Ma è poi bello o brutto, questo benedetto 'Riccardo III' che rilancia il Piccolo come teatro d'arte per Tutti?
17.11.2025
Questo buon novembre 2025 al Piccolo Teatro di Milano assomiglia un po’ al mese della resipiscenza del Teatro d’Arte per Tutti, la definizione originaria che campeggiava sotto il logo e compare ancora oggi sui biglietti, tutta di fila senza spaziature e solo con PERTUTTI così in maiuscola (sic).
Nella storica sala di via Rovello, intitolata a Paolo Grassi, è di scena per quasi un mese la nuova produzione di casa, affidata a una figura magistrale del 'teatro matriarcale' - definizione di Claudio Longhi - come Emma Dante, alle prese con il femminicidio ne ‘L’angelo del focolare’.
La lunga tenitura in cartellone comprende opportunamente anche il 25 p.v., ossia per la Giornata internazionale per l'eliminazione della violenza contro le donne, istituita dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite, e ci sono ancora posti disponibili, nonostante il pienone dei primi dieci giorni.
Anche nella grande sala dedicata a Giorgio Strehler si respira decisamente aria d’Autore con il nuovo ‘Riccardo III’ di Antonio Latella. Senza tema di smentita, così anche l'autunno 'del nostro scontento s’è trasformato in gloriosa estate sotto il sole’ di una programmazione che si è alzata di livello verso l’alto.
E anche se non ci fosse il consueto concerto della moderna claque organizzata dall’industria culturale (Adorno docet) per i propri prodotti, con tanto di Signora grandi firme del giornalone e Rappresentante di Lista dirottata da Sanremo a battere la grancassa, stiamo pur sempre parlando di due tra i nomi più riconosciuti del teatro italiano, tra i primi di quel pugno d’Intoccabili.
E qui, in fondo, si nasconde e insieme si svela un problema centrale - relativo alla critica e al confronto autentico delle idee - che affligge il nostro sistema teatrale, un po’ come tutto il mondo della cultura.
La questione non riguarda certo il pubblico, che per Emma Dante o Latella si presenta entusiasta e numeroso. Magari poi ci sarà chi bisbiglia a mezza voce con la vicina, appena usciti fuori dal Grassi, che i 40 euro del biglietto intero sono un po' troppo, anche perché non è che una parte dei proventi finiscano a qualche Casa d'Accoglienza per Donne Maltrattate. Oppure si può sentire qualche schietto: ‘mi è parso decisamente lungo’ risalendo lo scalone dello Strehler.
Arrivando al sodo, vale soprattutto quel che intima la più saggia interlocutrice al perplesso compagno d'occasione, al termine di una rappresentazione sabotina del nuovo allestimento shakesperiano di Latella: ‘Il teatro è bello o brutto, alla fine le chiacchiere stanno a zero. Ed è impossibile non prendere atto che questo spettacolo sia bello’.
In effetti, anche solo per il ribaltamento in una sorta di giardino dell’Eden dell’ambiente dove si muove il ‘tenebroso emissario dell’inferno’ (Shakespeare), con tanto di trovata di un nuovo quasi deuteragonista, il Custode...
Anche semplicemente per la consueta e pregevolissima cura dei dettagli di regia, per la direzione degli attori in primo luogo; per lo stesso albero-camerino dominante, in cui si rifugia Riccardo...per l'evocazione della pistola cechoviana...per i costumi quasi da Venezia goldoniana...
...persino - spoiler! - per quella macchina del fumo che cala dall’alto (roba quasi da far invidia a Romeo Castellucci, seppur richiami un dettaglio dell'ultimo lavoro di F.C.Bergman), che serve a sottolineaare ancora nel finale quanto ‘il teatro nel teatro’ sia la chiave di lettura suggerita...
Beh, per questo e tanto altro ancora, che osservatori più esperti e raffinati, anche se partigiani latelliani militanti (Enrico Fiore), hanno già messo in luce dettagliatamente, siano lode e gloria al valentissimo Antonio.
Non è detto che uno spettatore riesca a cogliere subito appieno la pregnanza di questa rilettura, anzi: diversi elementi pregiudizievoli, in primis le due-tre strizzate d'occhio al pubblico, possono sviare un attimo. Ma, con calma e ripensandoci, l'appassionato porterà a casa comunque tanti stimoli da questo Riccardo III.
Per quanto riguarda il bello, far sì che tutti i collaboratori sembrino così bravi da poter ricevere lodi sperticate, è il talento di Latella formatore d'eccellenze, che ha intuito e capacità uniche nella scelta e nella guida degli attori e pure degli altri professionisti della scena, come si è ben visto anche quando ha gestito la Biennale Teatro.
Di buono ha pure che non ama nemmeno vantarsi delle intenzioni artistiche che gli adulatori gli attribuiscono: ancora in un incontro del maggio scorso con il pubblico al Teatro Bellini di Napoli, a uno studente di teatro che lo interrogava su quale molla interiore lo spingesse ogni volta a ripartire con un nuovo progetto, ha spiegato che i suoi lavori nascono semplicemente dallo studio, dalla ricerca di un tema e dalla scelta dei 'compagni di viaggio', che ritiene fondamentale.
Ognuno poi considera meglio, di questi dell'ultima tournèe, quelli che preferisce, dal pluripremiato sound-designer Franco Fisioli al co-autore e in questo caso pure traduttore 'modernizzatore' shakespiriano Federico Bellini.
Tra gli attori, vanno notate l'ottima prova dei giovani - del resto, 'Latella docet' - e del così diverso trio femminile. Ovvero: Giulia Mazzarino che nei panni di Anna imprime subito un segno di rottura della complessità della prima parte, (attenzione, spoiler!) con la scena tanto ben resa dello sputo in faccia a Riccardo III; Candida Nieri nel ruolo di spicco di Margherita, all'altezza di quello che si aspetta da una attrice premiata come protagonista di 'A Ma'della serie dei Latella pasoliniani; e di Anna Coppola, che si è cucita così addosso il ruolo della vecchia Duchessa madre.
A costo di sembrar ripetitivi negli elogi alla Coppola, che peraltro meriterebbe di lavorare molto di più, anche solo quel monologo delle maledizioni al figlio (scena IV del IV atto, nell’originale), buttato lì con il freno dell’enfasi decisamente tirato, è stato da manuale.
Certo sgomenta alquanto che Latella riceva poi sempre l'adesione a dir poco incondizionata da chi avrebbe la funzione di contribuire con uno sguardo professionale all’elaborazione e al miglioramento del teatro.
Bastava anche soltanto leggere l’intervento ‘acritico’ più lungo riportato nel diversamente smilzo programma di sala di 'Riccardo III' (privo, peraltro, delle consuete preziose schede relative al cast e ai vari professionisti da primi nomi in locandina).
Questo genere di trattamento adulatorio fu riservato per esempio all'ultimo grande 'intellettuale organico' del teatro Luca Ronconi, alimentandone poi la discontinuità invece che l'indiscutibile eccellenza di quando indovinava un progetto, oppure anche a Strehler negli anni di fulgore.
Forse oggi farebbero assai bene un po' di stimoli critici più acuminati anche al Venerato Maestro Latella - ché in fondo avrebbe voluto vivere un’altra vita, da Fassbinder, e un po’ lo riesce ancora a fare, per esempio con certe sue produzioni tedesche, come l’ultima riproposta in Italia di ‘Zorro’, con attori non di mestiere.
Non è diventi oro tutto quello che tocca: forse basta valutare serenamente anche quando dà vita a progetti impervi come quello di 'Wonder woman' sulla violenza contro le donne, o si mette a fare il teatrone condizionato dal Capitale per i grandi nomi e la produzione di peso, investimenti finalizzati tout court ai più congrui incassi.
Per la cronaca, dato che questa spetta al cronista appassionato e non titolato ad esprimere riflessioni ex cathedra, si noti che con ‘Riccardo III’, nonostante le 2 ore e 40 d’ingaggio, Latella non vuole andare in scia tanto al suo stesso ambizioso Amleto integrale di qualche anno fa, dove tra l'altro ha decretato star la giovane Federica Rosellini.
Sembra invece voler bissare, per fortuna in meglio e con un po’ meno urla, l’operazione di successo allestita a tavolino per la riproposta di ‘Chi ha pura di Virginia Woolf?’ dell'americano Edward Albee, dove accanto allo stesso Vinicio Marchioni di questo 'Riccardo III' c’era pure tanto di Sonia Bergamasco prim’attrice.
‘Deve essergli avanzata dal precedente spettacolone anche un po’ di quella enorme tenda verde, era dietro anche in questa scena: si vede che a Latella piacciono tanto questi sipari in palcoscenico’ nota a margine con l’occhio malizioso un addetto ai lavori.
Di certo tutti devono prendere atto che, oltre la tenda, stavolta Marchioni è molto più centrale, e pure centrato. Più Casanova che mostro demoniaco del potere, come si addice del resto a un attore che tanti ricordano nei panni dell'anti-antieroe bello, detto il Freddo, tra i truci romanacci della serie 'Romanzo Criminale' sulla banda della Magliana.
Paradossalmente, nonostante l’idiosincrasia dramaholica per l’uso dei microfoni, è la nuova voce calda del Freddo Marchioni amplificata in diffusione che, pur suonando a tratti un po' tanto da doppiatore, fa risultare il personaggio davvero più ‘accattivante’ (ah ah), senza nemmeno bisogno del difetto fisico canonico del personaggio.
E nei vezzi creati ad hoc, nella gestualità delle scene di seduzione, come in alcuni momenti che lo vedono protagonista in primo piano, per esempio durante l’incubo che vive prima della battaglia o nel monologo finale a luci accese in sala, il risultato è senza dubbio encomiabile soprattutto quando interpreta con sana sobrietà.
Per tornare infine allo schema enunciato all’inizio, semplificatorio ma veritativo, con l’antitesi sul teatro ‘bello o brutto’, di questo Riccardo III resta dunque soprattutto del bel teatro. Indispensabile, chissà, indimenticabile o meno lo dirà il tempo. A Milano, fino al 30 novembre, i posti per le repliche non mancano al Teatro Streher.