoloni’ di un primario ‘teatrone’, annoiati e ancora un po’ sgomenti per la sgangheratezza di cotanta produzione, alcuni dramaholici che s’alzavano lentamente dalle sedie hanno incrociato per i saluti un altro spettatore appassionato seriale, che per giunta è un po’ del mestiere. 

 All’immancabile giudizio sottovoce ‘tutto sbagliato, tutto da rifare’, ha fatto seguito la domanda: ma chi potrebbe mettere in scena, oggi, in Italia, un testo del genere, senza tradirne lo spirito? (perché si trattava di un grande classico tanto impolverato quanto impervio).

 Il solito ‘so-tutto-io’ ha trovato subito la risposta: ‘magari uno di quei due ragazzi di Bologna…sì, i kepleriani!’. E da uno degli altri che hanno annuito con un gran sorriso, si sentiva aggiungere: ‘già, sicuramente ci vogliono menti fresche, energie vere, idee originali, e bisogna credere per davvero in quello che si vuole dire’.

 Già, nella così sfibrata scena ufficiale italiana, dopo la fortuna di quel ‘Capitale…mai letto’, è come se fosse venuto alla luce il patrimonio immateriale di Kepler-452.

C’era qualcosa di promettente, del resto, già nella scelta di un marchio stellare (il 452b è uno dei pianeti più simili alla Terra tra quelli scoperti dal telescopio spaziale Kepler, il ‘cacciatore di esoplaneti’ della Nasa) per una compagnia teatrale che è nata, nel 2015 a Bologna, dall’incontro tra Nicola Borghesi, Enrico Baraldi, Paola Aiello e, per la parte organizzativa, prima Michela Buscema e poi, dal 2021, Roberta Gabriele.

 E’ abbastanza naturale che adesso vogliano e invochino anche a casaccio i kepleriani tutti quelli che hanno già avuto la possibilità di vedere ‘Il Capitale’, o il più recente ‘Album’, nominando ovviamente soprattutto il frontman Borghesi, attore in grado di reggere la scena persino accanto a mostri di bravura come Enzo Vetrano e Stefano Randisi(1), e l’autore-regista Baraldi, fresco di ripresa di un commovente ’Non tre sorelle’ con tre attrici ucraine. 

 E’ improprio trattare come emergenti Kepler-452 e il duo bolognese con la doppia B, aldilà dell’età (Baraldi è un classe 1993, Borghesi 1986): eppure, dato che siamo nell’Italia dell’obsolescenza culturale, sicuramente vanno iscritti tra i primi nomi che dimostrano quanto un grande ricambio generazionale nel teatro sia oggi possibile, oltre che auspicabile. 

 Per dirla con una battutaccia, vivaddio c’è vita oltre Ronconi! Oltre i soliti nomi dei teatroni, oltre le presunte scuole e le effettive camarille, oltre le pastette dei mediocri, che peraltro di diminutivo non hanno niente aldilà del termine, vista la quantità di denaro pubblico in questione.

Tanto per capirci, con il valore di un pezzo soltanto dell’inutile scenografia del pessimo spettacolone da cui siamo partiti, un collettivo ‘indie’ ci fa quasi un’intera stagione. Amen. 

 Per fortuna che esiste anche una scena europea di qualità, dove non mancano istituzioni che sono più sensibili al nuovo: ed ecco che, in questa fortunatissima stagione, ‘Il Capitale, un libro che non abbiamo ancora letto’ è in dirittura d’arrivo addirittura al FIND di Berlino, il prestigioso festival internazionale del New Drama.

Saranno gli unici italiani, i kepleriani con gli operai della GKN, che calcheranno il palcoscenico in tanto di sala Globe dello Schaubühne Theater, dal 20 aprile, per tre serate.

 Sia detto tra parentesi, interrompendo la lettura per cliccare sul cartellone di questi giorni dello stesso Schaubühne, potete sognare di andare a teatro in quel di Berlino e vedervi qualche regia di Tomas Ostermeir, compreso un ’Gabbiano’ presentato nel 2013, o il nuovo allestimento in inglese di ‘status quo’ firmato Marius von Mayenburg; così, per gradire, c’è pure la ripresa di uno degli spettacoli più belli e commoventi del dopo pandemia, ‘Everywoman’ di Milo Rau con Ursina Lardi (forse l’attrice più brava dell’Europa continentale). 

 Un bel respiro, e dopo una pausa d’obbligo nell’auditorium della brechtiana Berliner Ensemble, per l’ultima parte più radicale di ‘Min Kamp’ da Karl Ove Knausgård della provocatoria Yana Ross, si gira mese allo Schaubühne: prima del FIND, aprile s’inaugura con la prima mondiale di ‘Bad Kingdom’ di Falk Richter, ovvero un duro apologo sul mondo di oggi che parte dall’assunto ‘c’è qualcosa di marcio nel regno del presente’. Un pugno dritto nello stomaco, che viene accompagnato, alla voce ‘sensitive content’ in rosso, dall’avvertenza: ‘la produzione tematizza la violenza e contiene rappresentazioni esplicite di atti sessuali’.

 La scena teatrale è questa, il livello a Berlino è questo, i nomi dei registi sono questi: coraggio Nicola, non troverai facilmente nemmeno qualche pinta di una buona Ipa, perché nelle birrerie prevale ancora lo stile tedesco classico! Puoi sempre provare a vedere al pub italiano Birra, in Prenzlauer Allee, guarda caso a un km dalla cupola del Grande Planetario Zeiss, magari c’è ancora una ‘imperial’ Quarantot del Lambrate alla spina. 

 Scherzi e divagazioni a parte, in fondo, a Berlino, Baraldi e Borghesi, è un po’ come se ci fossero nati: nel senso che il teatro di Kepler-452 prende origine dalla loro passione di spettatori giramondo e in particolare da una lunga stagione passata a inseguire Rimini Protokoll per l’Europa.

Questo collettivo fondato da Helgard Haug, Daniel Wetzel con Stefan Kaegi come punto di riferimento, ha preso stanza a Berlino, dall’inizio degli anni Duemila, presso il teatro indipendente Hebbel am Ufer (HAU 1), nel cuore di Mitte, in quella Stresemannstraße che fu inglobata per decenni nella ’striscia della morte’ intorno al Muro.

L’HAU, com’è noto, è stato plasmato come culla delle avanguardie post-Duemila dal primo mitico direttore Matthias Lilienthal, che da drammaturgo a Basilea aveva lavorato con due nascenti guru del post-drammatico come Franck Castorf e Christoph Marthaler (e lì conosciuto anche Kaegi e i Rimini Protokoll, che sono svizzeri d’origine).  

 Tanto per non girare ancora troppo in tondo, tra i primi eventi teatrali di realtà firmati dai prolifici Rimini Protokoll c’è stata un’assemblea dei soci, con i rappresentanti degli operai, della fabbrica Daimler-Benz nel 2002 e nel 2007 hanno presentato, riscuotendo premi e consensi, ‘Karl Marx: Il Capitale, Primo Volume’. L’orizzonte di riferimento è appunto quello di una scena dove non ci sono attori che riproducono una parte imparata a memoria da un’opera teatrale letteraria, bensì persone che raccontano al pubblico qualcosa della loro vita: ‘esperti’, come li chiamano i Rimini Protokoll, per l’appunto della propria esperienza biografica e visione del mondo.

 Anche nel singolare spettacolo ‘Non Tre Sorelle’, che Enrico Baraldi ha allestito per il Teatro Metastasio di Prato - e che lodevolmente è stato riproposto in questi giorni da ERT nella sala sotto l’Arena del Sole di Bologna -, la vera storia di vita di tre giovane attrici scappate dalla guerra in Ucraina (Natalia e Julia Mykhalchuk con Anfisa Lazebna) viene scavata a partire dal pretesto di una messa in scena in sospeso del classico cechoviano (2), toccando quindi così bene anche il problema scottante del confronto con la cultura russa. 

 Lo spettacolo viene recitato in quattro lingue: le altre due interpreti, Susanna Acchiardi e Alice Conti, parlano quasi sempre italiano, ma poi s’intersecano inglese, ucraino e russo: il testo va seguito nei sopratitoli doppi, in italiano e in ucraino. Eppure, per tutti i settanta minuti della rappresentazione del 19 marzo scorso a Bologna, per esempio, nonostante ben due scolaresche di adolescenti in sala, non si è sentito letteralmente ‘volare una mosca’ (allusione che non spoileriamo oltre, al momento forse più esilarante di una piéce drammatica peraltro così intensa). 

 Va infine ascritto a merito di Giuliana De Sio, che si è aggiudicata soltanto quest’anno il premio Duse, di aver indicato proprio per la ‘menzione d’onore a una personalità emergente nell’interpretazione femminile’ il cast intero di questo ‘Non Tre Sorelle’.

Si è così raddoppiato il palmares kepleriano di queste ultime stagioni, dove campeggia il ‘Premio speciale per l’attività di ricerca sul campo’ arrivato a corollario dei vari regolari UBU 2023. 

 Ecco, a pensarci bene, senza offesa per nessuno, ‘hic Rhodus, hic salta’.

E’ pur vero che Kepler-452 pratichi un preciso genere di teatro per così dire documentario, piuttosto che sia diventata la compagnia protagonista del rinnovamento di un filone d'impegno politico che in Italia vanta illustri precedenti...

...ma la dice lunga sullo stato dell’arte anche solo il confino ipocrita a margine dei riconoscimenti ufficiali: un’elemosina, pur apprezzabilissima, della grande Giuliana De Sio per le straordinarie interpreti di ’Non tre sorelle’; uno dei sei marginali Ubu, ‘per l’attività di ricerca sul campo’ (sic!), a uno spettacolo che certo è stato tra i migliori in assoluto, come ‘Il Capitale’, di gran lunga più vivo - e/o anche soltanto meno noioso e tristemente borghese - di quasi tutti i titoli che arrivano alle varie nomination e statuette e targhe d’onore.

 E non sono certo i kepleriani, quelli che non si rendono conto di com’è urgente una radicale rifondazione del teatro italiano. Quand’era ancora solo ‘uno tra gli altri’ giovani autori impegnati e militanti, Nicola Borghesi aveva messo molto bene a fuoco, in un intervento pubblico durante la pandemia, la situazione del teatro italiano, e i guasti di una predominanza nelle sale di un ‘teatro rassicurante e spesso ornamentale, aderente a quella retorica della ‘bellezza che ci salverà’ che spesso si sente ripetere in televisione’.

 Ma è ancor più significativo, in effetti, il monologo d’autocoscienza che Borghesi interpreta a un certo punto proprio de ‘Il Capitale’, raccontando i suoi stessi pensieri e le preoccupazioni per così dire di natura etica che lo sopraffanno durante una pausa di ritorno a casa a Bologna, dopo il ‘lavoro di ricerca sul campo’ di settimane trascorse tra gli occupanti della GKN di Campo Bisenzio. 

 L’autore, l’attore e soprattutto la persona, dopo un’esperienza del genere, si ritrovano totalmente fuori luogo nel ritorno alla piacevole normalità, come se il comodo divano di casa fosse diventato più disagevole della brandina da campeggio in un angolo della fabbrica in via di dismissione.

 E’ un’invettiva vera e propria, fatta davanti a uno specchio ideale con su scritto ‘Fuck you’, del genere che a qualche dramaholico evoca vagamente la spettacolare tirata anti-newyorchese di Edward Norton per Spike Lee nella ‘25ma ora’ (‘Yeah, fuck you, too. Fuck me? Fuck you, Fuck you and this whole city and everyone in it’): solo che questa volta è la città del teatro al centro di un’analisi lucida e fredda, che tanti del mestiere dovrebbero cominciare a leggere e meditare.

Nella foto di Bea Borgers, tra gli operai del collettivo di fabbrica della GKN, Enrico Baraldi (da sinistra, il terzo, dietro, in camicia), e Nicola Borghesi, che mostra 'Il Capitale' di Marx

 FUCK YOU, TEATRANTE MESTIERANTE E WOKE

 (il titolo è nostro, il testo dal Capitale di Borghesi e Baraldi)

 …Odiavo noi teatranti che in questi anni ci siamo occupati di moda, di glamour, di grandi apparati, delle performance, che cazzo performiamo. 

 Odio quelli che hanno fatto politica, che si sono preoccupati del cambiamento climatico senza pensare che cambiare il modo di produzione delle merci dalle fondamenta è l’unica possibilità di salvare questo pianeta al collasso.

 Odio chi si è accontentato di linguaggi inclusivi, asterischi, schwa, diritti civili, splendide astrazioni solo e soltanto per rimuovere che le merci, le cazzo di merci le fa qualcuno. 

 Qualcuno, per tutta la sua vita, fa le merci che noi non facciamo. E noi è l’unica cosa che davvero non vogliamo sapere. 

 Qualcuno che non incontriamo mai fa le cazzo di merci, di giorno, di notte, all’alba in dei posti dimenticati da dio che vogliamo giustamente rimuovere dalla nostra vista perché fanno schifo e puzzano di morchia e chimica. 

 Qualcuno fa le merci, idioti.

 E ancora di più odio me stesso che in una fabbrica ci sono capitato solo per farci uno spettacolo, solo per leggere un libro che non ho nemmeno finito, e che dopo questo spettacolo in una fabbrica non ci rientrerò mai più. 

 Perché mi interessa solo del teatro, solo che questo spettacolo sia bellissimo, e poi di farne un altro, con una produzione ancora più grande, più luci, più tecnici, più biglietti, più soldi,

 perché io in quella fabbrica ci sono entrato solo per produrre. 

 Pezzi. Pezzi. Pezzi.

Ancora Baraldi con Borghesi al lavoro durate una prova (foto di Luca Del Pia)

NOTE

A MARGINE DELLA SQUISITA PROVA E DI UN GIARDINO DEL 2018

(1) Lo spettacolo ‘Grazie della squisita prova’, nato dall’incontro casuale tra Vetrano e Randisi e Kepler-452, torna in scena per una mini-tournée dopo il lungo impegno dei due attori con Terzopoulos per ‘Aspettando Godot’. ‘Grazie della squisita prova’ riparte da Rubiera il 3 aprile, passa da Chianciano il 6, fa tappa il 13 aprile a Imola, dove i due attori sono di casa, e poi a maggio arriverà in Sicilia, terra d’origine di Vetrano e Randisi, che in scena rievocano persino gli esordi familiari da bambini, il 22 maggio a Palermo e il 23 a Noto.

(2) Non è il primo 'non-Cechov' di Kepler-452, che nel 2018 si era fatta notare da Ert per aver proposto, con tanto di Lodo Guenzi dello Stato Sociale e Paola Ajello in scena, ‘Il giardino dei ciliegi. Trent’anni di felicità in comodato d’uso’, che nasceva dalla storia vera di Giuliano e Annalisa Bianchi, che per trent’anni hanno vissuto in una casa colonica concessa in comodato d’uso gratuito dal Comune nella periferia di Bologna e che sono stati poi sfrattati.

Per il trattamento dei disturbi depressivi da teatro, rivolgersi ai Professori Vetrano e Randisi

Paolo Martini • 

 Certo nessuno sa evocare così bene le meraviglie del cielo anche solo muovendo una mano e lo sguardo, come i due maestri di teatro Enzo Vetrano e Stefano Randisi in una scena di ‘Grazie della squisita prova’.

Eppure vale la pena di cominciare proprio dall’orizzonte in cui s’inscrive questa prima pièce propriamente stellare della compagnia bolognese Kepler-452 , che dopo anni di teatro impegnato e senza nomi di richiamo in cartellone, con Nicola Borghesi si ferma un attimo a riflettere sul senso del proprio lavoro e può farlo ‘con e per’ due attori e protagonisti di prim’ordine.

 Per non sembrare gli stolti che guardano il dito e non la luna, dunque, la prima nota positiva va a questa riproposizione del ‘teatro fuori dal teatro’, che è poi la ragion d’essere di questa nuova iniziativa milanese de Le stanze, che ha organizzato alla sala delle colonne della Fabbrica del Vapore, il 16 ottobre, una serata emozionante e viva, per un’ottantina di spettatori raccolti a semicerchio davanti agli attori, con una distanza-vicinanza di pochi metri e nessun palcoscenico a dividere i piani.

 Il prossimo appuntamento di Le Stanze sarà dal 9 all’’11 novembre al Museo del Novecento con una performance che s’interroga sulla natura stessa dell’esibizione nell’arte, ‘Exibition’ di Cuocolo/Bosetti.

 Borghesi e compagni di Kepler-452 hanno già da tempo lo sguardo ben aperto oltre le barriere fisiche e istituzionali dei teatri, anche solo per motivi di anagrafe: sono più o meno della prima generazione nativa digitale.

Erano appena passati da Milano presentando ‘Il Capitale, un libro che non abbiamo ancora letto’ (nato durante l’occupazione della fabbrica GKN), grazie all’associazione culturale Zona K, che da un decennio pratica molto bene il ‘teatro fuori dal teatro’ e propone programmazioni alternative in una città teatralmente polverosa.  

 Tornando a Kepler-452, dopo numerose esperienze e con una certa varietà di proposte, si è meritata una quota parte di credito anche internazionale, e sempre non per caso i nostri ‘teatr-attivisti’ bolognesi sono stati invitati, con questo spettacolo dal titolo neo-marxista, al Kunsten Festival Des Arts di Bruxelles. 

 Il piccolo grande Belgio, faro europeo del teatro, è patria di compagnie di primissimo ordine e luogo di coltura per eccellenza dell’innovazione, dal post-drammatico alla sana tendenza appunto a provare riportare il teatro, la danza e le arti performative nel corpo vivo della società, uscendo appunto fuori dai teatri (ne parleremo a parte quanto prima).

Il cast de 'Il Capitale' (foto di Enrico Baraldi)

 Finito lo sguardo sull’orizzonte, veniamo al gioiellino ‘Grazie della squisita prova’, che è un vero e proprio scambio di doni: Nicola Borghesi rende omaggio alla storia e alla grandezza di Enzo e Stefano, e i due vecchi mestieranti cercano di aiutare l’autore, alla loro maniera insieme superficiale e profonda, paradossale se non grottesca, a restare nel solco tradizionale del lavoro teatrale.

Al fondo, c’è il dono del teatro al pubblico, ovvero l’emozione e, forse, anche quella piccola luce che ciascuno degli spettatori si porta poi a casa, fosse pure uno squarcio sulla condivisione di un vasetto di miele o sulla bellezza di una albicocca matura, piuttosto che invece l’illusione di vivere come se non si dovesse morire e anzi di giocarci allegramente sopra.

 ‘Grazie della squisita prova’, il titolo, è una battuta sarcastica di un grande protagonista della scena italiana dagli anni Settanta all’alba del secondo millennio, Leo De Bernardinis, e viene spiegata molto bene nello spettacolo perciò è un peccato spoilerare.

Resta da aggiungere: non pensate che dietro a questo titolo e al tema del confronto generazionale tra attori sul senso del mestiere del teatro, si nasconda la solita polpetta avvelenata in salsa meta-teatrale, vagamente ombelicale; ricordatevi pur sempre che con Vetrano e Randisi lo spettacolo è assicurato e sempre straordinariamente anche divertente. 

 Vale il biglietto, per dire, solo per i due momenti autobiografici, Enzo che ricorda quando, dopo le prime crisi d’identità come giovane attore, scoprì la salutare medicina di fare la iena, e Stefano che ritorna al momento in cui da bambino s’è innamorato del teatro, apre un vecchio libro di famiglia e legge in siciliano…

 Basta così. Sembrano così vicini, e in questo caso lo sono per davvero in scena, eppure vengono da un altro pianeta e si possono soltanto ammirare. Soprattutto se si pensa che questi due protagonisti riconosciuti (ma in fondo non troppo, rispetto a certe mezze calzette di successo), sono ancora lì che si cambiano in uno sgabuzzino accanto ai bagni, e s’impegnano lo stesso a recitare perfettamente ‘con e per’ i giovani colleghi Borghesi antiborghesi.

 Anche in questo caso vanno in scena, Vetrano e Randisi, come hanno sempre fatto, qualche volta anche solo per quattro gatti in sala, mettendosi in gioco totalmente, tanto quanto faranno tra pochi giorni addirittura in Cina, a Wuhzen, per un maestro che è già quasi un monumento come il greco Theodoros Terzopulos, e con un testo sacro come ‘Aspettando Godot’.

 Visto accanto a una giovane ballerina, appassionata di danza e poco incline al teatro di prosa (ma subito pronta a rivedere Vetrano-Randisi quando torneranno a Milano per ‘Aspettando Godot’), e a tre sedie da un’altra ragazza con il fidanzato incantati... 

 P.S.: Se’ Grazie della squisita prova’ è anche uno spettacolo della memoria, alla fine il vostro vecchio dramaholico è come se fosse tornato il liceale che s’intrufolava alle prove delle compagnie alternative e militanti, ma non disdegnava nemmeno di andare a vedere i mostri sacri, alle pomeridiane degli spettacoli popolari-borghesi, e per fortuna!, che così ha visto recitare, tra gli altri, Salvo Randone pirandelliano impareggiabile... e non avendo osato allora appostarsi per chiedere l’autografo… (vedi sotto)  

Paolo Martini • 

 Certo nessuno sa evocare così bene le meraviglie del cielo anche solo muovendo una mano e lo sguardo, come i due maestri di teatro Enzo Vetrano e Stefano Randisi in una scena di ‘Grazie della squisita prova’.

Eppure vale la pena di cominciare proprio dall’orizzonte in cui s’inscrive questa prima pièce propriamente stellare della compagnia bolognese Kepler-452 , che dopo anni di teatro impegnato e senza nomi di richiamo in cartellone, con Nicola Borghesi si ferma un attimo a riflettere sul senso del proprio lavoro e può farlo ‘con e per’ due attori e protagonisti di prim’ordine.

 Per non sembrare gli stolti che guardano il dito e non la luna, dunque, la prima nota positiva va a questa riproposizione del ‘teatro fuori dal teatro’, che è poi la ragion d’essere di questa nuova iniziativa milanese de Le stanze, che ha organizzato alla sala delle colonne della Fabbrica del Vapore, il 16 ottobre, una serata emozionante e viva, per un’ottantina di spettatori raccolti a semicerchio davanti agli attori, con una distanza-vicinanza di pochi metri e nessun palcoscenico a dividere i piani.

 Il prossimo appuntamento di Le Stanze sarà dal 9 all’’11 novembre al Museo del Novecento con una performance che s’interroga sulla natura stessa dell’esibizione nell’arte, ‘Exibition’ di Cuocolo/Bosetti.

 Borghesi e compagni di Kepler-452 hanno già da tempo lo sguardo ben aperto oltre le barriere fisiche e istituzionali dei teatri, anche solo per motivi di anagrafe: sono più o meno della prima generazione nativa digitale.

Erano appena passati da Milano presentando ‘Il Capitale, un libro che non abbiamo ancora letto’ (nato durante l’occupazione della fabbrica GKN), grazie all’associazione culturale Zona K, che da un decennio pratica molto bene il ‘teatro fuori dal teatro’ e propone programmazioni alternative in una città teatralmente polverosa.  

 Tornando a Kepler-452, dopo numerose esperienze e con una certa varietà di proposte, si è meritata una quota parte di credito anche internazionale, e sempre non per caso i nostri ‘teatr-attivisti’ bolognesi sono stati invitati, con questo spettacolo dal titolo neo-marxista, al Kunsten Festival Des Arts di Bruxelles. 

 Il piccolo grande Belgio, faro europeo del teatro, è patria di compagnie di primissimo ordine e luogo di coltura per eccellenza dell’innovazione, dal post-drammatico alla sana tendenza appunto a provare riportare il teatro, la danza e le arti performative nel corpo vivo della società, uscendo appunto fuori dai teatri (ne parleremo a parte quanto prima).

Il cast de 'Il Capitale' (foto di Enrico Baraldi)

 Finito lo sguardo sull’orizzonte, veniamo al gioiellino ‘Grazie della squisita prova’, che è un vero e proprio scambio di doni: Nicola Borghesi rende omaggio alla storia e alla grandezza di Enzo e Stefano, e i due vecchi mestieranti cercano di aiutare l’autore, alla loro maniera insieme superficiale e profonda, paradossale se non grottesca, a restare nel solco tradizionale del lavoro teatrale.

Al fondo, c’è il dono del teatro al pubblico, ovvero l’emozione e, forse, anche quella piccola luce che ciascuno degli spettatori si porta poi a casa, fosse pure uno squarcio sulla condivisione di un vasetto di miele o sulla bellezza di una albicocca matura, piuttosto che invece l’illusione di vivere come se non si dovesse morire e anzi di giocarci allegramente sopra.

 ‘Grazie della squisita prova’, il titolo, è una battuta sarcastica di un grande protagonista della scena italiana dagli anni Settanta all’alba del secondo millennio, Leo De Bernardinis, e viene spiegata molto bene nello spettacolo perciò è un peccato spoilerare.

Resta da aggiungere: non pensate che dietro a questo titolo e al tema del confronto generazionale tra attori sul senso del mestiere del teatro, si nasconda la solita polpetta avvelenata in salsa meta-teatrale, vagamente ombelicale; ricordatevi pur sempre che con Vetrano e Randisi lo spettacolo è assicurato e sempre straordinariamente anche divertente. 

 Vale il biglietto, per dire, solo per i due momenti autobiografici, Enzo che ricorda quando, dopo le prime crisi d’identità come giovane attore, scoprì la salutare medicina di fare la iena, e Stefano che ritorna al momento in cui da bambino s’è innamorato del teatro, apre un vecchio libro di famiglia e legge in siciliano…

 Basta così. Sembrano così vicini, e in questo caso lo sono per davvero in scena, eppure vengono da un altro pianeta e si possono soltanto ammirare. Soprattutto se si pensa che questi due protagonisti riconosciuti (ma in fondo non troppo, rispetto a certe mezze calzette di successo), sono ancora lì che si cambiano in uno sgabuzzino accanto ai bagni, e s’impegnano lo stesso a recitare perfettamente ‘con e per’ i giovani colleghi Borghesi antiborghesi.

 Anche in questo caso vanno in scena, Vetrano e Randisi, come hanno sempre fatto, qualche volta anche solo per quattro gatti in sala, mettendosi in gioco totalmente, tanto quanto faranno tra pochi giorni addirittura in Cina, a Wuhzen, per un maestro che è già quasi un monumento come il greco Theodoros Terzopulos, e con un testo sacro come ‘Aspettando Godot’.

 Visto accanto a una giovane ballerina, appassionata di danza e poco incline al teatro di prosa (ma subito pronta a rivedere Vetrano-Randisi quando torneranno a Milano per ‘Aspettando Godot’), e a tre sedie da un’altra ragazza con il fidanzato incantati... 

 P.S.: Se’ Grazie della squisita prova’ è anche uno spettacolo della memoria, alla fine il vostro vecchio dramaholico è come se fosse tornato il liceale che s’intrufolava alle prove delle compagnie alternative e militanti, ma non disdegnava nemmeno di andare a vedere i mostri sacri, alle pomeridiane degli spettacoli popolari-borghesi, e per fortuna!, che così ha visto recitare, tra gli altri, Salvo Randone pirandelliano impareggiabile... e non avendo osato allora appostarsi per chiedere l’autografo… (vedi sotto)  

Ultimissime sui cinque arruolati in 'A place of safety', con foto di scena dal fronte del porto di Kepler-452

Redazione • 

Alla vigilia della prima di 'A place of safety. Viaggio nel Mediterraneo centrale' di Kepler-452, all'Arena del Sole di Bologna da giovedì 27 febbraio, ERT Emilia Romagna Teatro ha diffuso le foto scattate alle ultime prove.

C'è un clima di grande attesa anche nel mondo delle organizzazioni di volontariato (in particolare Sea Watch e Life Support) che hanno consentito agli autori Enrico Baraldi e Nicola Borghesi di poter vivere l'esperienza di un soccorso in mare e di conoscere e incontrare le persone che racconteranno nello spettacolo questa parte del presente storico così drammatica e insieme solidale e viva.

I cinque 'attori' di realtà che interloquiranno in scena con Nicola Borghesi sono - come scrivono i due autori kepleriani nella presentazione - 'un cast che è frutto di una lunga ricerca, seguita all'esperienza di volontariato a Lampedusa e poi del viaggio in mare con Sea-Watch, per individuare persone che hanno testimoniato coi propri occhi punti diversi dell’avventura lunga un decennio del soccorso civile nel Mar Mediterraneo.

Le testimonianze raccolte diventano nella drammaturgia le tappe di una missione: dalle paure prima di partire, alle motivazioni che spingono a imbarcarsi, ciò che accade quando ci si avvicina alla zona delle operazioni, il soccorso, fino poi al viaggio di ritorno'. I cinque protagonisti sono, in ordine alfabetico:

Flavio Catalano di Life Support-Emergency: nato a Napoli, nel 1958, in una famiglia medio-borghese e cresciuto fra Napoli e Catania, dopo una formazione scientifica come ingegnere navale e meccanico, lavora come ufficiale tecnico sommergibilista nella Marina Militare. Ben presto s'impegna nel volontariato spaziando dalla politica alla conservazione della memoria storica, dal commercio equo al restauro di antichi manufatti industriali, alla cooperazione internazionale in paesi dell’Africa Occidentale Sub-Sahariana. Il suo impegno sociale sfocia, nel 2022, nell’allestimento della Life Support, la nave della ONG Emergency; dopo i lavori propedeutici in cantiere, rimane imbarcato per lo svolgimento dell’attività operativa di ricerca e soccorso naufraghi nel Mediterraneo centrale; a tutt’oggi è stato impegnato in 22 delle 28 missioni portate a termine. Ha una figlia, Francesca, nata nel 1986 da un suo precedente matrimonio. Attualmente vive, con la moglie Maryam e la cagnolina Mia, fra La Spezia e Rovegno, in alta Val Trebbia.

Miguel Duarte è un 'civil sea rescuer' nel Mediterraneo centrale dal 2016. Era un membro dell'equipaggio della nave Iuventa ed è stato tra i dieci operatori umanitari che hanno rischiato fino a venti anni di carcere per un'accusa di favoreggiamento dell'immigrazione clandestina da parte del Governo italiano. Si è trattato del primo e più lungo caso di criminalizzazione del soccorso in mare in Italia, durato complessivamente otto anni, fino all'assoluzione di tutte le persone coinvolte, avvenuta nel maggio 2024. Oggi lavora come capo missione a bordo delle navi della Sea-Watch. In Portogallo, dove vive, Miguel è un fisico matematico che fa ricerca sui buchi neri e insegna all'università. È cofondatore di HuBB - Humans Before Borders, un collettivo per i diritti dei migranti, con cui organizza manifestazioni, eventi e campagne.

Giorgia Linardi, 34 anni. Nata a Como con radici emiliane e siciliane, che da sempre la legano al Mediterraneo. Allo scoppiare della primavera araba nel 2011, inizia a interessarsi al fenomeno migratorio via mare. Studia Scienze Politiche e Relazioni Internazionali a Milano e si specializza in Diritto Internazionale con un master a Ginevra. Dal 2015 collabora con la ONG tedesca di soccorso in mare Sea-Watch, per cui ha ricoperto i ruoli di consulente legale e per le operazioni, coordinatrice del team italiano, responsabile advocacy e portavoce. Ha preso parte a diverse missioni sulle navi di soccorso e di monitoraggio aereo nel Mediterraneo Centrale e nell'Egeo, da Lampedusa, Malta e dall’isola greca di Lesbo. Ha collaborato con Medici Senza Frontiere come Humanitarian Affairs Officer tra il 2016 e il 2017 a bordo della nave Aquarius, mentre nel 2022 ha trascorso un anno tra Tunisia e Libia come advocacy manager, in supporto alle persone migranti nei centri di detenzione di Tripoli, e per l'apertura di un progetto in Tunisia. Docente universitaria in materia di Rifugiati e diritti umani, dal 2024 coordina anche la ONG Avocats Sans Frontièrs.

Floriana Pati, 37 anni, è infermiera. Dopo una prima esperienza negli ospedali lombardi, si dedica all’area sanitaria del terzo settore, rivolta all’accoglienza dei migranti e alla gestione della marginalità urbana della città di Milano. Nel 2016 inizia a collaborare con Emergency come volontaria, supportando le attività sanitarie della clinica mobile di Milano e degli sbarchi nella Sicilia orientale. Successivamente si specializza in Salute Globale e dal 2020 al 2024 lavora in alcuni degli ambulatori di Emergency in Italia: Milano, Napoli, Castelvolturno e Rosarno. L’obiettivo principale di questi progetti è quello di garantire il diritto alla salute a tutte e tutti, indipendentemente dalla situazione amministrativa. In questo contesto affina la sua esperienza nella medicina della migrazione. Dal 2022 a oggi ha partecipato a cinque missioni di ricerca e soccorso nel Mar Mediterraneo centrale sulla nave Life Support.

José Ricardo Peña è nato a Houston, Texas, il 23 aprile 1994, figlio di immigrati. Sua madre è una cittadina statunitense cresciuta in Messico, mentre suo padre ha attraversato il confine illegalmente.
José ha iniziato a lavorare come elettricista all'età di 19 anni. Anche se, quando glielo si chiede, in realtà ha iniziato la sua carriera di elettricista all'età di 12 anni, suo padre gli ha insegnato a installare semplici impianti elettrici. Non sapendo nulla della ricerca e del soccorso civile nel Mediterraneo, José ha fatto domanda per il posto di elettricista marittimo presso la Sea-Watch il 10 ottobre 2023, dopo essersi imbattuto in un annuncio di lavoro sponsorizzato su Instagram. Tre settimane dopo aver fatto domanda, si è ritrovato a Vinaros a bordo della Sea-Watch 5. Da allora ha completato quattro missioni con la Sea-Watch e ha dato una mano durante i periodi di cantiere. Attualmente vive in Texas con i suoi due cani.

Da sinistra, in alto, Flavio Catalano e Miguel Duarte; sedute, sotto Floriana Pati e ancora sotto Giorgia Linardi; a destra, in piedi, José Ricardo Peña e Nicola Borghesi (foto di scena di Luca Del Pia)

'A place of safety' è un accumulo di storie impossibili da raccontare – conclude la presentazione ufficiale – accadute in un posto lontanissimo e vicino, ma anche il tentativo di capire come si raccontino, a cosa servano tutte queste storie. 'A place of safety' è la storia dell’incontro tra una compagnia di teatro e un gruppo di persone che ha deciso di dedicare una parte della propria vita al soccorso in mare, ma è anche e soprattutto una scintilla di attenzione sul rimosso collettivo del nostro continente, ciò che accade nel Mediterraneo centrale. In fondo, un discorso intimo su ciò che l’Europa vorrebbe essere, su ciò che non è, su ciò che potrebbe essere'.

Redazione • 

Alla vigilia della prima di 'A place of safety. Viaggio nel Mediterraneo centrale' di Kepler-452, all'Arena del Sole di Bologna da giovedì 27 febbraio, ERT Emilia Romagna Teatro ha diffuso le foto scattate alle ultime prove.

C'è un clima di grande attesa anche nel mondo delle organizzazioni di volontariato (in particolare Sea Watch e Life Support) che hanno consentito agli autori Enrico Baraldi e Nicola Borghesi di poter vivere l'esperienza di un soccorso in mare e di conoscere e incontrare le persone che racconteranno nello spettacolo questa parte del presente storico così drammatica e insieme solidale e viva.

I cinque 'attori' di realtà che interloquiranno in scena con Nicola Borghesi sono - come scrivono i due autori kepleriani nella presentazione - 'un cast che è frutto di una lunga ricerca, seguita all'esperienza di volontariato a Lampedusa e poi del viaggio in mare con Sea-Watch, per individuare persone che hanno testimoniato coi propri occhi punti diversi dell’avventura lunga un decennio del soccorso civile nel Mar Mediterraneo.

Le testimonianze raccolte diventano nella drammaturgia le tappe di una missione: dalle paure prima di partire, alle motivazioni che spingono a imbarcarsi, ciò che accade quando ci si avvicina alla zona delle operazioni, il soccorso, fino poi al viaggio di ritorno'. I cinque protagonisti sono, in ordine alfabetico:

Flavio Catalano di Life Support-Emergency: nato a Napoli, nel 1958, in una famiglia medio-borghese e cresciuto fra Napoli e Catania, dopo una formazione scientifica come ingegnere navale e meccanico, lavora come ufficiale tecnico sommergibilista nella Marina Militare. Ben presto s'impegna nel volontariato spaziando dalla politica alla conservazione della memoria storica, dal commercio equo al restauro di antichi manufatti industriali, alla cooperazione internazionale in paesi dell’Africa Occidentale Sub-Sahariana. Il suo impegno sociale sfocia, nel 2022, nell’allestimento della Life Support, la nave della ONG Emergency; dopo i lavori propedeutici in cantiere, rimane imbarcato per lo svolgimento dell’attività operativa di ricerca e soccorso naufraghi nel Mediterraneo centrale; a tutt’oggi è stato impegnato in 22 delle 28 missioni portate a termine. Ha una figlia, Francesca, nata nel 1986 da un suo precedente matrimonio. Attualmente vive, con la moglie Maryam e la cagnolina Mia, fra La Spezia e Rovegno, in alta Val Trebbia.

Miguel Duarte è un 'civil sea rescuer' nel Mediterraneo centrale dal 2016. Era un membro dell'equipaggio della nave Iuventa ed è stato tra i dieci operatori umanitari che hanno rischiato fino a venti anni di carcere per un'accusa di favoreggiamento dell'immigrazione clandestina da parte del Governo italiano. Si è trattato del primo e più lungo caso di criminalizzazione del soccorso in mare in Italia, durato complessivamente otto anni, fino all'assoluzione di tutte le persone coinvolte, avvenuta nel maggio 2024. Oggi lavora come capo missione a bordo delle navi della Sea-Watch. In Portogallo, dove vive, Miguel è un fisico matematico che fa ricerca sui buchi neri e insegna all'università. È cofondatore di HuBB - Humans Before Borders, un collettivo per i diritti dei migranti, con cui organizza manifestazioni, eventi e campagne.

Giorgia Linardi, 34 anni. Nata a Como con radici emiliane e siciliane, che da sempre la legano al Mediterraneo. Allo scoppiare della primavera araba nel 2011, inizia a interessarsi al fenomeno migratorio via mare. Studia Scienze Politiche e Relazioni Internazionali a Milano e si specializza in Diritto Internazionale con un master a Ginevra. Dal 2015 collabora con la ONG tedesca di soccorso in mare Sea-Watch, per cui ha ricoperto i ruoli di consulente legale e per le operazioni, coordinatrice del team italiano, responsabile advocacy e portavoce. Ha preso parte a diverse missioni sulle navi di soccorso e di monitoraggio aereo nel Mediterraneo Centrale e nell'Egeo, da Lampedusa, Malta e dall’isola greca di Lesbo. Ha collaborato con Medici Senza Frontiere come Humanitarian Affairs Officer tra il 2016 e il 2017 a bordo della nave Aquarius, mentre nel 2022 ha trascorso un anno tra Tunisia e Libia come advocacy manager, in supporto alle persone migranti nei centri di detenzione di Tripoli, e per l'apertura di un progetto in Tunisia. Docente universitaria in materia di Rifugiati e diritti umani, dal 2024 coordina anche la ONG Avocats Sans Frontièrs.

Floriana Pati, 37 anni, è infermiera. Dopo una prima esperienza negli ospedali lombardi, si dedica all’area sanitaria del terzo settore, rivolta all’accoglienza dei migranti e alla gestione della marginalità urbana della città di Milano. Nel 2016 inizia a collaborare con Emergency come volontaria, supportando le attività sanitarie della clinica mobile di Milano e degli sbarchi nella Sicilia orientale. Successivamente si specializza in Salute Globale e dal 2020 al 2024 lavora in alcuni degli ambulatori di Emergency in Italia: Milano, Napoli, Castelvolturno e Rosarno. L’obiettivo principale di questi progetti è quello di garantire il diritto alla salute a tutte e tutti, indipendentemente dalla situazione amministrativa. In questo contesto affina la sua esperienza nella medicina della migrazione. Dal 2022 a oggi ha partecipato a cinque missioni di ricerca e soccorso nel Mar Mediterraneo centrale sulla nave Life Support.

José Ricardo Peña è nato a Houston, Texas, il 23 aprile 1994, figlio di immigrati. Sua madre è una cittadina statunitense cresciuta in Messico, mentre suo padre ha attraversato il confine illegalmente.
José ha iniziato a lavorare come elettricista all'età di 19 anni. Anche se, quando glielo si chiede, in realtà ha iniziato la sua carriera di elettricista all'età di 12 anni, suo padre gli ha insegnato a installare semplici impianti elettrici. Non sapendo nulla della ricerca e del soccorso civile nel Mediterraneo, José ha fatto domanda per il posto di elettricista marittimo presso la Sea-Watch il 10 ottobre 2023, dopo essersi imbattuto in un annuncio di lavoro sponsorizzato su Instagram. Tre settimane dopo aver fatto domanda, si è ritrovato a Vinaros a bordo della Sea-Watch 5. Da allora ha completato quattro missioni con la Sea-Watch e ha dato una mano durante i periodi di cantiere. Attualmente vive in Texas con i suoi due cani.

Da sinistra, in alto, Flavio Catalano e Miguel Duarte; sedute, sotto Floriana Pati e ancora sotto Giorgia Linardi; a destra, in piedi, José Ricardo Peña e Nicola Borghesi (foto di scena di Luca Del Pia)

'A place of safety' è un accumulo di storie impossibili da raccontare – conclude la presentazione ufficiale – accadute in un posto lontanissimo e vicino, ma anche il tentativo di capire come si raccontino, a cosa servano tutte queste storie. 'A place of safety' è la storia dell’incontro tra una compagnia di teatro e un gruppo di persone che ha deciso di dedicare una parte della propria vita al soccorso in mare, ma è anche e soprattutto una scintilla di attenzione sul rimosso collettivo del nostro continente, ciò che accade nel Mediterraneo centrale. In fondo, un discorso intimo su ciò che l’Europa vorrebbe essere, su ciò che non è, su ciò che potrebbe essere'.

'Possiamo chiudere con il passato ma il passato non chiude con noi': Kepler-452 brilla di nuovo con un toccante 'Album' eco-solidale

Paolo Martini • 

 Ancor prima del successo facile al botteghino, a volte bastano i premi ufficiali e il consenso istituzionale a rovinare le menti migliori. Non sembra il caso della compagnia Kepler-452, per fortuna, anche perché rischierebbero il doppio praticando il teatro politico in modo nuovo e autentico rispetto a un certo conformismo ‘engagé’. 

 Dietro al logo astronomico, che con la b dopo il numero indicherebbe il pianeta più simile alla Terra mai scoperta tra le stelle, si muovono oggi Nicola Borghesi, Enrico Baraldi, Paola AielloRoberta Gabriele, mantenendo fede agli intendimenti di fondo di aprire le porte dei teatri alla realtà, spaziando tra i format e gli stili senza fossilizzarsi su uno in particolare.

 E così, dopo ‘Il Capitale. Un libro che non abbiamo ancora letto’, che nei prossimi giorni sarà di nuovo in scena al TPE Teatro Astra di Torino, poi a Udine e Vicenza, e mentre ancora gira ‘Gli Altri. Un’indagine sui nuovissimi mostri’, lo spettacolo sugli hater e l’odio online presentato nel ’21 e sempre più attuale, ecco la sorprendente novità di ‘Album’. 

 Una piccola meraviglia, firmata da Borghesi e Baraldi con Riccardo Tabiglio, vista a Milano al Teatro Franco Parenti, sala Zenitale, che è piaciuta tantissimo agli appassionati per i motivi che si possono riassumere in pochi punti.

 1. In perfetta armonia con il tema, gli spettatori di ‘Album’ sono invitati fuori dalle sale teatrali e vengono fatti accomodare, a tre o quattro decine per volta, in una sorta di salotto di casa, con qualche poltrona e sedie varie spaiate, intorno a due-tre tavoli, in mezzo ad oggetti appoggiati qua e là o accatastati in qualche angolo, tra cui si notano i monitor, i televisori, il giradischi e il mangianastri con  radio incorporata.

 2. Il linguaggio è innovativo, multimediale e partecipato - il pubblico è chiamato in qualche modo a ‘recitare’ parlando, annuendo, mangiando - , ma tutto sempre molto ben dosato, esattamente come il tono accattivante che mescola comicità e ironia con impegno militante e testimonianza, caratteristica già apprezzata nei precedenti spettacoli di Kepler-452.

 3. La sequenza della narrazione ha del mirabolante, comincia dalla riproduzione delle anguille e dal problema sociale della demenza senile, poi dall’ossessione per le cose e i ricordi arriva al disastro dell’alluvione in Romagna, mentre il narratore è alle prese prima con l’Alzheimer di suo padre stesso e poi con il problema di svuotarne la casa.

Non spoileriamo di più che un altro dettaglio: ogni salto è sottolineato da un cambio di scarpe, il protagonista indossa le sneaker, poi si mette in calzini per un cambio di luogo, esce e rientra con gli stivali da pioggia infangati e infine si rimette le sue scarpe in tela canvas.

 4. E’ un testo che non sfigurerebbe nella biblioteca di ‘ecologia integrale’, con un monologo clou sulla solidarietà e la fratellanza, di segno decisamente anti-capitalista e un’aura artistico-letteraria, che s’intravede oltre la superficie medico-scientifica, che sembra richiamare le poetiche della memoria che hanno segnato la cultura di fine secondo millennio, tra i libri di W.G. Sebald e le installazioni di Christian Boltanski

 Aver scelto di collocarsi così sul versante più alto dell’impossibile assimilazione della storia e delle vite di tutti, per evidenziare l’amnesia collettiva nei confronti della catastrofe ecologica (1), è ancor più pregevole in un momento in cui viene tanto sdoganata la più trita estetica passatista, ovvero, come notava il riverito maestro Franco Cordelli, ‘quell’ideologia dei vari ‘C’è ancora domani’ e di tanto teatro che mostrano una familiarità con l’inattuale ai limiti del compiacimento: qualcosa che riguarda più il contesto che il testo, accenti che due decenni fa si sarebbero definiti reazionari’.

 5. ‘Album’ è una vera e propria prova di maturità, anche del protagonista stesso, Nicola Borghesi, come attore: così ammirevole e capace da far pensare che non sia servita solo a divertire gli spettatori l’esperienza particolarissima della pièce meta-teatrale ‘Grazie della squisita prova’, che lo ha viso misurarsi in scena con due mostri sacri come Enzo Vetrano e Stefano Randisi.

 Bravo, bravo, bravissimo Nicola. E viva Kepler-452!

 P.S.: Fa davvero piacere notare l’affermazione in nuce di una nuova pattuglia di autori che tengono alta la bandiera del teatro, sono perlopiù della generazione Millennials, con piccole punte anche nei ‘nativi digitali’.

Dovrebbero buttar giù a spallate un sistema vecchio e stantio, ma intanto alcuni, come Kepler-452 (piuttosto che, su tutt’altro indirizzo, un Ferracchiati o Lidi), dimostrano quanto meno di saper non farsi schiacciare dalle gabbie dorate degli enti pubblici teatrali, soprattutto quelli di prim’ordine, come il Piccolo o l’ERT con cui lavora questa compagnia di Bologna da alcune stagioni, che certo garantiscono l’upgrade anche a livello d’immagine.

Meglio non seguire i cattivi esempi di facile rispettabilità e restare un po’ brutti, sporchi e cattivi così come ci si è fatti conoscere e amare: gli spettatori appassionati saranno ancor più riconoscenti. 'Possiamo chiudere con il passato ma il passato non chiude con noi' vale anche per il rapporto tra i teatranti e il pubblico.

Vista d'insieme a una delle prime rappresentazioni di 'Album' (foto di Giulia Lenzi)

 NOTA A MARGINE DELLA PROTESTA DEI TRATTORI E DELL’ANTI-AMBIENTALISMO MONTANTE

(1) vedi https://www.ilfattoquotidiano.it/blog/pmartini/

Paolo Martini • 

 Ancor prima del successo facile al botteghino, a volte bastano i premi ufficiali e il consenso istituzionale a rovinare le menti migliori. Non sembra il caso della compagnia Kepler-452, per fortuna, anche perché rischierebbero il doppio praticando il teatro politico in modo nuovo e autentico rispetto a un certo conformismo ‘engagé’. 

 Dietro al logo astronomico, che con la b dopo il numero indicherebbe il pianeta più simile alla Terra mai scoperta tra le stelle, si muovono oggi Nicola Borghesi, Enrico Baraldi, Paola AielloRoberta Gabriele, mantenendo fede agli intendimenti di fondo di aprire le porte dei teatri alla realtà, spaziando tra i format e gli stili senza fossilizzarsi su uno in particolare.

 E così, dopo ‘Il Capitale. Un libro che non abbiamo ancora letto’, che nei prossimi giorni sarà di nuovo in scena al TPE Teatro Astra di Torino, poi a Udine e Vicenza, e mentre ancora gira ‘Gli Altri. Un’indagine sui nuovissimi mostri’, lo spettacolo sugli hater e l’odio online presentato nel ’21 e sempre più attuale, ecco la sorprendente novità di ‘Album’. 

 Una piccola meraviglia, firmata da Borghesi e Baraldi con Riccardo Tabiglio, vista a Milano al Teatro Franco Parenti, sala Zenitale, che è piaciuta tantissimo agli appassionati per i motivi che si possono riassumere in pochi punti.

 1. In perfetta armonia con il tema, gli spettatori di ‘Album’ sono invitati fuori dalle sale teatrali e vengono fatti accomodare, a tre o quattro decine per volta, in una sorta di salotto di casa, con qualche poltrona e sedie varie spaiate, intorno a due-tre tavoli, in mezzo ad oggetti appoggiati qua e là o accatastati in qualche angolo, tra cui si notano i monitor, i televisori, il giradischi e il mangianastri con  radio incorporata.

 2. Il linguaggio è innovativo, multimediale e partecipato - il pubblico è chiamato in qualche modo a ‘recitare’ parlando, annuendo, mangiando - , ma tutto sempre molto ben dosato, esattamente come il tono accattivante che mescola comicità e ironia con impegno militante e testimonianza, caratteristica già apprezzata nei precedenti spettacoli di Kepler-452.

 3. La sequenza della narrazione ha del mirabolante, comincia dalla riproduzione delle anguille e dal problema sociale della demenza senile, poi dall’ossessione per le cose e i ricordi arriva al disastro dell’alluvione in Romagna, mentre il narratore è alle prese prima con l’Alzheimer di suo padre stesso e poi con il problema di svuotarne la casa.

Non spoileriamo di più che un altro dettaglio: ogni salto è sottolineato da un cambio di scarpe, il protagonista indossa le sneaker, poi si mette in calzini per un cambio di luogo, esce e rientra con gli stivali da pioggia infangati e infine si rimette le sue scarpe in tela canvas.

 4. E’ un testo che non sfigurerebbe nella biblioteca di ‘ecologia integrale’, con un monologo clou sulla solidarietà e la fratellanza, di segno decisamente anti-capitalista e un’aura artistico-letteraria, che s’intravede oltre la superficie medico-scientifica, che sembra richiamare le poetiche della memoria che hanno segnato la cultura di fine secondo millennio, tra i libri di W.G. Sebald e le installazioni di Christian Boltanski

 Aver scelto di collocarsi così sul versante più alto dell’impossibile assimilazione della storia e delle vite di tutti, per evidenziare l’amnesia collettiva nei confronti della catastrofe ecologica (1), è ancor più pregevole in un momento in cui viene tanto sdoganata la più trita estetica passatista, ovvero, come notava il riverito maestro Franco Cordelli, ‘quell’ideologia dei vari ‘C’è ancora domani’ e di tanto teatro che mostrano una familiarità con l’inattuale ai limiti del compiacimento: qualcosa che riguarda più il contesto che il testo, accenti che due decenni fa si sarebbero definiti reazionari’.

 5. ‘Album’ è una vera e propria prova di maturità, anche del protagonista stesso, Nicola Borghesi, come attore: così ammirevole e capace da far pensare che non sia servita solo a divertire gli spettatori l’esperienza particolarissima della pièce meta-teatrale ‘Grazie della squisita prova’, che lo ha viso misurarsi in scena con due mostri sacri come Enzo Vetrano e Stefano Randisi.

 Bravo, bravo, bravissimo Nicola. E viva Kepler-452!

 P.S.: Fa davvero piacere notare l’affermazione in nuce di una nuova pattuglia di autori che tengono alta la bandiera del teatro, sono perlopiù della generazione Millennials, con piccole punte anche nei ‘nativi digitali’.

Dovrebbero buttar giù a spallate un sistema vecchio e stantio, ma intanto alcuni, come Kepler-452 (piuttosto che, su tutt’altro indirizzo, un Ferracchiati o Lidi), dimostrano quanto meno di saper non farsi schiacciare dalle gabbie dorate degli enti pubblici teatrali, soprattutto quelli di prim’ordine, come il Piccolo o l’ERT con cui lavora questa compagnia di Bologna da alcune stagioni, che certo garantiscono l’upgrade anche a livello d’immagine.

Meglio non seguire i cattivi esempi di facile rispettabilità e restare un po’ brutti, sporchi e cattivi così come ci si è fatti conoscere e amare: gli spettatori appassionati saranno ancor più riconoscenti. 'Possiamo chiudere con il passato ma il passato non chiude con noi' vale anche per il rapporto tra i teatranti e il pubblico.

Vista d'insieme a una delle prime rappresentazioni di 'Album' (foto di Giulia Lenzi)

 NOTA A MARGINE DELLA PROTESTA DEI TRATTORI E DELL’ANTI-AMBIENTALISMO MONTANTE

(1) vedi https://www.ilfattoquotidiano.it/blog/pmartini/

FIN
CLAP CLAP CLAP CLAP CLAP CLAP CLAP CLAP CLAP CLAP CLAP CLAP CLAP CLAP CLAP CLAP CLAP CLAP CLAP CLAP CLAP CLAP CLAP CLAP
BIIIIIIIIIIIIIIIS
CLAP CLAP CLAP CLAP CLAP CLAP CLAP CLAP CLAP CLAP CLAP CLAP CLAP CLAP CLAP CLAP CLAP CLAP CLAP CLAP CLAP CLAP CLAP CLAP
FIN
CLAP CLAP CLAP CLAP CLAP CLAP CLAP CLAP CLAP CLAP CLAP CLAP CLAP CLAP CLAP CLAP CLAP CLAP CLAP CLAP CLAP CLAP CLAP CLAP CLAP CLAP CLAP CLAP CLAP CLAP CLAP CLAP CLAP CLAP CLAP CLAP CLAP CLAP CLAP CLAP CLAP CLAP CLAP CLAP CLAP CLAP CLAP CLAP
BIIIIIIIIIIIIIIIS
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Questo è il primo speciale di Dramaholic.
Ne faremo degli altri?
Vedremo.


Tutte le settimane scriviamo sul nostro sito, e inoltre:

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