'Stand with Palestinians', da Londra a Milano, con imbarazzo dei teatri, aspettando quel 'Satanhyau's Inferno' rappato

Issam Al Ghussain in 'Cutting the Tightrope', il primo spettacolo collettivo pro Gaza a Londra
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CHI TEME CHE I PRO PAL COSTINO CARI

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 Gli artisti manifestano sempre più spesso solidarietà nei confronti dei palestinesi di Gaza, così perché i teatri si stanno innervosendo tanto? E’ la domanda che campeggia sul titolo di un’inchiesta del 3 novembre del giornale specializzato ‘The Stage’, firmata da una cronista storica del mondo dello spettacolo londinese, Lyn Gardner. E la risposta è semplice: nel mondo del teatro inglese, che poi è per tradizione uno dei più importanti non solo d’Europa, non sono motivi ideali ma il vil denaro ad aver spinto in qualche caso direttori dei teatri, organizzatori o impresari a vietare ai cast addirittura di schierarsi sul palco pro Gaza. 'Niente discorsetti a sipario chiuso' è un ritornello che si sente ripetere, 'niente esibizioni di kefiah e/o bandiere durante il giro per gli applausi'. Alcune società teatrali temono ritorsioni dei finanziatori privati a cui hanno dovuto far sempre più ricorso dopo i tagli dei fondi pubblici, oltretutto perché tra essi non mancano capitalisti vicini alla comunità ebraica e società che hanno interessi commerciali in Israele, in primis i fornitori di materiali bellici.

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QUEL FILO SPEZZATO SU GAZA

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 Non è che il precario cessate il fuoco a Gaza abbia spento l’eco mondiale delle manifestazioni Pro Pal o di solidarietà. A Londra gli eventi veri e propri di spettacolo in favore dei palestinesi, come quelli più significativi organizzati dal collettivo White Kite che riunisce gli artisti più vicini alla causa, compresi esuli e rifugiati, si stanno intensificando proprio in questo periodo. E non è affatto che si parli di posizioni antiebraiche o peggio ancora filo-Hamas. Anzi, l’attore e drammaturgo ebreo Joel Samuels, tra gli animatori del gruppo Jewish Artists for Palestine, che si dichiara ‘non sionista’, ha partecipato fin dal lancio alle serate ‘Cutting the Tightrope: The Divorce of Politics from Art’, in cui vari performers affrontavano proprio il tema del silenzio su Gaza, rifiutando di restare, come da titolo, funamboli a cui viene tagliata la corda sotto. Interpretava ‘con energia ed empatia’, come notano le cronaca, il denso monologo ’Una conversazione totalmente immaginaria e inequivocabilmente fittizia in cui non sono coinvolto’, e dall’Arcola di Londra, dove ha debuttato, l’intero ‘Cutting the Tightrope’, con 11 pezzi diversi, è arrivato persino al festival di Edimburgo. L’ultimo evento è stato ‘Stand with Palestinians - Messagges for Gaza’ al Bush Theatre. Sul fronte di Hamas, poi, basterebbe anche soltanto leggere l’ultimo intervento di Hossam Almadhoun, considerato il personaggio più di spicco della scena palestinese, per trovare critiche pesantissime ai terroristi-integralisti e alla censura che hanno esercitato rigidamente da quando, dopo il 2007, sono saliti al potere.

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DANAE CON CORO SACRO MILITANTE

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 Un po’ in tutta Europa il contesto dei festival è quello dove in genere è più facile vedere gli artisti che si schierano. Lo si è notato bene anche a Milano, tra fine ottobre e inizio novembre, durante la preziosa rassegna di novità Danae che ogni anno è organizzata dal Teatro delle Moire. Una delle proposte più sorprendenti è stata la performance ‘VENI, a goodbye’ del raffinato coro di ALOT, che cuciva insieme vari canti sacri delle isole del Mediterraneo secondo uno schema che ricorda molto lo stile d’essenzialità assoluta sperimentato con successo da Alessandro Sciarroni (con il quale, del resto, il drammaturgo di ALOT Nicola Fadda e il corista Diego Finazzi hanno appena lavorato per ‘U. Un canto’). L’incantevole rappresentazione, dai toni rarefatti e quasi mistici, con i coristi immobili e solo alcune scritte e schizzi su una lavagna luminosa alle loro spalle, era peraltro seguita da un dibattito con lo scrittore cattolico, vicino a CL, Luca Doninelli (che ora si dedica anche al Teatro Oscar e al Centro di Produzione de Gli Incamminati con Gabriele Allevi e il celebre Giacomo Poretti del Trio con Aldo e Giovanni). Alla fine del giro di applausi due coriste sono uscite da sole di scena, per ripresentarsi stendendo una grande bandiera della Palestina, tra il consenso del pubblico che si faceva sentire in modo ancora più intenso.

Dettaglio del poster per 'Cutting the Tightrope' all'Arcola di Londra (da arcolatheatre.com)
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CHI LE CANTA E LE SUONA A BENJAMIN

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 Alle Giornate d’Autore del Reggio Parma Festival, organizzate da Teatro Due a Parma, la drammaturga e regista spagnola Lucia Carrabal si è presentata con regolare kefiah al collo e l’ha istintivamente mossa verso la platea quando il moderatore Florian Borchmeyer, curatore del FIND Festival alla Schaubühne, le ha chiesto se ha mai pensato di tornare a fare l’attrice come ai primi passi della sua fortunata carriera nel teatro. Lucia ha risposto che forse lo farà quanto prima, anche su consiglio dell’amica argentina Marina Otero, con cui stanno pensando di preparare un nuovo lavoro proprio su Gaza. Conoscendo lo standard quasi provocatorio della Otero c’è da aspettarsi un pezzo di forte impatto. Difficile, comunque, che possano raggiungere il livello toccato nella scena musicale americana dal cantante rap Magic Ali con ‘Satanyahu’s Inferno’ di Popluezy, o dal cantautore rock Din Ilango, con il brano ‘Satanyahu’ che fa leva anch’esso sul più polemico nickname affibbiato dai Pro Pal a Benjamin Netanyahu.

La citazione

Cos'hai fatto / Tu psicopatico/  Nella tua serie di omicidi/  Li vuoi uccidere tutti/ E usi le notizie per nasconderti/ Fanculo i media/ È tutto controllato/ E te lo permettono/ Di uccidere i bambini/ E usi le notizie per nasconderti/ Lo sanno tutti/ Qualunque cosa tu dica/ È un mucchio di bugie/ Conosciamo tutti la verità/ È un genocidio (…)

Din Ilango, ‘Satanyahu’ (testi da musicmatch.com)
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NON SI BALLA OGGI, MA SI DISCUTE

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 L’unico Centro Coreografico Nazionale italiano, Aterballetto di Reggio Emilia, ha cancellato una tournée a Tel Aviv già prevista per la primavera del 2026, dopo aver declinato tutti gli ultimi inviti in Russia, per solidarietà all’Ucraina aggredita. E il 2 dicembre Aterballetto ha addirittura convocato a Bologna, nell’Oratorio San Filippo Neri, un incontro di studio, con il patrocinio dalla Regione Emilia-Romagna, proprio sul tema caldissimo ‘Cultura e conflitti’. Ci saranno, tra gli altri, il direttore di Ater Gigi Cristoforetti e il curatore d'arte Nicolas Ballario, co-autore dell'ultima perfomance 'Sancta' alle ex Reggiane e di un lavoro su Maurizio Cattelan. Spunto di partenza dichiarato: ‘i prossimi mesi, probabilmente anni, si annunciano complessi sul piano della geopolitica e dei conflitti. Che ruolo potranno svolgere arte e cultura? Saranno strumenti di dialogo, ponti fra mondi, oppure territori di separazione e propaganda? E se la dimensione istituzionale non può prescindere dal pensiero politico, quale spazio resta per la libertà di espressione degli artisti e per la loro necessaria capacità di reagire, creare, testimoniare?’

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SE LE DONNE SONO PIU' VITTIME

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 Nella lodevole rassegna contro le guerre ‘Teatro Disarmato’ con cui il Menotti di Milano ha voluto aprire la stagione, si faceva notare la novità di un singolare trittico di monologhi, ‘Causa di beatificazione’, presentato da Rajeev Badhan della compagnia bellunese Slowmachine, purtroppo confinato nell’angusto spazio di una saletta che di solito ospita il bar. Il lavoro mette insieme tre storie vere - ritoccate e uniformate in alcuni dettagli, ai fini della messa in scena - di donne vittime delle persecuzioni religiose e delle guerre. E' costruito con singolari proiezioni e in apertura tenta pure l’esperimento di affidare un mixer per la distorsione della voce alla stessa valente attrice, Elena Strada, nei panni di una mistica alla deriva, basata sulle vite di Angela da Foligno e di Veronica Giuliani. Il secondo monologo racconta di una giovanissima vittima collaterale della missione di pace internazionale in Kosovo. Il pezzo più duro è senz’altro il monologo finale dove una giovane attrice persiana interpreta la prima donna kamikaze palestinese, quasi come se stesse registrando il suo video di addio alla vita. ‘Causa di beatificazione’ quest'anno si può ripescare giusto al Teatro Studio di Rovigo, il 16 novembre, e poi nel 2026, a marzo, il 7 a Camogli, il 21 e 26-27 a Belluno, e il 28 a Trieste.

Da 'Causa di beatificazione', il monologo della prima donna kamikaze palestinese

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