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Addio ai riti Jarê, torna la nostra triste pseudo-tranche mediatica

Gavin Evans per 'Lazarus' di David Bowie

 E poi vaglielo a spiegare, aldilà della barriera della lingua, quello che succederà adesso, qui al Piccolo Teatro di Milano, a quei tre-quattro brasiliani che hanno assistito entusiasti, in prima fila, all’ultima replica delle tre serate durante le quali è stato programmato ‘Depois do silêncio’. Una bella sfida di teatro documentario militante che l’interlocutore dramaholico rivede ben volentieri, anche solo per la puntuale sotto-titolazione in italiano, a pochi mesi dall’incursione suggestiva per la prima al Centquatre Théâtre, che con l'Odeon è da anni la casa di Christiane Jatahy a Parigi.

 Questi gentili signori sbarcati a Milano da Rio de Janeiro, probabilmente amici o parenti dell’attrice Juliana França che li ha salutati con un sorriso complice entrando in scena, sono curiosi di sapere dai fortunati spettatori di casa quali altre rappresentazioni si potranno godere, di altrettanto valore civile e politico, magari pure di un livello artistico pari alle intriganti narrazioni insieme multimediali e naturalistiche di Jatahy, pluripremiata e acclamata regista e autrice.

 Non hanno mai guardato la tv e i giornali italiani, questi occasionali amici di applausi latinoamericani. E quindi si fa una certa fatica a spiegarsi, ma basta scomodare il nome pop di David Bowie, per presentare ‘Lazarus’, il musical che a breve riempirà il grande Piccolo Teatro Strehler, e vede in scena, direttamente da ‘X Factor’ di SkyUno, ma attraverso Emilia Romagna Teatro, Manuel Agnelli con Casadilegno.

Ci sarebbe da imbastire anche una presentazione volante per introdurre i compagni brasiliani al recital, che riporterà, dal 23 maggio qui al Teatro Studio Melato, l’autore-professore-colonna del Piccolo Teatro Stefano Massini, che da qualche anno si diletta performer narratore di ’Storie’, ovvero una sorta di traduzione autoriale dal vivo, con Jannacci jr al piano e Moretto alla tromba, dell’editoriale da ‘Piazza Pulita’ di Corrado Formigli su La7 o dal quotidiano ‘La Repubblica’.

 Per carità di patria è meglio sorvolare sulle differenze di programmazione tra i più importanti teatri pubblici italiani e francesi, finanziati in misura più o meno equivalente, e si deve tacere pure del ‘sold out’ calato da giorni su questi due prossimi appuntamenti con le celebrità tele-social-mediatiche: così anche solo da evitare che magari ne riferiscano a Juliana e lei abbia motivo di rattristarsene, con i suoi bravissimi colleghi orgogliosamente afro-brasiliani di culto Jarê, Gal Pereira, Caju Bezerra e l’etno-musicista Aduni Guedes, ché anche a Milano hanno richiamato un buon pubblico ma non certo da sedute stipate persino in fondo alla galleria.

 Ecco, poi uno spettatore tardo-illuminista s’interroga su quanto sia radicale la svolta di Christiane Jatahy alla riscoperta del suo Brasile e delle sue radici profonde, e quindi pure su quali prossimi lavori ci si può attendere, ora che è artista associata anche al Piccolo.

E' facile lasciarsi magari andare a un pizzico di nostalgia per quegli spettacoli che hanno fatto nascere una piccola congregazione di 'jatayisti' professanti anche in Italia, forse perché restavano in qualche modo più immersi nella nostra cultura, con la sfida alle ‘Tre sorelle’ cechoviane e persino alla ‘Signorina Julia’ di Strindberg, per non dire degli archetipi omerici così ben maneggiati, come si è visto anche all'ultima Biennale Teatro di Venezia. 

 Alla fin fine, di questo anticolonialista e anticapitalista ‘Depois do silêncio’, sembra ogni volta più dura da digerire soprattutto la lezione politico-culturale, con l'esaltazione del ritorno all’Alterità originaria animistica dei giovani figli delle popolazioni vittime dell’interminabile schiavismo agricolo nel NordEst del Brasile. Ma, salutando i nuovi amici brasiliani a Milano, che anche volendo non potrebbero nemmeno trovare i biglietti per Agnelli-Bowie o Massini aut-attore, sorge spontaneo un dubbio.

Siamo poi così sicuri che gli sciamani e gli spiriti capricciosi e gli stati di tranche da riti ancestrali, siano peggio di questo nostro sfibrato e ben poco misterico Jarê social-mediatico? 

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