Ci vuole tempo, anche per apprezzare le proposte di Danae, ultimo piccolo miracolo della stagione dei festival 2025 a Milano

‘Tanzanweisungen’ di Moritz Ostruschmjack, al Teatro Out Off per Danae

 Con gli ultimi appuntamenti di Danae si è di fatto chiusa tra gli applausi la lunga stagione dei festival ‘teatrali’ (nel senso che si svolgono prevalentemente nei teatri) che arricchiscono quanto mai la scena milanese. 

 Quest’ultima bella rassegna che era dedicata coraggiosamente al Numinoso ha ancora offerto ancora nella tre giorni finale, altrettante chicche diverse, se non quasi opposte, eppure complementari.

In una quanto mai sobria scena alle Cisterne in Fabbrica del Vapore, è stato presentato uno dei pezzi forti di Elisa Sbaragli, ‘E se domani’, coreografia di un incontro possibile nonostante la cappa d’isolamento degli individui nella perenne crisi del presente. 

Parcheggiando la bicicletta nello stallo più vicino alla sala, casualmente capitava d’incontrare l’appassionato che si era precipitato alla prima il giorno precedente ma tornava subito alla seconda rappresentazione, pur di portare anche la fidanzata a vedere lo spettacolo che aveva trovato incantevole.

Nei capannelli all’uscita si sentiva manifestare perlopiù ammirazione per la misura e la linearità del lavoro, pur a tratti quasi oltre il limite degli schemi abituali della danza contemporanea, di una coreografa forse anche più giovane della sua stessa protagonista, Alice Raffaelli (classe ’91 e già nome di punta della scena multidisciplinare, che aveva animato anche lo spettacolo d’apertura del festival).

 Quasi felpata e insieme magnetica fin dai primi sguardi e anche attraverso piccoli gesti delle mani e delle braccia, Alice a un certo punto, nella seconda parte, prima del nuovo incontro d’amore, si gira di schiena al compagno, Lorenzo De Simone, ed entrambi chinano la testa per poi dividersi nella ricerca dell’altro perduto: lei sembra non aver fatto nemmeno fatica, mentre gocce di sudore cadono copiose dalla fronte di Lorenzo.

Il crescendo di musica elettronica firmato da Edoardo Sansonne (aka Kawabate) accompagna perfettamente il racconto della disgregazione e riaggregazione dei corpi in scena, e si scioglie quasi in un canto nel lento e paziente incedere del finale amoroso. 

 Come in una sorta di giocosa corsa sulle montagne russe, non pochi degli stessi spettatori appena usciti dall’atmosfera rarefatta e quasi di sospensione con i bravissimi De Simone e Raffaelli, si sono poi dati appuntamento al Teatro Out Off, per la divertente irruzione del tedesco Moritz Ostruschmjack, che ha proposto il suo cavallo di battaglia ‘Tanzanweisungen’, una sorta di anti-lezione di danza, al limite del dissacrante. 

 Si saltava così da una sorta di parabola morale dichiarata, del pezzo che Sbaragli presenta come riflessione sulla ‘bulimia dell’immagine e il culto dell’individualismo sfrenato che portano all’annientamento delle persone’, allo spettacolo auto-annientante di un ballerino e attore che va come in tilt a forza di dover provare le varie tipologie di danza su uno pseudo-ring, accompagnato per un'oretta pressoché soltanto dal rumore dei suoi piedi e dal ritmo battuto con le mani sul corpo, al netto di due celebri canzoni di pochi minuti l'una. 

 Dopo la strepitosa e corrosiva interpretazione di Ostrunschmjack (che in qualche modo evoca pure elementi prototipici di grandi protagonisti del cinema muto, come Charlot alla catena di montaggio di 'Tempi moderni'), le giornate conclusive di questo pienissimo Danae terminavano in Zona K con la lecture-performance di un artista piuttosto noto anche per l’impegno a 360 gradi contro i pregiudizi fisici e di genere, Diana Anselmo.

E qui si è vista una divertente e illuminante dimostrazione sul tema dell’indifferenza e - verrebbe proprio da dire - della sordità della società, rispetto a chi è effettivamente affetto da un grave difetto uditivo come il protagonista stesso.

Lorenzo De Simone con Alice Raffaelli nel finale di 'E se domani' di Elisa Sbaraglia

 Nel corso del festival non erano mancati altri momenti davvero ‘sui generis’, comunque tutti perfettamente adatti a esprimere un aspetto del ‘numimoso’, come promesso nel teologico-filosofico titolo.

Per dire soltanto di uno dei primi fuori schema e stranianti, mandava davvero a casa lo spettatore con un bagaglio di possibili esperienze della dimensione del sacro l’esibizione ‘VENI a goodbye’ del coro ALOT che ha rielaborato canti religiosi tradizionali delle isole del Mediterraneo.

La quasi immobilità dei corpi dei coristi, con i sorrisi bloccati sui volti nelle pause, le scritte e i disegni a scarabocchio che venivano proiettati da una lavagna luminosa, l'impiego occasionale di due antichi strumenti popolari: tutto contribuiva a mettere a punto una presentazione minimal-mistica di questo ammirevole lavoro di ricerca.

Addirittura eccentrica poteva sembrare poi la serata al Civico Planetario, dove gli spettatori sono convenuti per ascoltare in un contesto notturno stellare, seppur artificioso, l’ambizioso lavoro sonoro ’Spaceful’ di Attila Faravelli, costruito con le voci e i rumori nel centro italiano di ricerca per captare le onde gravitazionali a miliardi di anni luce di distanza, e preceduto dall’introduzione a tema di un fisico. Se ne poteva uscire letteralmente intontiti, anche solo per l'immensità dei riferimenti.

 Con la spiccata attenzione al performativo in senso lato e alla danza cosiddetta di ricerca artistica, Danae si va in qualche modo a legare con la rassegna maggiore - e sempre così tanto ‘up to date’ - che sarà anche la prima ad aprire il 2026, ossia FOG di Triennale Teatro Milano, per contribuire a far circolare un po’ di sana aria diversa, davvero plurale. Nel caso di Danae lo si poteva già evincere anche solo dalla ventina di righe di ringraziamenti non rituali nel comunicato di presentazione del programma. 

 Danae ha evidenti punti in comune anche con il nuovo LIFE di Zona K, il festival più impegnato a mappare il presente (atteso alla sfida del secondo anno, poco prima che riparta lo storico ‘Da vicino nessuno è normale’ di Olinda), e interseca pure quel pubblico per così dire ‘di nicchia’ che segue volentieri anche le espressioni artistiche politico-sociali e più legate alla realtà. 

 Perciò si può ben affermare che Milano abbia ormai una scena di festival più valida di quella stessa dei teatri tradizionali, considerando non solo i casi più particolari già citati, ma anche che, per fare l'esempio più mascroscopico, il Piccolo Teatro stesso, con la direzione artistica di Claudio Longhi, sembra aver dato il meglio nel suo ultimo Presente Indicativo del maggio 2024.

Va tenuto presente pure il quarantennale MilanOltre, che ha appena vissuto un ricambio generazionale con la nomina al vertice di Lorenzo Conti, che si ripromette addirittura di ibridare il focus sul corpo con i temi dominanti della città, come la moda, nell'edizione appena conclusa, lo sport nell’anno delle Olimpiadi invernali e poi il design.

 Tornando al nostro più anticonformista Danae, molti spettatori hanno riempito in modo attivo e partecipe quasi tutti gli appuntamenti, del resto sono ormai 27 anni che il festival viene prodotto dal Teatro delle Moire, per scelta dei due storici animatori di questa realtà semi-perifica, Alessandra De Santis e Attilio Nicoli Cristiani, peraltro sempre in cerca di un confronto più aperto possibile con gli spettatori.

 Non a caso il prossimo appuntamento fondamentale delle Moire è la ‘Chiamata a raccolta per la creazione di una grande agorà’, che sarà anche una festa, oltre che un incontro-confronto con il pubblico, venerdì 28 novembre alle 19 al LachesiLAB in via Porpora (meglio segnalare l’adesione a info@teatrodellemoire.it).

 Nonostante questa scelta di stile d’apertura delle quarte e quinte pareti, in fondo, il segreto di Danae è proprio anche nel non dover concedere nulla al ‘pubblico’, così come lo s’intende oggi sotto il regime del marketing post-capitalista.

Peraltro le Moire non dispongono neppure i mezzi economici sufficienti a pagare gli ingaggi degli artisti cosiddetti di richiamo. Sarà un caso, ma sull’organizzazione del festival vigila una Rivoltella, di nome Barbara, puntata sotto i direttori artistici e sopra l’invidiabile project-manager che cuce poi con cura il programma effettivo, Anna Bollini

 Per la cronaca hanno contribuito all’allestimento di questa numinosa rassegna anche alcuni artisti che sono considerati amici o di casa, e compaiono nel programma proprio come ‘suggeritori’: il polacco Tomasz Kirenczuk, riconfermato alla guida del Festival di Santarcangelo anche per il 2026; il coreografo Francesco Marilungo, la cui nuova opera ‘Cani lunari’ è stata scelta in apertura di festival; e Alessandro Sciarroni, eclettico e innovativo performer ormai famoso in mezzo mondo, 

 Infine, caso a parte, va citato anche il valentissimo Marco D’Agostin, coinvolto come formatore nel progetto-laboratorio ExtraDanae presentato con il titolo ’10 anni’ per sottolineare l’eccezionalità della durata, appunto decennale.

Ci vuole tempo, già, e questo potrebbe essere anche lo slogan della poetica nient’affatto conforme alle regole standard della produzione d’intrattenimento, ma invece quanto mai ‘dilatatoria’, che si può considerare intrinseca alle proposte che incantano il pubblico dei festival.

  P.S.: A proposito di appuntamenti degni di nota sempre a margine del flusso marketing-oriented dei cartelloni maggiori, sabato 22 novembre, alle 19.45, va in scena al Teatro della Contraddizione, in zona porta Romana a Milano, l’ormai storica e pluri-premiata performance di Riserva Canini ‘Talita Kum’.

E’ il lavoro più complesso e affascinante creato da Marco Ferro e Valeria Sacco, considerato un gioiello scenico al limite dell’incubo, per 50 minuti senza una parola. Lo spettacolo (a ingresso gratuito, su prenotazione) fa parte dell’XI Rassegna musical poetico teatrale organizzata da Ambulatorio d’Arte Van-Ghè con il titolo ‘La cura di Dioniso. Oltre il giardino’.

Una scena della perfomance ‘Talita Kum’ di Riserva Canini che torna in scena al Teatro della Contraddizione

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