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Onorevole Sottosegretario Mazzi, più tolleranza per orchestrali e coristi in sciopero, meno per i carrozzoni

Una scena di 'Intolleranza 1960' di Luigi Nono nell'allestimento di Jan Lawers e Need Company a Salisburgo 2021

 Sembra quasi che non possa passare nemmeno una mezza giornata bello tranquillo il ministro della cultura Gennaro Sangiuliano. Ci mancava solo lo sciopero a oltranza dei dipendenti della fondazioni liriche. La grana di una spettacolare protesta dei 3mila e 800 orchestrali e coristi d’Italia, dal Regio di Torino al San Carlo di Napoli, mette a rischio le prime più prestigiose, ne è già saltata una al Massimo di Palermo, con tanto di eterno Riccardo Muti sul podio. 

 Questi dipendenti delle 14 fondazioni lirico-sinfoniche d’Italia lamentano che il loro contratto di lavoro non sia stato più rinnovato da venti anni, e certo non deve essere di conforto sentirsi gli unici a guadagnare così poco, rispetto ai compensi da capogiro degli esterni, che siano cantanti, direttori o registi, piuttosto che vedere colossali giri di quattrini per le scenografie, le sponsorizzazioni, le riprese televisive ecc. 

 Il Sottosegretario per lo Spettacolo dal vivo, Gianmarco Mazzi - uno del mestiere, fino a ieri manager all’Arena di Verona - ha minacciato di ritirare il congruo intervento ad hoc del ministero,  ossia gli 8 milioni di euro in più assegnati alle Fondazioni per risolvere il conflitto sindacale. E ha ricordato, senza mezze parole, che sono un baraccone pubblico costato ai contribuenti, nel 2022, ‘420 milioni di euro, che equivale a 1 milione e 150mila euro al giorno', minacciando poi di ridurre il numero di Fondazioni, o magari di farne entrare di nuove, più efficienti.

 Una bella staffilata, non c’è che dire, peccato che andrebbe rivolta non tanto ai coristi e agli orchestrali ma ai sovrintendenti, alle strutture di controllo e ai poteri vari che si muovono dietro questo colossale giro di soldi e di pseudo-mondanità. Prima di tutto andrebbe ridefinita la funzione pubblica di questi grandi teatri, che non sono e non possono essere soltanto una costosissima leva per attrarre i turisti più abbienti. 

 Ai nostri coristi e orchestrali, peraltro mediamente bravissimi e storicamente molto più sindacalizzati di oggi, vanno casomai presentate alternative pertinenti, per esempio il valido assetto cooperativo che governa alcune tra le migliori ensemble musicali d'Europa.

 Più in generale è l’intero sistema del finanziamento pubblico allo spettacolo dal vivo che andrebbe ripensato, studiando magari i modelli più virtuosi, che siano l’Austria per la musica colta, il Belgio per teatro e danza, la Germania o la Spagna per l’una o l’altro, e così via. 

 L’Italia probabilmente è il Paese in questo senso più sbilanciato verso il ‘modello carrozzone’: il copioso flusso di denaro dei contribuenti va in prevalenza a finire negli enti pubblici, in particolare a un pugno di essi, che siano fondazioni lirico-sinfoniche o istituzioni teatrali. Le compagnie e le imprese costruite intorno ai talenti, che per esempio nelle Fiandre o in Catalogna vengono coltivate con cura, faticano addirittura sopravvivere. E forse  è indispensabile prima di tutto un ribaltamento a questo livello, ma ne riparleremo.

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