Il dramma del drammaturgo che sale in taxi per andare a teatro fuori orario e deve rispondere alla domanda: ma che lavoro fa?
10.12.2024
Diario veneziano, 'I feel I'm...' Leone d'Argento
Trentacinque aggettivi in una trentina di righe di discorso, con l’aggiunta di un pugno di avverbi, scandiscono la motivazione dei direttori ricci/forte per conferire a Samira Elagoz il Leone d’Argento della Biennale Teatro 2022: “sperimentando il proprio percorso gender in mutazione come bacchetta rabdomantica” (…) “offre un marchio unico di performance-reportage, di multimedia-happening, di docu-fiction”, con “voce inconfondibile”, “lasciando una scia fluorescente in quello che saranno i codici e il linguaggio teatrale di domani”. Se lo dicono loro, che azzeccano comunque quel che resta al pubblico dopo aver visto “Seek bromance”, e cioè “una visione più ampia in termini di accoglienza dell’Altro”, ovvero quel che, in effetti, si percepiva a fine spettacolo tra gli applausi, metà molto convinti metà un filo compassionevoli.
Il titolo “Seek bromance” (brother+romance) in una fiction televisiva italiana sarebbe: “Cercando una storia d’amore e fratellanza”. A una prima impressione si poteva anche intitolare: “I feel I’m…”, che è forse l’espressione più ricorrente, seguito da un’esitazione a specificare che più significativa di così è difficile immaginare. Si mette in gioco completamente, nei vari blocchi del filmato che presenta seduto (con la o) a lato del palco in poltrona, Samira, un vero (con la o) artista totale del mondo post-digitale: ora che è diventato Raz regge il maschile mentre per il suo compagno di racconto Cade Moga, che ha deciso di fermarsi nella transizione di genere e di non presentarsi in scena, i titoli di coda reclamano la terza persona o il canonico schwa, la ‘e’ rovesciata.
In tema di fluidi ne scorrono anche parecchi, testosterone e urine e persino il sangue di Samira che il compagno poi beve in una sorta di rituale nel deserto, in favore di camera o smartphone, come tutta la storia. Tra i meno giovani che hanno resistito in sala, dalla solita fila E si notano: due donne vicine che platealmente si voltano di lato o si coprono gli occhi alla vista delle scene ‘blood splatter’ con iniezioni o tagli; una coppia borghese che sbadiglia e parlotta; un’addetta ai lavori che si lascia sfuggire un ‘nooo, ancora?!’ quando ricomincia la storia con il controfinale; un’altra cisgender che è di casa a teatro, se ne va dopo l’intervallo evitando di pronunciarsi: “Sono una boomer, meglio chiedere ai ragazzi di oggi”. E dunque? “Non ci vedo né teatro né cinema, casomai la presentazione di un percorso umano”, chiosa all’uscita una giovane spettatrice con il fidanzato. Sarà una femminista radicale?
Nel lungo racconto ambientato, come una bolla nella bolla, in pieno lockdown, volendo c’è pochissimo sesso vissuto, forse solo una scena, quando Cade si masturba. Non è certo un problema di pudore, credete sulla fiducia, ché l’eventuale ricostruzione cronistica sarebbe da voyeur. E’ una scelta dichiarata, quella di non mostrare i momenti dell’intimità di coppia su cui pure Samira, che ha studiato coreografia, imbastisce un balletto con Cade. Forse la separazione qui ha giocato la sua parte, chi lo sa, in ogni caso la versione è solo una, quella che ci arriva nell’auto-fiction di Elagoz. Cade si mostra sempre più distaccato, si lascia scappare un “forse ho forzato troppo” al termine di una scena chiave, ammette “non stiamo creando nessun fatto”.
Un altro piccolo inutile dubbio del dopo: il completino modaiolo che ha sfoggiato per l’occasione Stefano Ricci, in pantaloni al ginocchio e giacca, era un pink pallido o il cosiddetto rosa antico?