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09.10.2024
25/9 Le ceneri del teatro nelle urne
E’ l’Italia, Bellezza: non è una battuta, ma il titolo del punto 11 - senza il verbo, a dire il vero - del programma dell’Alleanza verdi-sinistra. Del resto, Bellezza con la maiuscola, e tanta, troppa Italia, sono le parole più ripetute, nei programmi culturali per il prossimo appuntamento elettorale, invero miserevoli, ché altro aggettivo sarebbe sprecato. Tra destra e sinistra, Bellezza e strapaese vanno per la maggiore, ma, per esempio, la parola ‘teatro’, compare due volte in tutto. Roba da matti.
Vediamo dunque che cosa ci aspetta, partendo dal libro dei sogni della coalizione Berlusconi-Meloni-Salvini, che i sondaggi danno largamente per vincente. Poche le righe del programma sulla cultura e tutte in chiave turistico-economicista, con un tocco d’ideologia nazionalistica: il concetto di partenza è che “la tutela del patrimonio culturale costituisce il volano economico e identitario italiano”. Tutto qui.
Per articolare un minimo, poi, la coalizione di destra promette anche un generico “sostegno allo spettacolo” che si traduce in “incentivi per l’organizzazione di eventi di livello nazionale”: il che, immaginiamo, sarebbe a dire la moltiplicazione del modello Arena di Verona, piuttosto che dei simil-festival di Sanremo. Immaginiamo come si debbano sentire, dinanzi alla prospettiva di un nuovo governo con queste premesse, persino nelle istituzioni pubbliche come la Biennale, che ancora quest'estate, nel Teatro, Danza e Musica, ha portato qualche ventata di sana sprovincializzazione.
La sorpresa è trovare qualcosa di analogo, purtroppo, anche nel programma del Pd, che è un testo comunque più articolato, anche in questo settore, con una trafila di buoni propositi di ‘rigenerazione culturale’ dei luoghi abbandonati, messa in sicurezza del patrimonio artistico, incentivi a un ‘nuovo mecenatismo’, sostenibilità del paesaggio, ‘piano nazionale per la cultura digitale’, ‘18App’ come estensione del bonus culturale per i giovani, creazione di una rete strutturale di luoghi Erasmus e bla-bla-bla.
Balzano agli occhi, però, soprattutto due punti critici tra quelli presentati da Letta sulla cultura: il primo è la dichiarazione che la produzione culturale italiana vada sostenuta perché ha la funzione “di rafforzare il senso d’appartenenza identitaria” (sic, Meloni docet); il secondo, più in concreto, è la promessa di garantire “incentivi premiali per le eccellenze nel teatro, nella lirica, nella musica e nella danza”.
Ecco, quell’orribile ‘premiali’ con le retoriche ‘eccellenze’ mostrano, addirittura, che il Pd a livello nazionale si presenta più arretrato sulla cultura rispetto a quel che fa a livello locale nel ‘buongoverno’ di sinistra: in Emilia Romagna, per dire, è vero che finanziano un’istituzione 'd'eccellenza' come l’ERT, dove peraltro trova posto anche qualche irregolare di genio, come Pippo Delbono, ma si curano pure di far andare avanti festival di frontiera come Santarcangelo o persino le piccole Sementerie.
Pur d’inseguire la coalizione che è in testa, con questo piano programmatico elettorale sulla cultura il partito democratico si presenta, dunque, a livello nazionale, talmente provincializzato e istituzionalizzato da barricarsi dentro alla Scala, per dirla con un’immagine, rinunciando invece a voler sostenere, come sarebbe doveroso, l’innovazione e la ricerca anche nel campo delle arti performative nonché l’apertura all’Europa e al mondo. (1-segue-)
Nella foto di Nereu Jr, Gabriela Carneiro da Cunha in ‘Altamira2042’ per Santarcangelo 2022