Bob Wilson e l'età grave del teatro, l'arte di chi ascolta quella voce del bambino dentro di sé e il disagio di chi la nega

Invito al prossimo Tributo newyorchese a Wilson per il 16 dicembre

 Un talento unico come Bob Wilson meritava una commemorazione così particolare e istruttiva, qual’è stata quella ospitata a Milano nel grande Piccolo Teatro Strehler, la sera di lunedì 1° dicembre, dalle 18.30.

Seguendo precise disposizioni dettate dallo stesso Wilson, l’Arts Foundation che porta il suo nome insieme con The Watermill Center, l’istituzione culturale e casa creativa che era anche la sua dimora newyorkese, hanno allestito quattro cerimonie ‘in loving memory’ del fondatore scomparso il 31 luglio del 2025. E a Milano, appunto, se n’è tenuta una, davvero sui generis. 

 Il caro vecchio trillo di un telefono che squilla a vuoto ha dato il via a un lungo silenzio dinanzi al palcoscenico spoglio, allestito soltanto con un’asta con microfono al centro. La richiesta di un muto raccoglimento era accompagnata con tanto di nota ‘no cell phone, please’ sull’ultima pagina di una sorta di luttino in cartoncino, con tanto di foto del defunto in copertina, che veniva distribuito all’ingresso.

Dopo mezz’ora di questa situazione di silenzio totale, davvero anomala a teatro, dalle primissime fila della platea si è alzata, con una certa imbarazzata timidezza, la curatrice d’arte Elettra Bottazzi (che si è formata e ha collaborato per anni proprio con il Watermill, ed è tra l’altro cofondatrice e direttrice artistica del centro culturale Amaneï a Salina), reggendo in mano una toccante ultima lettera di ringraziamento a Bob da leggere al microfono.

 Scesa Elettra, è stata la volta di Franco Laera, produttore di Change Perfoming Arts e primo storico interlocutore italiano di Wilson stesso, che ha voluto staccare il microfono dall’asta e fare qualche passo incontro alla platea, presentandosi proprio appositamente fuori luce, ‘per guardare in faccia le persone’.

Laera ha tenuto poi una lunga disamina del rapporto con l’Italia e con Milano del suo amico artista, con ampi riferimenti a due dei lavori più importanti nel nostro Paese fatti da Bob Wilson, in cui è stato coinvolto con la sua CPA: la partecipazione alla Biennale d’Arte del 1994 con l’installazione ‘Memory loss’ nel magazzino del granaio alle Zitelle di Venezia e la più recente ‘Mother’ nella sala della Pietà Rondadini al Castello Sforzesco di Milano, in occasione del Salone del Mobile 2025.

 Dopo questo articolato intervento, accolto con un certo disagio tra le file dei numerosi Vip e addetti ai lavori milanesi presenti - e pure con qualche cenno di sgomento da parte del pubblico che faticava a cogliere tutti i riferimenti -, ha sciolto grandemente la serata il talento ineguagliabile di Maria de Medeiros, l’attrice portoghese protagonista di ’Pessoa. Since I’ve been me’, che ha cantato il motivo finale dell’ultimo meraviglioso gioiello wilsoniano sul poeta di Lisbona, allestito peraltro a Firenze, e ancora in tournée per il mondo. 

 Dopo un lungo applauso, con il pubblico che cominciava ad avviarsi ormai verso l’uscita, il nuovo direttore generale del Piccolo Teatro Lanfranco Li Cauli ha voluto ricordare la vicinanza dell’istituzione ospitante a Wilson stesso, se pure l’ultima traccia di una collaborazione fattiva risale a una grandiosa ‘Odyssey’ d’ormai più di un decennio fa. Di ciò Li Cauli ha voluto onestamente ringraziare il precedente direttore Sergio Escobar, con cui lui stesso aveva lavorato, prima di passare alla direzione marketing della Scala.

Per una volta, poi, il Professor-direttore artistico Claudio Longhi si è limitato leggere un intervento di grande brevità, pescando una citazione sul tema del dramma di Gertrude Stein, scrittrice e intellettuale che certo è stata punto di riferimento fondamentale della poetica di Wilson stesso (soprattutto per lo spettacolo-evento ‘Einstein on the Beach’, presentato nel 1976 al Festival d’Avignone e poi con Philip Glass alla Biennale di Venezia).

 Infine, quasi a bloccare l’ormai avviata smobilitazione della platea, è arrivato il sorprendente invito a concludere il memoriale davanti al bar, con un brindisi e una fetta di panettone. Tutto buonissimo, bollicine o succo di frutta e dolce, del resto chi passava uscendo davanti al vicino Teatro Studio Melato, poteva notare che contemporaneamente era stata ‘di scena’ la festa natalizia di uno dei più noti marchi della grande distribuzione, che vanta anche una linea di ‘alta pasticceria’ dal nome regale aragonese…

Una scena di 'Pessoa. Since i've been me' (foto di Lucie Jansch): gioiello di fine carriera, ancora oggi in tournée, tornerà in scena per la seconda volta al de La Ville di Parigi: nei teatri di Milano è stato proprio ignorato

 Sinceramente, è stata una gran bella festa di commemorazione, nonostante la controversia, sottaciuta ma evidente, suscitata dalla disamina del caso Wilson-Milano esposta da Laera, e quel sapore anche di controcanto che perciò l’intervento post-conclusivo di Li Cauli ha assunto, quando ha voluto specificare persino che Bob Wilson aveva chiesto di poter provare al Piccolo l’ultimo lavoro milanese ‘Mother’, che doveva poi allestire nella sala dell’Antico Ospedale Spagnolo nel Castello Sforzesco di Milano dove è situata adesso la Pietà Rondanini. 

Va detto per dovere di cronaca che è stato davvero gradevole e indovinato quell’imprevisto dopo informale, perfetto per fare altre istruttive chiacchiere, per commentare quanto appena ascoltato e per ricordare insieme ad altri i bei momenti di bellezza e di emozioni provati grazie all’ingegno del texano più europeo della storia.

Qualche sfacciato fortunato (facile indovinare chi) ne ha approfittato per improvvisare un’intervista informale al tecnico delle luci che aveva lavorato alla serata, e lungamente in precedenza con Bob Wilson stesso, anche nelle due ultime occasioni di Pessoa e della Pietà.

Si poteva così avere conferma che la straordinaria capacità professionale di un uomo di teatro che sul light-design ha sicuramente costruito gran parte della propria identità, si univa a un ammirevole tratto umano spontaneo e aperto: alla fine dell'impostazione voleva ascoltare il parere anche dell’ultimo specializzato che aveva calato le luci richieste al punto giusto, magari con il vecchio sistema delle corde, come succede ancora giusto in alcune sale storiche italiane, tra cui il Teatro Della Pergola.

Se ne poteva ricavare anche la conferma della particolarità artistica del Grande Vecchio giramondo con base a Watermill, uno che, più o meno a 85 anni, dovendosene stare giorni e giorni dinanzi alla Pietà Rondanini per allestire un evento di mezz’ora con la musica sublime dello ‘Stabat Mater’ di Arvo Pärt e con la rilettura in un sottile gioco di luci del capolavoro incompiuto michelangiolesco, in realtà fu catturato soprattutto da una finestrella della sala dove l'opera è collocata, dettaglio che opportunamente valorizzato avrebbe poi conferito al tutto un piccolo richiamo in più, da dipinto rinascimentale di Raffaello.    

 Ora, per quanto riguarda il sapore forte della commemorazione, ovvero l’intervento di Laera e le reazioni degli astanti, è chiaro che diventa molto più comprensibile tenendo presente, aldilà di ogni personalismo, alcuni elementi fondamentali della storia recente del teatro contemporaneo e di quello milanese in particolare.

Lo storico interlocutore e sodale italiano di Bob Wilson, che fu tra gli animatori principali del polo innovativo Centro di Ricerca Teatrale a Milano (una sorta di vero e proprio anti-Piccolo nell'epoca del dominio strehleriano), e tra i primi interlocutori anche di Tadeusz Kantor e di altri grandi protagonisti di rottura, ha voluto naturalmente rivendicare l’importanza della scelta di aver presentato nel 1976 a Milano quella ‘Perfomance’ di poco precedente all’evento ‘Einstein on the Beach’, che sancì la nascita di un nuovo maestro e di una visione radicalmente alternativa del teatro e delle rappresentazioni musicali.

Ed è naturale che Laera abbia voluto poi pure sottolineare, correttamente, la profilazione più artistica in senso totale che strettamente teatrale di Wilson stesso, di cui del resto si poteva evincere la conferma pure nell’ultimo intervento di Longhi, con il richiamo al pensiero di quella che viene comunemente citata (o liquidata, secondo gli studiosi) come grande musa del cubismo.

 Il punto è che la figura di Wilson, con particolare riferimento agli anni Settanta e al periodo che Franco Quadri definiva nel titolo del suo ‘Invenzione di un teatro diverso’, ha avuto un ruolo magistrale nello scardinamento di una certa tradizione teatrale che, viceversa, il Piccolo Teatro di Milano sembra seguire e soprattutto rivendicare ancora oggi con orgoglio. 

 Non si può dimenticare che la stella cometa di Wilson sia apparsa proprio dai cieli d’oriente, al festival di Shiraz-Persepolis del 1972, con l’incredibile ‘KA MOUNTAIN’ che si svolse per sette giorni senza interruzione sulle cime di sette montagne intorno alla città persiana.

E che dopo questa irripetibile rottura dell'unità di luogo e del tempo stesso del teatro, Wilson ha lasciato il segno, seguendo e rinnovando la lezione appunto di Gertrude Stein - sugli assi portanti di ripetizione e variazione, presente continuo e ‘teatro di paesaggio’ - al punto che ‘Einstein on the Beach’ è stato considerato una sorta di seme germinale della svolta cosiddetta del post-drammatico, dallo stesso studioso tedesco Lehman che definì questa tendenza (chi volesse approfondire, veda il saggio online di Daniela Sacco e anche il suo studio su ‘Mito e Teatro’, ed. Mimesis).

 E qui s’arriva al presente storico, alla restaurazione di fatto che le istituzioni pubbliche italiane, tendenzialmente impermeabili al nuovo, sono riuscite ad operare riassorbendo l’onda lunga della rivoluzione settanta, per non dire di quel che ne è bene o male seguito. E si spiega il disagio plateale di alcune personalità della cultura milanese dinanzi alla disamina di Laera.

Detto questo, senza dover affrontare un discorso di merito - chè sarebbe quantomeno antipatico - sugli inossidabili al potere e su una certa aria stantìa che si respira ai piani alti di quella che fu la 'capitale morale', si spera che in quei trenta minuti di silenzio tanti abbiano perlomeno sentito quanto risultasse ancora viva la voce di un creatore che, nonostante gli 80 anni anagrafici ormai ampiamente traguardati e una prolificità professionale sin quasi esagerata, conservava intatta la forza poetica di un fanciullino. 

Ultima riunione milanese a Change Performing Arts di Bob Wilson: di fronte in camicia bianca Franco Laera

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