" /> Lassù tra le montagne si balla all'insegna della natura: Bolzano Danza fa 40 con un programma festoso e superlativo

Cronache da Santarcangelo 1/ Omaggio a Herko

Nella foto di Klaudyna Schubert, Paweł Sakowicz in 'Jumpcore'.

Mi affaccio alla programmazione della cinquantaduesima edizione del Santarcangelo Festival partendo da piazza Ganganelli. Il direttore di questa edizione, Tomasz Kirenczuk, ha deciso che la piazza avrebbe ospitato un ideale grande tavolo rotondo e ha invitato ad immaginare “Chi vi potresti incontrare? Insieme a chi ti piacerebbe sedere? Di che cosa ti piacerebbe parlare? Avresti  voglia di parlare?“. La riflessione della città-festival dove performatività e vita di  piazza si mischiano, s'interroga attraverso la figura di una tavola rotonda sulla nostra condizione moderna di interazione sociale: “è l’oggetto in sé che crea l’illusione di una comunità temporanea? Ci dispensa dall’interessarci di quanti non vediamo e ai quali nemmeno vogliamo pensare?” 

Proprio in questo spazio si esibisce Pawel Sakowicz, coreografo e performer polacco. Presenta 'Jumpcore', uno spettacolo ispirato alla memoria di Fred Herko, danzatore newyorkese con una storia che merita d'essere riletta. Ballerino e coreografo d'avanguardia, Herko muore nel ’64 quando crea una struggente danza sulla messa 'Krönungsmesse' composta da Mozart, che culmina in un salto maestoso dalla finestra dell’appartamento in cui si trovava Herko nel Greenwich Village. La vicenda anima il forte potere emotivo della performance, in cui si vede Sakowicz replicare "salti nel vuoto" sulle note melanconiche di 'God’s and Monsters' di Lana  del Rey alternati a BPM altissimi. Ogni fase della danza sembra sempre più instabile, ogni balzo sempre più lontano da un atterraggio. Durante il tempo dello  spettacolo non mi soffermo solamente dove gravita l’attenzione degli spettatori,  ma è proprio su quest’ultimi che concentro il mio sguardo, divertendomi a  registrare la ‘demographic’ dei presenti. C’è un’atmosfera artistica surreale, coppie  di anziani (senza tote-bag) che passano e si fermano a guardare, piacevolmente  stupiti, complici di un restauro sentimentale. Quel che difficilmente si vede nelle  grandi città si ritrova nelle pieghe delle loro labbra e nei lunghi applausi.

Si capisce  immediatamente che questo festival è in grado di mutare il colore dei muri e le  facce degli uomini, che sa unire e far ascoltare, qua il teatro è agile e compatto,  curioso e combattivo. Dunque un teatro che si offre senza badare alle esigenze del  pubblico, ricostruendo la realtà perché si capisca tutti, e perché tutti si capisca, che è successo qualcosa che non sarebbe dovuto accadere, che non avremmo dovuto permettere che accadesse. Come un lucido accusatore questo teatro ci fornisce elementi capaci di intravvedere l’amarezza dei fatti ma anche ritrovare in  questa moltitudine di volti e corpi un luogo attento, generoso ed empatico. 

Edoardo Marabini (edoardo@salotto.studio)

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