Se Teatro Due a Parma chiama l'affermato Zeldin all'arduo confronto con il giovane arrabbiato Alexander...

Gli attori Patrick d’Assumçao e Lamya Regragui, straordinari protagonisti di 'Prendre soin'

 Poi c’è ancora chi ripete: 'no, il dibattito no!'

Bastava ascoltare il primo botta e risposta di Alexander Zeldin dopo la rappresentazione, per prendere subito bene le misure del suo storico spettacolo ‘Beyond caring’, andato in scena nello Spazio Grande a Teatro Due di Parma. 

 E tanto valevano pure le prime parole del talk del giorno dopo, seguito alla lettura recitata in italiano dell’ultimo lavoro ‘The Other Place’, nell’ambito delle Giornate d’Autore, con la specificazione del genere non binario del/la giovane infelice protagonista.

 L’occasione di confrontarsi in questo modo, incalzante e pieno, con il primo grande passo giovanile e la nuova opera matura di un autore e regista inglese che, pur quarantenne, è ormai considerato tra i migliori protagonisti del teatro internazionale, poteva offrirla giusto la Fondazione teatrale che organizza con Reggio Parma Festival anche la rassegna internazionale di nuove proposte Gradus e, dall’anno scorso, queste giornate di confronto ad alto livello tra gli autori e gli addetti ai lavori. 

 Caso unico in Italia Teatro Due ha una compagnia residente, che si può impegnare anche in queste letture interpretate, che ricevono pubblicamente i sinceri complimenti dell’autore (Zeldin parla perfettamente anche l’italiano, del resto la madre australiana e il padre di origine russa si sono conosciuti e frequentati a Firenze). 

 Venendo al gioiello d’inizio carriera, bisogna dire che ‘Beyond caring’ mette a disagio e disorienta il pubblico, da dodici anni almeno, con gradazioni diverse a seconda dei Paesi, per esempio negli Stati Uniti ancor di più.

Dalle repliche a Parma sono usciti sotto shock, senza dar troppo a vederlo, tanti che per comodità s’inquadrerebbero nel classico pubblico teatrale borghese, magari molti classici frequent-viewers, magari pure gli ‘ottimisti e di sinistra’, poco disposti a mandar giù i bocconi più amari, a meno che non siano cucinati dalla celebrità di turno meglio considerata per l’abilità d’intrattenimento. 

  Reazione allergica evidente, sull’altro fronte, dei pochissimi che possono sentirsi di vivere in qualche modo a più corta distanza dalle classi disagiate e sfruttate dei protagonisti, che sono poi lavoratori temporanei quasi schiavizzati per le pulizie di una fabbrica dove vengono trattate le carni. 

 Lo si poteva notare anche solo ascoltando l’ultimo spinoso intervento etico-politico al dibattito seguente, di un interlocutore di mezza età che si è dichiarato figlio di una donna che è stata davvero sfruttata come addetta alle pulizie.

Domanda-obiezione che alla fine ha costretto Zeldin a dover ammettere la contraddizione di fondo di voler portare in scena per la fruizione di una platea così socialmente disallineata, perché benestante e colta, un dramma umano autentico fatto rivivere a della ‘falsa’ povera gente come sono gli attori. 

 La terza reazione degli appassionati da registrare, aldilà dell’indiscutibile grande consenso manifestato con selve di applausi, non sta proprio nel mezzo tra il disagio e l’insofferenza, ma quasi. Viene magari da chi è rimasto schiacciato in poltrona per ammirare una macchina teatrale meravigliosa, perfettamente tenuta in carreggiata da un cast eccezionale.

Citiamo soltanto le due figure chiave del racconto, ossia Philippe, magistralmente reso vero da un protagonista di grande mestiere e talento come Patrick d’Assumçao, e la sfortunata Louisa, impegnativa prova per Lamya Regragui, attrice già ben plasmata al teatro-verità in voga al TnS di Strasburgo, che ha co-prodotto lo spettacolo con il Teatro Metastasio di Prato.

 E così alla fine capita anche di ascoltare, magari da qualche idolatra dello stile di sottrazione di Peter Brook (affianco del quale Zeldin ha avuto pure l’onore e la fortuna di lavorare), che in alcuni momenti forse c’è troppo spettacolo per un dramma sociale così cupo. E questo apre interrogativi che turbano la mente dello spettatori durante i diversi momenti di passaggio, così ben ritmati e vivaci, come il non-finale. 

 Ma alla fine sono tutte bazzecole, il tema vero riguarda del tutto evidentemente la ‘traduzione’ che ciascuno di noi, dentro di sè, fa proprio del titolo di questo straordinario risultato del primo Zeldin, quando era ancora un autore giovane e molto arrabbiato, come dice lui, con l’urgenza di portare in luce la straordinaria violenza sociale del capitalismo.

Una scena di 'Prendre soin', riedizione francese di 'Beyond caring' (foto di Jean-Louis Fernandez per TnS)

 Interrogato sul tema del titolo nella stessa traduzione italiana in locandina, ‘Prendersi cura’, Zeldin ha puntualizzato che il ‘Beyond caring’ originale aveva un carico di ambiguità maggiore, potendo intendersi anche come ‘Non me ne può importare più niente’.

Ovvero proprio come se, oggettivamente, rispetto ai riflessi anche più crudeli della vita di oggi, fosse ormai sorpassata la soglia in cui può scattare la sollecitudine compassionevole che invece s’intuisce manifestarsi in scena tra i personaggi.   

 Ora, qualcuno poteva anche dire che, trattandosi oltretutto di una versione appena prodotta in francese, a un decennio e rotti dal debutto di questo suo primo spettacolo importante, Zeldin forse avrebbe dovuto utilizzare proprio quel ‘Prendre soin’ per portarlo in tournée per l’Europa. 

 Ma forse conta di più constatare che ci sia tutta una questione sostanziale legata a quel ‘Prendersi cura’ o a quel dover accettare di credere che siamo ormai sempre oltre la nostra possibilità di farlo. 

 Forse oggi, la distanza effettiva da quella Londra del 2013 dove lo spettacolo è nato, dopo gli shock delle crisi della globalizzazione, onestamente dovrebbe consentire a tutti noi una maggiore consapevolezza relativa al livello di sfruttamento inaccettabile del lavoro che è stato introdotto ovunque dal regime turbo-liberista.

 Ma ciascuno vede poi quel che può e vuole vedere, prima di tutto nella propria realtà: gli schiavi dell’industria del lusso alle porte di Milano hanno forse fatto vendere meno borsette griffate in ‘Montenapo’? Qualcuno chiede mai al ragazzo del delivery come viva, o alle maschere da pochi euro l’ora alla Scala che cosa pensino dei prezzi sui biglietti che ‘stracciano’? E ai lavoratori delle finte cooperative di pulizia chi s’interessa per davvero?

Per non dire di tutti gli homeless che abitano le stesse strade dove si continuano ad aprire alberghi stellati, per la gioia folle di poter annunciare che durante le Olimpiadi invernali del 2026 il costo medio del pernottamento a Milano sarà di 479 euro.

 E’ sempre tutto ‘troppo oltre’ le nostre possibilità di prendercene carico, e ciò che rende tutto più grave è che i temi più divisivi sottostanti, come l’esagerata concentrazione della ricchezza e le barriere nazionaliste contro l’emigrazione, sono strettamente legati a questa sorta di schiavismo di ritorno che ci siamo ritrovati persino dietro le nostre opulente case.

 Perciò oggi possiamo pensare, da spettatori appassionati e da cittadini un briciolo consapevoli, che questa riedizione in salsa francese di ‘Beyond caring’ sia il capolavoro zeldiniano.

Eppure l’autore stesso considera invece il più recente ‘The Confessions’ la miglior prova del suo talento. Il che è comprensibile, visto che lo ha allestito forte di un mestiere teatrale già notevole e che raccontava della storia di sua madre. 

 Molti di quelli che hanno avuto modo di vedere ‘The Confessions’ pensano lo stesso, ma non manca qualcuno che pure non l’ha trovato così indimenticabile e schietto come questo 'Prendre Soin', anche se ha applaudito con convinzione, durante la replica milanese alla seconda edizione di ‘Presente indicativo’ al Piccolo Teatro.

Forse, peraltro, scatta un po' la canonica distorsione percettiva del ricordo anche perché la stessa rassegna ha offerto altre diverse e ancor più entusiasmanti occasioni d’emozione. Tra parentesi, ci sarà da rimpiangere quel festival del 2024, con l’aria miserella che tira nel programma annunciato per la prossima edizione.  

 Tornando a Zeldin e a Parma, giusto per chiudere con un ‘complimento’ di luogo, da queste parti di ‘voladora’ storicamente c’è soltanto ‘la’ Parma, inteso come il torrente che arriva giù in città dalla Langhirano del prosciutto, e ogni tanto in piena.

E così, passata l’irruenza pur ben controllata delle reazioni immediate, forse causate anche da una certa ambiguità della scena di chiusura, anche i più scettici si saranno portati a casa almeno la forza poetica di una riflessione sulla solitudine e la ricerca di amicizia nella condizione umana, vista attraverso il filtro profondo e commovente delle persone fragili. E’ questo il vero grande tema sottostante, tanto beckettiano, di questo lavoro così politicamente engagé.    

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