Il dramma del drammaturgo che sale in taxi per andare a teatro fuori orario e deve rispondere alla domanda: ma che lavoro fa?
10.12.2024
Transart: Yes, we Need
Alcune famiglie, felici o infelici che siano, sono migliori di altre, e in tempi di lock down da pandemia, anziché tramortirsi di focaccine forzatamente home made, piallandosi i neuroni nel bingewatching seriale, scelgono di mettersi a leggere. O meglio, a rileggere. I classici, ovviamente. E poi di trascorrere anche del tempo chiacchierando e commentando fra loro ciò che hanno letto. Del resto, già ai tempi delle grandi pestilenze del passato c’era chi dissipava i suoi ultimi giorni malamente e chi preferiva chiudersi tranquillo nella sua stanzetta, magari a scrivere. Racconti fantastici, poesie, commedie e tragedie, che poi sarebbero diventati dei “classici”. Come nel caso del caro, vecchio Shakespeare, Billy per gli amici.
Fu così che, nella primavera del Venti, in un quartiere di Bruxelles sempre citato solo come pericolosa fucina di terroristi, un padre, Jan Lauwers, fondatore insieme alla compagna Grace Barkey di Needcompany, e un figlio, Victor Lauwers, giovane talentuoso autore, per passare il tempo si misero a cimento con il corpus delle tragedie del grande Billy. E, stando alle loro parole, rimasero colpiti dalla somiglianza della sua epoca con la loro, per miseria, malattia e violenza, così diffusa e brutale da divenire quasi l’anima nera di quell’opera, vuoi per assecondare il gusto del pubblico, vuoi per amor del vero. Riscoprirono, una volta di più, come lì dentro sembra starci tutto l’umano mondo, ritrovarono insomma quel canone tanto caro ad Harold Bloom, ma sotto una luce nuova, disorientante e postdrammatica quanto il loro teatro. Ne nacque uno spettacolo, 'Billy’s Violence', che è un viaggio ben poco sentimentale negli oscuri paesaggi dell’anima dei protagonisti di quei testi così familiari, ridefiniti attraverso lo scempio delle loro vittime, tutte quante femmine. Lo abbiamo visto a Bolzano, nell'ambito di Transart22.
Si comincia con Porzia, che patisce la crudeltà del silenzio malfidente del suo sposo a tal punto da uccidersi, passando per il femminicidio di Desdemona, misero cadavere malamente insaccato in un telo, lo stupro e le torture della povera Lavinia, l’impiccagione della dolce Cordelia. A scandire lo scorrere di queste violenze così evidenti, ne sono mostrate anche altre, più subdole, verbali, psicologiche, il racconto impietoso a Marina del destino che l’aspetta una volta venduta al bordello, l’orrore di Cleopatra davanti alle percosse brutali ad un suddito che l’ha avvicinata, le parole velenose di Amleto per Ofelia, lo strazio di Imogene che culla la carcassa che crede essere il suo amato, il disgusto di Lady Macbeth per quel che è diventata stando al fianco di quel pusillanime del marito. Sopra a tutte, trionfa Giulietta, giovane corpo pieno di vita che gioca ignara e scanzonata insieme al suo Romeo, fra il ronzare delle mosche della putrefazione, sepolta viva dalla ferocia del potere. Ogni racconto è originato da un episodio, una parola, un’immagine evocata dai versi della tragedia, poi distillati in una lingua via via sempre più scarna col crescere della violenza, che lascia le vittime senza respiro né parole, e i carnefici balbettanti fonemi senza significato: la fine del linguaggio segna il confine ultimo dell’umano.
'Billy’s Violence' è uno spettacolo grande, che ha del miracoloso, per la potenza dei suoi interpreti, tutti straordinari, e per la forza del suo pensiero, così lucido e necessario. Riducendo all’osso uno dei pilastri del Canone Occidentale, ne recupera il senso autentico, e restituisce al teatro il suo Maestro, immarcescibile in mezzo al tossicchiare continuo di un’umanità cagionevole.
Il teaser di presentazione recita 'Shakespeare come non l’avete mai visto!', e non è millantato credito, ma dovrebbe anche aggiungere, 'Shakespeare dopo non sarà mai più lo stesso!'. E meno male.