Un fine settimana nella cava dei pescatori, e poi la rivolta dei sordi: dopo C e B, riprende a Milano anche la Zona KBL
09.10.2024
Dalla Russia a Sils Maria, dal Brasile alla Tunisia, piccole storie di teatro e di nascondimenti
In tempo di prime scaligere russe, e inutili polemiche connesse, resta sul taccuino del cronista indiscreto un appunto: alle ultime prove integrali del Boris Godunov, i presenti hanno notato la particolare attenzione con cui il Maestro Riccardo Chailly ha voluto far provare all’orchestra l’Inno d’Europa, insistendo soprattutto a perfezionare il contributo della sezione degli archi…Ora, inni a parte, è risaputo quanto Chailly consideri importante questa insolita prima, che idealmente rappresenta in qualche modo il raggiungimento di un vero e proprio confronto diretto con il grande mito di Claudio Abbado, accanto al quale ha mosso i primi passi da assistente.
L’ENGADINA E L’EUROPA NEL CUORE DELLA SCALA
Piccola nota a margine, con Abbado Chailly condivideva anche la passione per l’Engadina, dove l’attuale direttore della Scala ha una casa di vacanza che alterna a quella nelle Cinque Terre. Abbado, che è stato anche uno straordinario appassionato di montagna, ha voluto addirittura che una parte delle sue ceneri riposassero in un muretto della val di Fex, nel cimitero della chiesetta di Crasta, sopra l’amatissima Sils Maria. Come racconta bene Giuseppina Manin nella sua biografia di Abbado, ‘Nel giardino della musica’ (Guanda ed.), il Maestro - che diresse anche un memorabile Boris Godunov nel 1979 alla Scala, osando sfidare nientemeno che i precedenti di Arturo Toscanini -, amava passeggiare intorno al lago dopo il passo del Maloja, nelle piccole località prima di Sankt Moritz. Spesso pranzava vicino a dove oggi riposano le sue ceneri, alla Pensiun Crasta, dall’aspetto di una semplice casa, antica proprietà del falegname che aveva costruito i primi sci della zona.
La citazione
A Mosca te ne stai nell'immensa sala di un ristorante, non conosci nessuno, nessuno ti conosce, ma non ti senti un estraneo. Qui invece conosci tutti, tutti ti conoscono, ma sei un estraneo, estraneo…Estraneo e solo.
LE TRE ‘SORELLINE’ DI CHRIS
Un singolare adattamento delle Tre Sorelle, intitolato ‘E se elas fossem para Moscou?’ ovvero ‘E se andassimo a Mosca?’, ha fatto affermare nella seconda metà degli anni Dieci in Europa il talento di Christiane Jatahy, regista d’origine brasiliana che lavora in modo originale sull’intarsio del linguaggio teatrale con quello cinematografico e s’impegna particolarmente a costruire spettacoli a forte vocazione politica e morale. Le ‘Tre Sorelle’ muovevano dagli interrogativi sottesi alla domanda del titolo: se ci trovassimo davvero a vivere in quell’altrove in cui ci immaginiamo spesso e in cui non siamo mai? Di quanti cambiamenti siamo artefici, nella nostra vita? Siamo veramente capaci di deviare rotta? Desideri, paure, sogni e aspirazioni, nella rivoluzione scenica di Christiane Jatahy, erano affidate alle attrici brasiliane della sua compagnia, con riferimenti dichiarati al presente. A fine novembre quest’anno, al teatro Centquatre del prestigioso Odeon di Parigi (da cui Jatahy è stata un po’ adottata, ora è artista associata anche al Piccolo Teatro di Milano) ha debuttato il nuovo spettacolo ‘Depois do silêncio’ (Dopo il silenzio): in questo lavoro, che chiude una ‘trilogia degli orrori’ sulla drammatica situazione della sua patria (a Venezia avevamo visto il penultimo atto 'The lingering now'), Jatahy porta lo spettatore nel cuore del Brasile dove alcune popolazioni vivono ancora in condizioni vicine alla schiavitù, sfruttate dai grandi proprietari terrieri. Incrociando il primo romanzo del geografo Itamar Vieira Junior ‘Torto Arado’, la storia di una famiglia della Chapada Diamantina, nel cuore della Bahia, alle prese con la violenza e l'ingiustizia, e un lungo documentario di Eduardo Couthino, che racconta la lotta del sindacalista agricolo del Pernambuco João Pedro Teixeira, Jatahy porta in scena di nuovo tre sue attrici, accompagnate da un musicista, e una è proprio la nipote dello stesso Teixeira (in cartellone fino al 16 dicembre). Da non perdere.
FUGGIRE DALLA FAMA, LA LEZIONE DI SAM
La fama, i premi (compreso il Leone d’Oro a Venezia) e il deciso impegno pubblico anti-Bolsonaro hanno reso purtroppo la vita difficile alla nostra amata Chris. Di certo, fino ad oggi, erano diventati alquanto rischiosi i suoi ritorni a casa, a Rio. Dopo la vittoria di Lula, le condizioni in Brasile dovrebbero essere cambiate parecchio e probabilmente anche la Jatahy potrebbe ripensare la sua traiettoria artistica e umana ormai così proiettata in Europa. A proposito di premi e di nascondigli, sono passati 53 anni da quando Samuel Beckett si rintanò in un albergo tunisino a Nabeul pur di evitare le prime immediate conseguenze mediatiche del premio Nobel, che considerò comunque ‘una catastrofe’ proprio per le attenzioni dei giornalisti e dei curiosi che avrebbe attirato. Delegò il suo editore ad andare a Stoccolma per la cerimonia di consegna e gli fu molto grato ‘per avergli tolto le castagne dal fuoco’ in quello che il grande Sam definì, con un gioco di parole, ‘Nobloodybeldamday’: secondo Gabriele Frasca, che ha curato per Einaudi l’edizione italiana della monumentale biografia di James Knowlson su Beckett, questa espressione è davvero ‘intraducibile. Partendo da Nobelday, cioè il giorno in cui viene conferito il premio, attraverso una serie di dilatazione e inversioni sonore, Beckett produce una sorta di grottesca invettiva apotropaica, “il nessun (no) maledetto (bloody) giorno (day)”, forse incrociata anche con beldam, megera’.
E GODOT FINALMENTE SI SCUSO' PER L’ATTESA
Dopo aver stabilito come destinare la cospicua cifra del premio Nobel, quando ancora le 373mila corone del 1969 erano in viaggio per la Francia (una gran fetta fu destinata alla Biblioteca del Trinity College di Dublino e il resto distribuito generosamente a scrittori, registi e pittori suoi amici, che ricevettero tutti donazioni anonime, anche se ai più fu facile ipotizzarne la provenienza), Beckett si rassegnò a dover rispondere una per una alle tantissime lettere di felicitazioni che aveva ricevuto. In particolare lo divertì una cartolina, arrivata al suo indirizzo di Parigi e spedita dal suo editore all’albergo di Nabeul: era firmato Monsieur Georges Godot e i complimenti erano accompagnati dalle ‘più sincere scuse per averla fatta aspettare tanto’. Niente affatto, scrisse Beckett nella risposta: ‘al contrario mi fa particolarmente piacere che Lei si sia rivelato così d’improvviso, proprio adesso’.