Mai dire Blake se non sai bene come prenderlo: cronachette del dopo di una splendida 'Serata Forsythe' ripresa alla Scala
15.11.2025
In mezzo al mare del pubblico tradizionale della musica colta, l’appassionato di teatro e danza più contemporanei e innovativi possibile, è destinato a fare indimenticabili esperienze di nuoto controcorrente.
Una volta, alla fine degli anni Dieci del Secondo Millennio, sullo sgabello di un palchetto laterale del Teatro Comunale di Bologna, cogliendo la fortunata occasione di vedere ‘La Bohème’ allestita dal regista inglese Graham Vick e ottimamente diretta da un ancora non così famoso Michele Mariotti, mi è capitato di dover garbatamente discutere con le vicine signore, spettatrici della lirica di lunga esperienza, che si dicevano scandalizzate per l’attualizèzazione della messa in scena.
Giuravano, addirittura, di non aver mai visto una versione tanto brutta di questo che sicuramente si può classificare tra i grandi capolavori decadentisti del genio pop di Giacomo Puccini, con libretto di Giuseppe Giacosa e Luigi Illica ispirato a un ben noto feuilleton di Henri Murger, subito adattato anche a commedia in Francia.
Ora, è naturale che Bohème fosse una sfida abbastanza impervia anche per un regista pur navigato come Vick, ma era comunque da prevedere che avrebbe provato ad affrontarla sempre con quello stile ‘anticonformista e innovativo’ che è riconosciuto suo caratteristico da Wikipedia in giù.
Che poi Sir Graham, purtroppo scomparso poco dopo, nel 2021, a 67 anni, avrebbe così bene scarnificato il nichilismo nascosto dentro l’animo dei bohémiens riportandoli addirittura in una Londra post-punk, non poteva auspicarlo nemmeno il più ottimista. Ma certo, vaglielo a far digerire al pubblico tradizionale!
Come un déjà vu, di ritorno dal Teatro alla Scala il 13 novembre del 2025, dopo aver assistito alla ripresa della straordinaria ‘Serata William Forsythe - The Blake Works’, accolta con entusiastici applausi da un pubblico dove si potevano notare anche tanti volti giovani, soprattutto di ragazze e donne, ho dovuto poi guardacaso affrontare ancora le tirate negative di due signore abbonate storiche, dichiaratamente tradizionaliste.
‘Ma che roba?!? Soprattutto il primo pezzo, così cupo…E quella musica quasi impossibile?!’ erano più o meno i giudizi, stemperati subito da un sottolineato ‘Però’ con bella pausa retorica a seguire, chiosato da: ‘come sono sempre bravissimi i ballerini della Scala, perfetti, superlativi!’.
Maledizione a me, non avevo ancora studiato bene i brevi saggi che accompagnano il programma di sala, un’ottantina di pagine che rendono la proposta davvero WPA (Worth the Price of Admission, con 10 euro in più anche l’ottimo libretto). Così mi sono limitato a far notare alle occasionali compagne di ritorno a casa, che sull’altro fronte, degli entusiasti, si erano schierate tante altre persone.
E che magari qualcuno, abituato ai ballerini di contemporanea e attratto da un nome-mito come quello di Forsythe, potrebbe aver trovato qua e là un filo fuori registro, troppo classicheggianti appunto, persino gli amatissimi ballerini dello straordinario corpo scaligero.
Del resto, si potrebbe dire che funziona a dovere quel Blake nel titolo, che pur indicando semplicemente l’autore delle musiche, suona sempre così evocativo del celeberrimo cantore degli ‘opposti complementari’, il poeta maledetto inglese di fine Settecento che di nome fa William proprio come Forsythe, e così radicato come aggettivo nell’ambiguità etimologica, metà nero e metà pallido.
Grazie alle letture d’approfondimento che si possono fare nel programma di cui sopra, e in particolare gli interventi di due eccellenti studiose di danza, come l’inglese Kathrina Farrugia-Kriel e la nostra indomita Marinella Guatterini, e del critico musicale Francesco Brusco, si comprende in pieno non solo il senso del lavoro originale di Forsythe, ma anche il risultato di questa specifica riproposta scaligera.
Razionalizzando ex post le così diverse reazioni, anche dei pochissimi che non si erano proprio entusiasmati per i rarefatti corpo a corpo di ‘Forsythe and Friends’ presentati all’ultima Biennale della Danza di Venezia, si può certo apprezzare meglio questo che è considerato giustamente l’ultimo suo grande exploit per quanto riguarda la scena dei teatri d’opera più importanti del mondo.
Questo grande atto di amore maturo nei confronti della danza di uno dei coreografi più famosi si apre con un primo pezzo davvero particolare, quel ‘Prologue’ che risultava poi essere andato tanto di traverso ad alcuni amanti del balletto classico-classico e invece era così ammirato sul fronte opposto degli appassionati ‘contemporaneisti’.
Certo che non era così facile entrare nello spirito quasi provocatorio della coreografia-non coreografia che Forsythe ha disegnato intorno alla ripetizione per cinque volte di ‘Lindsfarne I’ di James Blake Litherland. E non risulta nemmeno così immediatamente accattivante quel brano del raffinato album d’esordio di Blake Litherland, con tutte quelle pause interne e quel mix che gli esperti definiscono tra sincopato ‘post-dubstep’, rock elettronico e soul.
Il delicato e sognante ‘Barre Project’ che segue, immaginato da Forsythe in piena pandemia come omaggio a tutti i ballerini che, pur rinchiusi forzatamente in casa, cercavano di tenersi in forma e di continuare a provare usando magari sbarre domestiche improvvisate, viene presentato come una sorta di ambiziosa ‘decostruzione’ degli elementi fondamentali del balletto classico.
Oddio, non è che anche Forsythe risulterà un allievo di Derrida o un seguace della French Theory?!? Battute a parte, il 13 sera era davvero difficile rendersene subito bene conto, distratti dall’irruzione in scena della prima ballerina Martina Arduino, ammaliante e superlativa come sempre, meravigliosa anche solo da veder correre via (detto senza voler far torto a nessuno degli altri eccellenti protagonisti).
Poi, care le mie signore, certo che sono tutti davvero bravissimi - avrei dovuto obiettare a quel ‘Però’ di cui sopra -: in questo corpo di ballo che è un’eccellenza di Milano, c’è una puntuale gerarchia che riflette il livello raggiunto, il talento e la bellezza sono doni di natura ma si rendono più visibili con fatica e impegno.
Raggiunge una notevole quasi perfezione di universale lettura il pezzo finale, che è anche il più articolato e quello dichiaratamente ‘tanto affettuoso nei confronti della danza classica stessa’ (parole dello stesso Forsythe). Oppure, forse, lo spettatore tipo, arrivato alla seconda metà della Serata, è già così entrato nel linguaggio di questi lavori che li apprezza al volo.
Ardimentosamente steso lungo quasi tutte le canzoni dell’album di Blake Litherland ‘The Colour in Anithing’, questo ‘Blake Works I’ (ne sono state fatte più versioni nel mondo) appare davvero indovinato anche su un Palcoscenico maiuscolo come quello della Scala, e qui naturalmente riescono a esprimersi al meglio anche i ballerini tutti, che a tratti riempiono la scena a ranghi fitti.
Per dare pane al pane e vino al vino, la coreografia originale è stata in questa parte ripresa da Lara Montanaro, che oggi è tra i Maîtres del corpo di ballo, con il primo ballerino Antonino Sutera, evidentemente già avviato verso una carriera del dopo. Non si può dire altro che grazie anche a loro, e al Maître Principale Laura Contardi che con l’altro dei Maîtres Massimo Murru ha riadattato i primi due spezzoni.
Serata da non perdere, per chi volesse ci sono ancora poche chance oltre alla lista d’attesa, per le repliche di domenica 16, del 19 novembre del 28-29 novembre.
P.S.: Vedremo tra qualche mese la prima stagione vera e propria del ‘nuovo’ direttore Frédéric Olivieri, nominato a fine febbraio alla guida del corpo di ballo della Scala, che ha già diretto dal 2002 al 2007, e poi dal 2017 al 2020, passando ancora a dirigere il corpo di ballo dell’Accademia scaligera, dove peraltro è rimasto in carica. Olivieri, per la cronaca, è arrivato a Milano nemmeno quarantenne, 25 anni fa, proprio come Maître Principale…