Il dramma del drammaturgo che sale in taxi per andare a teatro fuori orario e deve rispondere alla domanda: ma che lavoro fa?
10.12.2024
Fuori i soliti noti e dentro un po' d'aria fresca, si può fare davvero: tra le nuove generazioni non mancano i talenti. 3/Giovanni Ortoleva
Che combinazione, sarà proprio Giovanni Ortoleva il primo dei quattro giovani registi italiani che aprirà, il 29 giugno, la sezione ‘Uffa che barba!’ del 67mo Festival dei Due Mondi di Spoleto. Con questa curiosa insegna è riunito il frutto del lavoro da professore a Roma di Antonio Latella, con gli allievi dell’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica Silvio d’Amico.
Questi fortunati studenti sono chiamati alla prova finale sotto la direzione di quattro ‘talenti emergenti’, nel senso di poco più che trentenni che si sono fatti già notare sulla scena teatrale. E il primo è, appunto, Ortoleva, che ai suoi 'fratelli minori' aspiranti attori ha proposto di riprendere addirittura ‘Risveglio di primavera’ di Franz Wedekind.
‘Eine Kindertragödie’ recitava il sottotitolo di questo dramma, che invero dei ‘fanciulli’ tedeschi di fine Ottocento-inizio Novecento fotografa il complicato passaggio all’adolescenza e la scoperta delle pulsioni sessuali. Un testo teatralmente immortalato dopo il primo allestimento di Max Reinhardt, per non dire poi dell’eco psicoanalitico e interpretativo (di cui vedi anche solo Lacan alla voce di Wikipedia…).
Insomma, una ripresa al limite dell'impossibile, così apparentemente fuori tempo nel mondo dei bambini che guardano Pornhub sul cellulare, ma chissà quale risvolto ha trovato Ortoleva. Peraltro, il suo ‘Risveglio’ è già stato presentato in anteprima a La Pelanda di Roma, con successo, il 2 Febbraio 2024, ma era appunto un saggio di fine scuola, e non fa testo un piccolo pubblico di amici e parenti entusiasti, sarà ben diverso misurasi con gli spettatori onnivori e alquanto impegnativi dei festival.
In ogni caso, del nuovo mazzo di giovani che Latella promuove a Spoleto - tra cui un vero dramaholico ad honorem come Leonardo Manzan, 'ribelle scapigliato' e perciò ancor più notevole nel rango di ‘professore’ con allievi -, di sicuro Ortoleva è quello con le idee più chiare e dichiarate in materia di scuole, eredità e diritti connessi. Dopo la sua biografia, sul sito ufficiale si può leggere un ‘about’ particolare, con la perfetta citazione d'apertura ‘per saperne di più’.
E’ un pensiero di Walter Benjamin, da quella sorta di testamento spirituale conosciuto come ‘Tesi di filosofia della storia’, sempre molto citato per l’arcinota riflessione che muove da ‘Angelus Novus’ di Paul Klee, come simbolo dell’angelo della storia travolto dalla bufera del progresso.
Ortoleva si è ritagliato come orizzonte di lavoro il seguente passaggio, un filo esoterico cabalista, delle Tesi di Benjamin: ‘C’è un’intesa segreta fra le generazioni passate e la nostra. Noi siamo stati attesi sulla terra. A noi, come ad ogni generazione che ci ha preceduto, è stata data in dote una debole forza messianica, su cui il passato ha un diritto. Questa esigenza non si lascia soddisfare facilmente’.
Notevole, niente da dire, da rileggere almeno un'altra volta.
Dopo la citazione, sul suo sito, si limita ad aggiungere, in terza persona: ‘Il lavoro di Giovanni Ortoleva è imperniato sul concetto di eredità. Sulla rilettura del nostro patrimonio culturale, della nostra storia, delle nostre biografie. Tutto per cercare di capire chi è questo ‘noi’’.
Classe 1991, fiorentino e psicologo di formazione, Ortoleva si è poi regolarmente diplomato in Regia alla scuola Paolo Grassi di Milano ed è emerso come Under 30 alla Biennale del 2018, per poi tornare alla rassegna di Venezia altre due volte, sempre durante la gestione di tre anni, con valentissima leva di nuovi talenti, firmata da Latella.
In questo preciso momento Ortoleva affronta a un vero e proprio primo giro di boa della sua promettente carriera in cui ha messo perfettamente a frutto, nel bene e nel male, quel che è sottinteso al profilo sintetico di cui sopra, laurea compresa, come s’evince non solo dal ‘Risveglio’ ma da un’intera trilogia sui sentimenti.
E' arrivata finalmente alla grande tournée nazionale la prima produzione di grande impegno che ha firmato, un originale e notevole allestimento de ‘La dodicesima notte (o quello che volete)’ per Lac di Lugano: dopo la settimana di tutto esaurito con applausi al Teatro Carcano di Milano (tra i co-produttori, con il Teatro della Tosse, di cui Ortoleva è regista residente), affronta la sfida della piazza romana, al Teatro India dal 19 al 24 marzo, e poi via via in altre città.
Prima dell’atteso 'Risveglio' a Spoleto, Ortoleva sarà anche impegnato in due piccole riprese, corollario di una certa importanza, perché in qualche modo entrambe indispensabili per comprendere la caratura di impegno politico e sociale di quel suo dichiararsi erede di una tradizione.
Si tratta delle rappresentazioni di ‘Oh little man’, un monologo del 2019 sulla crisi del capitalismo finanziario e del più recente e complesso ‘Dramma industriale (Firenze 1953)’.
In quest'ultimo singolare lavoro che ruota intorno a una tavolata con maschere, Ortoleva con il suo autore Riccardo Favaro ricostruiscono la vicenda del salvataggio del Pignone di Firenze imposto dal ‘sindaco santo’ Giorgio La Pira all’amico Enrico Mattei. E' una pagina quasi mitologica dell’Italia degli anni Cinquanta, delle paure e delle speranze del nostro dopoguerra, dove emerge la figura dirompente e contraddittoria di La Pira.
Di ‘Oh little man’, invece, che gli spettatori avvertiti milanesi hanno recuperato l’estate scorsa al festival di Olinda, fa una certa impressione pensare che sia venuto alla luce ormai cinque anni fa, come spettacolo vincitore del bando Supernova al Festival di Pergine 2019, quando per esempio un film come ‘Triangle of sadness’ di Ruben Östlund non era nemmeno ancora al primo ciak.
La locandina ufficiale spiega: ‘Un broker in crociera viene visitato in sogno da una voce che gli intima di vendere tutto prima di un’imminente crisi di mercato. Ma sulla nave non si riesce a trovare un telefono per mettersi in contatto con terra e la servitù non dà segni di vita. In questa situazione senza uscita è ancora possibile salvarsi dal naufragio?
Il testo di Giovanni Ortoleva si ispira alle crisi finanziarie che, dal novecento all’inizio degli anni duemila, hanno messo in ginocchio il sistema capitalista per poi riportarlo in piedi più forte di prima.
Edoardo Sorgente incarna l’homo economicus arrivato alla fine della sua traversata, reso inutile e inefficiente dall’assenza dei suoi strumenti di controllo. In questo viaggio disperato e ironico verso la fine dell’economia, il pubblico è chiamato a decidere come si concluderà la navigazione’.
Venendo al recentissimo e apparentemente più classico ‘kolossalino’ shakespeariano di Ortoleva, sono tanto evidenti le dichiarate eredità. Da un punto di vista teatrale si notano con i validissimi apporti dei vari ‘Latella’s’, prima di tutto del più brillante autore di scuderia Federico Bellini, piuttosto che di Franco Visoli per il progetto sonoro, o del primattore Michelangelo Dalisi, nel ruolo chiave dello pseudo-Falstaff Malvolio e di narratore introduttivo.
Volendo è altrettanto evidente un certo influsso ‘post-ronconiano’, passato sicuramente attraverso il produttore-direttore del Lac Carmelo Rifici, guardando alle scene di Paolo Di Benedetto piuttosto che a una strepitosa Francesca Osso che recita e canta dal vivo nei panni di Feste il buffone, qui chiamata propriamente spesso l’Idiota.
Eppure...
... alla fine conta mettere a frutto con il proprio ingegno anche i patrimoni più fortunati, e a Ortoleva riesce in qualche modo la magia di non farsi troppo schiacciare in un pur raffinato linguaggio da teatro borghese che si è così standardizzato da riempire sì le sale, ma troppo spesso con proposte ovvie e furbamente ripetitive.
Prima di tutto Ortoleva riesce a far recitare insieme così bene l’intero gruppo (ovvero Giuseppe Aceto, Alessandro Bandini, Michelangelo Dalisi, Giovanni Drago, Anna Manella, Alberto Marcello, Francesca Osso, Sebastian Luque Herrera, che ha sostituito Edoardo Sorgente, e Aurora Spreafico) e si capisce che, anche per la vicinanza di età, non deve aver esercitato quella tradizionale prevaricazione del regista-onnisciente che è ancora così in uso anche tra i più capaci delle generazioni precedenti.
Il risultato appare infatti al pubblico davvero armonico, e non di quelle armonie forzate dai soliti movimenti d’insieme preordinati.
Nello stesso tempo - e qui è il tocco d’autore - Ortoleva ritaglia 'quello che vuole' sullo sfondo della più celebre e difficile commedia shakespeariana. Ovvero la presenta con una precisa interpretazione che in qualche modo si richiama alla poetica d’impegno dei suoi lavori precedenti.
In questa ‘Dodicesima notte (o quello che volete)’ si nota cioè una forte accentuazione del discorso di classe sottostante, non solo alla pena d’amore del personaggio chiave, Olivia, ma pure alle intenzioni dei geniali burlanti, in particolare la serva Maria, e al destino del povero burlato Malvolio, che vede così frustrate le sue ambizioni che oggi si direbbero di risalita con l'ascensore sociale.
Del resto, questo è il testo che contiene la frase mito: ‘Alcuni nascono grandi, alcuni conquistano la grandezza, ed altri hanno su di loro una grandezza imposta dall'alto’. E persino nel finale che allude all'orgiastico 'threesome' dei protagonsti, Ortoleva lascia intendere, anche se non dichiarata, la critica a una società ormai quasi castale, che consente magari volentieri all'individuo la fluidità di genere, soprattutto nelle classi abbienti, ma schiaccia tutti alle condizioni sociali date.
La diceva lunga anche solo una reazione trasparente pescata all’uscita della pur applauditissima rappresentazione milanese del 14 marzo al Carcano. Tra due coppie di signori borghesi ben vestiti e in età, le due signore erano proprio entusiaste, e sorridenti ripetevano all'unisono ‘come sono bravi questi ragazzi’. Dei due mariti perplessi soltanto uno faceva cenno di no con la testa: ha replicato due o tre volte ‘no, a me non sono piaciuti per niente’, prima di provare timidamente a spiegare il motivo: ’…perché urlavano troppo!’
L’ascensore sociale, come noto, si è così inceppata anche per via di un Occidente ricco senescente, che invecchiando diventa, prima ancora che sordo, sensibile alle grida, rigettando ogni contraddittorio. E in effetti danno un certo fastidio anche gli schiamazzi dei ragazzacci di questo Shakespeare riproposto da Ortoleva.
Anche solo lo strepitoso duo dei nobili sfaccendati ubriaconi, con Sir Andrea e Sir Tobia, è lì quasi a testimoniare il dilemma di una generazione che forse dovrebbe cominciare a urlare seriamente, oppure no: s’attardano giustamente, potendolo fare, a godersi la vita nella ‘rivoluzione ludica’ che un utopismo anarchico alla Bob Black vorrebbe in qualche modo far diventare universale…
Ecco, di Ortoleva sentiremo ancora parlare, non c’è dubbio: è un autore e regista in grado di far scattare nella testa dello spettatore quel qualcosa in più, di far portare a casa una qualche importante suggestione relativa al mondo e alla realtà.
Ma anche lui, in fondo, ha lo stesso problema di non lasciarsi comodamente fagocitare dal sistema, che con tanta benevolenza ne farebbe volentieri il replicante di un maestro che fu, così da invitarlo a diventare un intellettuale, uno storico, per dirla con il suo Benjamin, invece che restare un cronista libero di raccontare ancora, per davvero, la storia e le storie.