

Con la prima Biennale Danza del suo secondo mandato da direttore, Sir Wayne McGregor rischia sette volte tanto
16.07.2025
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Alla vigilia della prima italiana di ‘Die Seherin’, titolo inglese ‘The Seer’, tradotto in italiano La Veggente, per il gran finale della prima Biennale Teatro di Willem Dafoe, nel salone delle Colonne a Ca’ Giustinian il regista-guru Milo Rau aveva concluso il talk del pomeriggio con una sorta di profezia che certo non immaginava potesse quasi inverarsi lì per lì.
Era ormai quasi trascorsa l’ora di rito per l’intervista ufficiale in Biennale, a dire il vero non proprio brillante e tanto meno incalzante come gli interventi scritti che Rau ogni tanto pubblica. Fino a quel momento un mezzo concione auto-referenziale di un genio anche dell’auto-promozione: Rau si è presentato a Venezia addirittura in divisa da Wiener Festwochen, tutone intero da operaio meccanico con il marchio ‘Republic of Love’, il titolo di quest’anno del suo festival.
Sempre troppo adulato dagli interlocutori, chissà se si sarà accorto che in terza fila centrale, dritta verso il palco, una ragazza è crollata a dormire mentre parlava di tragedia greca e testi precedenti della civiltà umana, ma di certo non ha potuto vedere le signore che, sedute più indietro, sonnecchiavano già a occhi chiusi da un po’.
In ogni caso, quando Rau è passato finalmente a dare una piccola scossa confessando qualcosa, ha cominciato a parlare del suo rapporto con Ursina Lardi, spiegando onestamente che l’attrice svizzera è di una professionalità straordinaria, fin quasi maniacale in confronto alla sua propensione di autore e regista tutt’altro che precisino.
Lei sa bene come entrare e restare davvero ‘nel testo’, uscendo da se stessa e da tutto il resto; lui lascerebbe sempre che le cose accadessero anche un po’ per caso, che lo spettacolo si scrivesse un po’ da solo. Perciò, soprattutto all’inizio, hanno anche proprio litigato, più volte.
Poi, sospirando con tono malinconico, Rau ha concluso il discorso sulla ’sua’ Ursina ammettendo che, in fondo, dopo dieci anni e quattro spettacoli impegnativi insieme, ormai da lei si aspetta soltanto che gli dica: ‘Milo, basta! E per una buona volta, davvero basta: è ora di salutarci e di andare ognuno per la propria strada’.
Quando più tardi, verso le 23, allo spettacolo nel teatro dell’Arsenale, è saltato il proiettore di scena, per giunta alla vigilia della parte finale, quella vera e propria che porterebbe verso la catarsi, beh, la scena vista dalla fila E, a tre poltrone da quella in cui si era seduto lo stesso Rau, poteva avere persino un certo sapore di déjà vu.
Considerato che la rappresentazione non era affatto filata via del tutto liscia, e sul più bello, cioè in un apice drammatico, Ursina aveva già dovuto sopportare l’interruzione di un assistente di scena - entrata di corsa per risolvere un problema alla videocamera del cellulare che l’attrice stava impiegando per riprendersi da sola -, immaginate già l’umore interiore di una Swiss Machine come la Lardi quando, poco dopo, le hanno detto che doveva proprio fermarsi.
Lei, l’attrice della perfezione, costretta da un banale guasto a uscire dietro a una tenda con la faccia costernata, dovendo poi celare bene l’arrabbiatura grazie a una sovra-umana recitazione, di quelle che in genere non ama fare, mentre correvano per la sala a provare di risolvere il problema due o tre tecnici in t-shirt nera con scritte varie, uno con il marchio del teatro Schaubühne Berlin, l’altro con un bel ‘Tecnici Antifascisti’ su logo da centro sociale.
E lui, il regista guru, sprofondato in poltrona per alcuni momenti d’imbarazzo a testa bassa, quasi smarrito, immobile, a parte qualche movimento delle dita a mani quasi giunte, fin che poi timidamente ha deciso di alzarsi e scendere un attimo verso la tenda per scambiare una parola con la sua protagonista…
Alla fine tutto è ripartito, il logo Epson sul grande schermo segnala che il sistema é stato riavviato, poi il film viene riportato al punto giusto, ed esce il cartello che segnala la parte finale. Ursina è subito pronta, giusto con il sorriso un po’ tirato e, da par suo, riprende il filo come se niente fosse.
Certo l’effetto drammatico finale s’è un po' perso, tal quale lo sguardo della Lardi poco dopo, al giro d’applausi, quando cerca il posto dov’era seduto Rau, come se non sapesse o non ricordasse bene qual era, e poi, con un sorriso ‘fraterno’ quasi da Genesi IV.9, fa sfilare accanto a lei il regista in tuta da metalmeccanico per un battimani.
Questa la cronaca dei fatti, cui seguirà la versione di Lardi alla cerimonia della consegna del Leone d’Argento sabato 14 giugno, anche se non si può certo contare che si sbottoni davvero.
Per il resto ci sarà da riflettere e da discutere tanto sulle considerazioni ulteriori relative a questo pseudo-Filottete a Mosul del regista più produttivo e riverito d’Europa, già pronto per mandare in scena altri due-tre nuovi spettacoli, tra cui l’inevitabile tragedia-shock, una sorta di lettura del processo Pelicot sulle violenze inflitte alla povera signora Giséle dal marito seviziatore e da un gruppo consistente di uomini complici.
Giusto per accenni, dopo la prima veneziana di ‘The Seer’ sul taccuino del cronista restano gli appunti sui complimenti degli appassionati con una gamma di distinguo che vanno dal semplice: ‘Beh, 'Medea’s Children' era molto più indovinato, ma per me Rau è sempre il numero uno’; al brusco: ‘forse Milo adesso è un po’ troppo compiaciuto di sé’; all’immancabile ‘per carità, parliamo sempre di un regista-militante degno d’ammirazione’.
Sull’interprete il coro degli affettuosi: ‘lei, Ursina, è sempre fantastica e unica’, ‘accidenti quant’è brava’ e ‘come se l’è cavata alla grande nonostante gli intoppi’. Sottovoce qualcuno ha mormorato: ‘forse stavolta, costretta a un triplo cambio di personaggio, perde un po’ di naturalezza, soprattutto quando si deve calare nella parte della fotografa’.
Tornando indietro, al fatal finale del cosiddetto Talk, Rau ha avuto un altro momento strappa-sorriso, quando ha raccontato il sogno che ha fatto alla tormentata vigilia di ‘Antigone in Amazzonia’, con il nonno morto da tanti anni che gli è ricomparso davanti per tranquillizzarlo: ‘Non ti preoccupare, Milo: guarda che la prima c’è già stata, ed è filato tutto liscio’.
Il regista ha rivelato di aver vissuto dei momenti di quasi disperazione per l’improvviso forfait di Sara, che doveva far parte dello spettacolo. Si riferiva all’attivista brasiliana Kay Sara, che infatti all’ultimo decise di non venire in Europa e salire sul palco, ma partecipò solo al film dell’Antigone.
Al momento, ovvero subito dopo l’auto-profezia di Rau sul rapporto con Ursina Lardi, qualche dramaholico miserello, equivocando su nome e cognome, s’è messo di nascosto a navigare alla ricerca di notizie su un’eventuale rottura del nostro Milo-guru con Sara De Bosschere, sua attrice di riferimento da tantissimi anni, di una bravura imbarazzante, tra le regine europee della sotto-recitazione, anche lei una che meriterebbe Leoni e altro.
La piccola parentesi sull’equivoco delle Sara solo per dire che, poi, un regista, pur grandissimo e riverito come geniale, sa bene quanto pesi sul risultato teatrale delle sue idee l’affinità con gli attori giusti, e anche da questo punto di vista Rau è sempre stato decisamente un maestro di primissimo ordine.
Per onor di cronaca, nella giornata non proprio felicissima del duo Lardi-Rau, pochi fortunati addetti ai lavori hanno avuto anche l’occasione di vedere un altro spettacolo del ciclo curato da Antonio Latella con gli studenti freschi d’Accademia d’Amico a Roma. S’intitolava ‘Grrrrr Grrrrr’, con cinque ‘erre’, cinque come gli attori che cominciano a muoversi in scena, mormorando e canticchiando per molti minuti.
Quasi tutti gli spettatori lo hanno considerato un lavoro molto piacevole e pure d’un certo interesse, di forma deliziosa e di contenuto non banale, considerando che il testo - quel poco di testo che qua e là faceva capolino - era farina del sacco degli stessi performer (Eva Cela, Andrea Dante Benazzo, Fabiola Leone, Irene Mantova, Riccardo Rampazzo, Daniele Valdemarin), e quindi bello schietto, ruspante, senza tanti arzigogoli.
Chiaramente si vede la mano di un regista di livello e di esperienza come Sebastian Nübling, che riesce a far sembrare dei professionisti navigati un pugno di ragazzi alle prime armi, grazie anche a un congegno teatrale fresco e intrigante.
Così, sempre per onor di cronaca, con il Nübling di ‘Grrrrr Grrrrr’ e 'Die Seherin' fanno 3 i gol segnati dalla Germania (in senso lato, del teatro di lingua tedesca) a un’edizione della Biennale Teatro che sulla carta era più dedicata all’America.
E ancora si cita, tra i tifosi del teatro-teatro, l’azione da rete più spettacolare della piccola squadra di Thomas Ostermeir, ovvero i due attori Jörg Hartmann e Anna Schudt, impegnati a gestirsi da soli ventitré ruoli diversi per ‘changes’, un testo della drammaturga Maja Zade. Tutti di casa Schaubühne Berlino.