'Sta minga a rognà, appassionato milanese, se questa settimana ci sono troppi appuntamenti da non perdere
09.11.2024
Riuscite a sentire l'eco lontano del canto di Edipo da Paulilatino? Prime indiscrezioni sul nuovo progetto 'tragùdia' di Alessandro Serra
Da qualche giorno si può andare a pescare nella pagina web delle Produzioni di Sardegna Teatro, laggiù, quasi in fondo, tra una ventina di titoli, la scheda della nuova ’tragùdia - il canto di edipo’ di Alessandro Serra.
E, certo, i più avvertiti, che tengono d’occhio tutto quel che si muove sulla scena internazionale dei festival, potevano pure appuntarsi già da settimane la data della singolare anteprima mondiale, di questa nuova ’tragùdia - il canto di edipo’, con due rappresentazioni al Teatro Nazionale di Budapest, il 27 e il 28 aprile, alle 19.
Annunciato già a metà febbraio come evento clou (‘una prima mondiale italiana…’ recitava l’incipit del comunicato ufficiale dalle rive del Danubio a Pest, dove sorge il monumentale complesso del teatro), quello di Serra sarà lo spettacolo di chiusura del nuovo Mitem, il Madách International Theatre Meeting.
Questa vetrina è arrivata alla XI edizione dopo essere definitivamente decollata, come appuntamento di prim’ordine, grazie alle Olimpiadi del Teatro, organizzate nella capitale ungherese nel ’23, con l'avvallo anche del Maestro greco Theodoros Terzopoulos (non a caso, tra i primi interlocutori che hanno sollecitato Serra a misurarsi con l'impresa edipica).
Al link della pagina di un mese fa del Mitem non c’erano ancora immagini dello spettacolo, ma solo due foto di Alessandro Serra. E il sommario relativo a 'tragùdia', che cominciava a spiegare: ‘Liberamente ispirato dalle opere di Sofocle, Euripide, Aristofane, Seneca e altre fonti per raccontare il mito’.
La scheda a seguire, che è tradotta in nota (1), si apre con una citazione da Antonin Artaud, ‘È idiota rimproverare le masse per non avere un senso per il sublime…’, che peraltro sarebbe piaciuta tantissimo al cronista teatrale de ‘l’Avanti!’ nel quinquennio 1916-20 (tale Antonio Gramsci), e va dritto al cuore del problema. E cioè, in due domande:
Si può riportare Edipo in un mondo che ha perso il senso del sacro e ormai pure della polis?
E’ un mito che può dire ancora qualcosa ‘alla folla contemporanea’?
A Budapest ’tragùdia - il canto di edipo’ arriverà poco più che allo stato nascente, dopo la fase d’allestimento dei primi mesi del ’24, nella sala di Sardegna Teatro che si trova a due passi dal pozzo sacro ancestrale di Paulilatino, nell’oristanese.
Poi, si presume, il nuovo atteso spettacolo di Serra maturerà con una messa a punto decisiva, prima del vero e proprio debutto nella prossima stagione, a ottobre, con un calendario ancora in definizione e la prima data italiana, forse, all'Arena del Sole di Bologna (nota per dramaholici golosi: prenotarsi per tempo anche le lasagne di Serghei o le taglietelle di Fantoni...).
Nel mondo maturo dell’industria culturale e della gloria da claque del marketing, il dono della scoperta è davvero raro e prezioso. Per adesso i fanatici di teatro artistico, e di quello di Serra stesso, possono godersi le prime immagini che l'autore e regista, e pure fotografo appassionato e di valore, ha caricato sulla pagina web della produzione insieme con una scheda più articolata del progetto, che è riportata integralmente con il ‘copia e incolla’ anche qui a seguire, in nota (2).
Si possono già fare comunque le prime deduzioni, partendo semplicemente dai crediti di rito.
Come di consueto, Serra è autore e regista 'in toto', decide personalmente anche quel poco, o tanto (nel senso che ci vuole una cura massima dei dettagli, se si lavora di sottrazione) che si vedrà di scena, di costumi e di luci.
Ovviamente Serra è anche co-produttore con la sua Compagnia TeatroPersona, che figura in fondo, con I Teatri di Reggio Emilia, nell’elenco che si apre l’istituzione capofila Sardegna Teatro, seguita dal Teatro Bellini di Napoli, da ERT Emilia Romagna e da Teatro Due Parma.
Ma a illuminare meglio il taglio dell’operazione sono le due voci specifiche, dopo il Cast e dopo la Scrittura di scena, firmata ovviamente da Serra stesso, che spiegano esattamente il senso del titolo ‘tragùdia - il canto di edipo’: lo spettacolo si avvale della Traduzione in lingua grecanica di Salvino Nucera (il poeta e scrittore di Roghudi che ha riportato in auge il ‘greko’ calabro), e per quanto riguarda Voci e canti, del musicista Bruno de Franceschi (compositore e anche vocal-coach tra i più importanti della scena).
Arrivando velocemente al Cast, si può dire che non ci siano grandi sorprese. Persino i tre tecnici che sono arrivati a Paulilatino per l'allestimento, Giorgia, Serena e Stefano, sono già parte della famiglia teatrale di Serra. In scena ritroviamo ovviamente, prima di tutti, la straordinaria Chiara Michelini.
Indimenticabile Ariel ne ‘La Tempesta’ ma pure già protagonista delle prove più raffinate di TeatroPersona, come ‘L’ombra della sera’ su Giacometti, collabora con Serra anche dietro le quinte, nel lavoro di formazione piuttosto che nella stesura dei movimenti di scena, per esempio del più celebre 'Macbettu' o del piccolo magico ‘Frame’, lo spettacolo senza parole sull’universo pittorico di Hopper.
Tornano di nuovo con Serra altri nomi della compagnia di Teatropersona, che ha appena affrontato le 139 repliche in giro per il mondo de ‘La Tempesta’.
Alessandro Burzotta, un attore che si è proprio formato all’Istituto del Dramma Antico di Siracusa, e aveva già preso parte anche alle tournée di 'Macbettu'. Ancora, l'attore di origine catanese che faceva l'Usurpatore shakespeariano, Salvatore Drago, ed era stato in scena anche ne 'Il Costruttore Solness', con primattore Umberto Orsini.
Infine, ma non ultimo, è della partita anche Jared Mc Neill, il grottesco Caliban (si accettano scommesse sul suo ruolo nella quota Aristofane di 'tragùdia'...), che è stato allievo di Peter Brook e persino suo aiuto regista, e in Italia docente all'Accademia D'Amico.
Ricorre pure il nome di Felice Montervino, direttamente da quel celebre ‘Macbettu’ che ha segnato nel 2017 la consacrazione di Serra come regista. E qui, tra parentesi, conviene ricordare che Serra è stato ‘scoperto’, dal mondo ufficiale del teatro, ormai più che quarantenne: una sorta di ‘ancien prodige’, come ha osservato lui stesso in un'intervista.
Guardando al volo tra i due nomi del cast non propriamente già di casa in TeatroPersona, la prima alfabeticamente è un'attrice particolare, Francesca Gabucci, classe 1989, una che ha studiato Sofocle a livello universitario, pratica la danza e la musica, è drammaturga e regista (finalista Under35 in Biennale Venezia 2021): in curriculum può vantare d’essere già stata in scena come performer per Bob Wilson piuttosto che con Alexander Devriendt degli innovativi Ontroerend Goed; ultima nota a tema, era nel coro della 'Medea' kolossal per Inda 2023 di Federico Tiezzi.
Anche Sara Giannelli ha una solida formazione performativa, danza, canta e si è già cimentata con il teatro classico storico.
Ma queste sono tutte piccole note da scribacchini e appassionati dilettanti del mestiere degli attori. La sostanza è un'altra.
Si deve ripartire da una citazione del filosofo Giuseppe Fornari (anti-nietzschiano di scuola René Girard), che dopo anni di studio interdisciplinare sul tragico ammoniva: ‘Fra tutti gli equivoci che aduggiano o minacciano i drammi antichi, il più pericoloso, perché più verosimile, è che si tratti di opere ‘letterarie’’.
Già. Quello pare soprattutto evidente, sin dall'idea di questa ‘tragùdia - il canto di edipo’, è la sfida di una sorta di palingenesi, che Serra sembra aver cercato non solo in prima persona, come autore e regista.
Lo si poteva intuire bene dalle ultime rappresentazioni 'nude e crude' extra-teatrali de 'La Tempesta', il suo desiderio di riprendere la via con la sola bisaccia del talento, evitando le comode scorciatoie del teatro borghese, per misurarsi con un fondamentale archetipico della cultura della rappresentazione, oggi quanto mai impervio da frequentare.
Anche dal punto di vista oggettivo, artistico, con lucida follia Serra ‘si è andato a gettare nelle fiamme’, come se fosse urgente provare a far ricominciare da capo, oggi, il teatro stesso, partendo da una ridefinizione fattiva della tragedia.
E ha scelto perciò di usare, in consonanza con la ricerca di uno stile sempre più essenziale e ‘povero’, una lingua rimasta in purezza perché minore, atavica, dove non esiste nemmeno l’equivoco del tempo futuro, e si usa casomai parlare del domani al presente indicativo.
In fondo, questa forma verbale che viene impiegata 'quando si vuole indicare uno stato o azione che si verifica contemporaneamente all’atto stesso dell’enunciazione’, è il solo tempo possibile per rifondare la tragedia stessa, anche proprio sul piano ontologico, come direbbe un lettore attento di Fornari o di Girard.
In bocca al lupo, sinceramente.
NOTA (1) LA SCHEDA PER LA PRIMA AL MITEM
Partiamo dalle visioni crudeli di Artaud:
'È idiota rimproverare le masse per non avere un senso per il sublime, quando il sublime viene confuso con una delle sue manifestazioni formali, soprattutto perché sono sempre manifestazioni scadute. E se per esempio la folla contemporanea non capisce più Edipus Rex, oserei dire che è colpa di Edipus Rex, e non della folla'.
Come insegnare a Edipo alla folla contemporanea nel suo scopo primordiale come pharmakos? Un capro espiatorio espulso dalla sua stessa città che lo aveva salutato come un re. Come rendere Sofocle accessibile a tutti? Come elaborare il lutto per la perdita della polis e del sacro? Come liberare Edipo dalla sua colpa? Edipo, il fortunato salvatore della polis che risolve un enigma per bambini. Edipo, l'incestuoso e il parricidio. Edipo, che ha il coraggio supremo di voler conoscere se stesso. Edipo, che rifiuta dei e vegenti. Edipo, che scende alle radici marce del suo albero genealogico, si riconosce e si acceca gli occhi. Non per punirsi ma per acquisire una vista profetica. Privato della vista esterna Edipo vede finalmente la sua strada senza perdere la sua fragilità umana. Vaga nell'oscurità in cerca di luce. Cammina senza guida verso il boschetto così caro agli Eumenidi e in un lampo luminoso si unisce agli dei, raggiungendo così, come Krishna, la liberazione da questo mondo materiale.
(2) 'tragùdia - il canto di edipo'
SCHEDA PER SARDEGNA TEATRO
di Alessandro Serra
Il linguaggio è ciò che vogliamo dire
(Italo Calvino)
Macerie.
In un’epoca di macerie non c’è altra possibilità che lavorare su ciò che resta, soffiare sulle ceneri per riattivare il fuoco.
Ciò che resta della tragedia:
parole senza suono.
Ciò che resta della polis:
una società di estranei. Ciò che resta del rito:
una drammaturgia spenta. Ciò che resta di un mito:
una storiella venuta a noia. Ciò che resta di un eroe:
un personaggio fuori fuoco.
Il canto di Edipo si edifica sulle macerie.
Scrive Antifane nella commedia Poiesis:
La tragedia è un'arte fortunata, perché gli spettatori conoscono l'intreccio già prima che il poeta lo racconti, basta ricordarglielo. Appena pronunziato il nome di «Edipo», già si sa tutto il resto - il padre Laio, la madre Giocasta, le figlie, i figli, che cosa ha sofferto, la sua colpa.
Come ricostruire oggi quel sapere collettivo che esonerava il poeta tragico dal dover volgere in prosa il mito e lo legittimava a sollecitare immediate visioni nel pubblico?
Come compiere il tragico oggi? Quale linguaggio è, ciò che tramite Sofocle, vogliamo dire allo spettatore? E in quale lingua?
Il greco di Sofocle era volutamente alto e musicale, una lingua che ci strappa dal piano di realtà e ci pone su un livello di trascendenza.
Come consegnare al pubblico la drammatizzazione perfetta del mito perfetto in una lingua non ostile e concettuale ma musicale, istintiva e sensuale?
L’italiano sembra abbassare il tragico a un fatto drammatico.
Abbiamo perciò scelto il grecanico, lingua che ancora oggi risuona in un angolo remoto di quella che fu la Magna Grecia, una striscia di terra che dal mare si arrampica sull’Aspromonte scrutando all’orizzonte l'Etna.
Vestigia sonore di un antico greco oggi parlato da pochi individui figli di una generazione che aveva vergogna della lingua di Omero e ha smesso di insegnarla ai figli, per concedersi la speranza di un futuro migliore, in una società in cui la lingua dei poeti è stata scalzata da quella della televisione.
Un idioma antichissimo sporcato da lingue piovute dall’alto e da dialetti subalterni cresciuti spontanei nel campo sublime seminato dai greci come il calabro e il pugliese.
La tragedia di Edipo è ambientata in una città ridotta al lumicino, arida, sterile, in decomposizione. Eppure Sofocle guida lo spettatore verso una luce interiore che si manifesterà a Colono, nel bosco sacro in cui Edipo verrà letteralmente assorbito dagli dei.
La tragedia perfetta della quale Aristotele si serve costantemente come modello ideale nel corso della sua trattazione teorica.
Tragedia freudiana per antonomasia. Archetipo stesso di qualsiasi tragedia.
Ripartiamo dalle crudeli visioni di Artaud:
È stupido rimproverare alle masse di non avere il senso del sublime, quando si confonde il sublime con una sua manifestazione formale, che oltretutto è sempre una manifestazione morta. Se per esempio la folla contemporanea non capisce più Edipo re, oserei dire che è di Edipo re la colpa, non della folla.
Come consegnare Edipo alla folla contemporanea nella sua funzione primigenia di pharmakos? Capro espiatorio espulso dalla stessa città che lo aveva salutato come re.
Come rendere Sofocle accessibile a tutti?
Come elaborare il lutto per la perdita della polis e del sacro? Come liberare Edipo dalla sua colpa?
Edipo, il fortunato salvatore della polis che risponde a un indovinello per bambini. Edipo, l’incestuoso e il parricida.
Edipo, che ha il coraggio supremo di voler conoscere sé stesso. Edipo che rinnega gli dèi e i veggenti,
Edipo che discende alle radici marce del suo albero genealogico, si riconosce e si acceca gli occhi.
Non per punirsi ma per acquisire una vista profetica.
Privato della vista esteriore finalmente Edipo vede il suo cammino senza perdere la sua umana fragilità. Vaga nelle tenebre in cerca della sorgente di luce.
Cammina senza guida in direzione del bosco caro alle Eumenidi e in un bagliore luminoso si congiunge agli dei, conquistando così, come Krishna, la liberazione da questo mondo materiale.