Ambizioni e incanti dell'ultima serata di Gradus, ovvero da 'Le Onde' di Virginia Woolf alla lunga scia di Castellucci

'Il sole s'era levato al suo colmo' al Teatro Valli di Parma

 Nel contesto davvero superlativo del grande spazio del retropalco del Teatro Municipale Romolo Valli di Reggio Emilia - una sorta di presbiterio da tempio neoclassico, in un abside molto alto e sormontato da un praticabile ligneo per le luci che ricorda l’ultimo piano di una biblioteca medioevale -, si sono chiuse le rappresentazioni legate al progetto ‘Gradus. Passaggi per il nuovo’ di Reggio Parma festival (RPf)

 Parliamo di un’ammirevole iniziativa che lega i teatri delle due città al centro della Padania, nella selezione e formazione di giovani talenti ai quali viene affidata la prima grande occasione di presentare un lavoro con tutti i crismi. Un po’ come se fossero già arrivati al livello dei docenti che vengono ingaggiati per indicare loro le linee guida dello spettacolo, dal guru del post-drammatico Romeo Castellucci al compositore di musica contemporanea Francesco Filidei, che ha appena firmato ‘Il nome della rosa’ al Teatro alla Scala, per non dire del coreografo-autore ormai più richiesto d’Europa Marcos Morau e di tutti gli altri.

 Alla fine di un piccolo percorso pur eccellente, è inevitabile che il risultato non possa poi essere considerato perfetto, più che mai se la rappresentazione si svolge in un contesto scenico tanto ammaliante, come lo splendido ‘rovescio’ del Municipale, quanto un po' dispersivo ai fini della concentrazione dello spettatore.

I fortunati spettatori della domenica pomeriggio del 9 novembre, a Reggio Emilia, sono stati in parte addirittura fatti accomodare al centro, su sedie girevoli, proprio in mezzo alla stessa azione drammatica, altri sulle tribune di tre lati, mentre restava libero lo spazio verso la grandiosa platea vuota.

 Nella valutazione del dopo, peraltro, molti riconoscevano con generosità la buona riuscita di quest’ultimo ambizioso e tanto sostanzioso primo passo (Gradus, appunto) dei giovani talenti in rassegna. 

 Il titolo non era affatto poco articolato: ‘Il sole s’era levato al suo colmo’, si leggeva subito in grande; ‘Un progetto ibrido di teatro musicale ispirato a ‘Le Onde’ di Virginia Woolf’, recitava il sottotitolo alla seconda riga.

 Persino la presentazione dei produttori era tanta roba, portando il logo del Festival Aperto di quest’anno con il titolo ‘La marea montante dell’osceno’, accanto ai marchi de I Teatri di Reggio Emilia, in questo caso nel ruolo di capofila, e dello stesso RPf.

 Anche la voce degli autori in locandina formava un bell’elenco, di sei righe, sei quanti i giovani rumeni di varia competenza riuniti nella creazione di questo dichiarato ‘lavoro collettivo’. In primis Mihai Codrea & Sânziana Dobrovicescu che hanno composto le musiche, adattato il romanzo e curato l’impegnativa regia in uno spazio a 360 gradi (Codrea era anche in scena a ‘suonare’ il computer).

Ancora Ioana Nițulescu dramaturg e co-regista; Alexandra Budianu per le scene piene di piccoli elementi molto vari e citazioni floreali, nonché per le accattivanti luci cinematografiche; Daniel Gavrilă per i costumi evocativi di una cerimonia para-religiosa e dell’iconografia cinematografica alla Dracula; Lars Turchel che ha curato l’intrigante parte elettronica delle musiche.

Il direttore Dario Garegnani (Percival) guarda verso la platea vuota del Valli, dalla scena dell'ultimo spettacolo di Gradus 'Il sole s'era levato al suo colmo'

 S’aggiunga il cast con una dozzina di protagonisti, musicisti e cantanti chiamati anche a recitare, in primis il direttore d’orchestra Dario Garegnani (aggregato con i musicisti della sua formazione di musica contemporanea, Icarus Ensemble).

A Garegnani è stata affidata l’ardua sfida d’interpretare in scena (ma la voce era sempre quella registrata dell’attore Luca Cattani) il personaggio di Percival del romanzo originale, ovvero un po’ la figura catalizzante e proiettiva, che incarna la poesia, del gruppo dei sei protagonisti che Virginia Woolf chiama ne ‘Le Onde’ ad evocare insieme liberamente ‘il flusso esistenziale’ in una simbolica ‘lotta cavalleresca contro la morte’.

 Si sta parlando, dunque, di un riferimento cult davvero impervio, al testo considerato più venato di tardo-romanticismo di un’autrice pur classificata in pieno come modernista. Il che oggi, tradotto dal collettivo rumeno in linguaggio teatrale, faceva l’effetto di un ritorno ancora al post-drammatico puro, forse troppo carico di elementi, perlomeno agli occhi dei più abituali degli spettatori.

 Chissà che cosa avrà pensato Florian Borchmeyer, curatore del FIND Festival alla Schaubühne di Berlino, e pure insegnante di drammaturgia a Gradus, che si poteva ben notare seduto in una sedia girevole tra le più vicine al podio del direttore d’orchestra.

Chi ha ascoltato le puntuali e profonde domande che Borchmeyer pone agli ospiti delle Giornate d’Autore di Parma, dove fa il moderatore, sa quanto il post-drammatico sia il primo dei suoi assilli, insieme alle riletture di Marx (magari pure quelle 'spettrali' apprese dalla viva voce del professor Jacques Derrida, quando l’ha frequentato a Parigi come allievo…).

 Alla fine ‘groß’ Florian s’è fermato a parlare fitto, molto seriamente, con il direttore dei teatri reggiani, Paolo Cantù, che è così bravo perché appassionato e competente: si poteva giusto intuire dal labiale che, a un certo punto, devono aver nominato proprio Castellucci, forse osservando che questi ragazzi rumeni avranno ancora occasione di allestire uno spettacolo così importante soltanto quando, e se mai, saranno diventati numeri uno come guru Romeo.

 Eppure, considerazioni semiserie a parte, se gli autori di questo ‘Sole levato’ intendevano rappresentare fedelmente l’ininterrotto flusso d’autocoscienze proprio dell’esperimento letterario originale della Woolf, e di certe conversazioni notturne da sopravviventi, si può dire che in effetti ci siano riusciti. 

 Ma queste ciance del dopo valgono poco. E’ pur logico che, affidando per la prima volta un tale e tanto apparato di spettacolo a giovani esordienti, questi poi finiscano un po’ schiacciati dall’ansia di cogliere l’occasione in pieno, considerata anche la natura dichiaratamente complessa del progetto di partenza (teatro musicale ibrido ispirato alla grande letteratura del Novecento).

 Vale la pena comunque di ripetere: ben venga Gradus, ben venga la rosa di nuovi talenti, ben venga la spinta ai giovani per fare in grande. Nel mondo vecchio e stanco del teatro italiano sarebbe proprio ora - per dirla col latino del logo scelto da Reggio Parma festival - di ‘gradum celerare’ davvero il passo del rinnovamento.  

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