Un fine settimana nella cava dei pescatori, e poi la rivolta dei sordi: dopo C e B, riprende a Milano anche la Zona KBL
09.10.2024
E' sempre una questione di stile, anche a teatro: che cosa ricordare della Biennale 2024
L'ALTEZZA DAVVERO REALE DI BRUCE
*La sua statura artistica va di pari passo con quella fisica: e soprattutto sembra svettare moralmente una spanna sopra la media degli spocchiosi teatranti di successo, l’altissimo Bruce Gladwin.
Da 25 anni raffinato regista e direttore della compagnia più premiata di diversamente abili, gli australiani di Back to Back Theatre, ha lasciato spazio ai suoi attori anche nella commevente e insolita cerimonia di consegna del Leone d’Oro a Ca' Giustinian e nell’intervista a seguire.
Non si è fatto notare nemmeno come spettatore alla rappresentazione domenicale di ‘Medea’s Children’, che Bruce ha seguito seduto in terza fila, in pantaloncini corti e camicetta bianca con le Birkenstock ai piedi.
Se ne è restato acquattato in poltrona anche mentre intorno partiva la standing-ovation. E si è limitato a qualche timido applauso, scandito lentamente, a braccia strette sui fianchi, con la mano destra rovesciata. Magari Gladwin fa sempre così, stile dirigente del comitato centrale sovietico, oppure è stato uno dei pochi a cui non è così piaciuto lo spettacolo?
QUANDO SI DICE UN BRAVO MAESTRO
*Quante soddisfazioni veneziane anche per Peter Seynaeve, l’attore e formatore di grande mestiere che guida la pattuglia dei ragazzini di 'Medea's Children', ovvero quello che i giornali belgi hanno definito 'l'insopportabile capolavoro' di Milo Rau.
Seynaeve - che era già stato in scena anche per Rau fin dal suo primo spettacolo per NTGent, ‘Five Easy Pieces’, collaborando poi a ‘Familie’ e ‘Grief and Beauty’ - ha portato a casa due seratone alle Tese dell’Arsenale, con un successo strepitoso.
Non sembra che abbia mai avuto particolari problemi nella gestione dei ragazzi, a parte dover affrontare con più calma del solito, andando fuori copione, il momento d’inevitabile smarrimento emotivo di Helena, che interpreta la mamma omicida nell’orribile scena clou.
Sembrava molto soddisfatto, l’amorevole Peter, anche quando ha affrontato da solo il buonissimo tiramisù artigianale che chiudeva il buffet alla festa di fine Biennale.
E la mattina dopo, in un albergo di fronte alla fermata San Zaccaria dei vaporetti, è sceso presto a colazione per salutare di nuovo con calma i suoi piccoli allievi-colleghi, che pure erano ovviamente accompagnati dai genitori e ripartivano verso casa…
UN NUOVO PRESIDENTE DA STUDIARE
*Atteso alla sfida della sua prima Biennale Teatro da Presidente, Pietrangelo Buttafuoco non ha fatto una piega dinanzi a un programma di segno spiccatamente internazionalista sul filo rosso dell’inclusività. Altro che la ‘contro-egemonia’ che persegue il ministro Gennaro Sangiuliano, sembrava un cartellone più consonante alle idee di Elly Schlein, e il Presidente ha reagito proprio come se ‘non l’avesse visto arrivare’.
Ha messo il suo sigillo con un discorso di presentazione alato, arricchito dagli inevitabili riferimenti culturali adelphiani, dichiarando l’adesione convinta all’intento di apertura al mondo che è lo spirito storico dell’istituzione veneziana.
E, non a caso, nella nota d’apertura del catalogo del teatro ha concluso evocando precisamente l’evento della prima edizione del 1934, ‘Il Mercante di Venezia’ diretto da Max Reinhardt.
Prima di passare al commento esoterico-cult sui numeri e i cieli che chiude la nota (vedi oltre), bisogna ricordare un dettaglio non da poco: Reinhardt, straordinario regista di origini ebraiche, nel 1933 aveva lasciato polemicamente la capitale della Germania nazista, dove da inizio secolo era diventato ormai il personaggio più di spicco nel mondo dei teatri. Si era rifugiato nella natia Austria, salvo poi scappare anche da lì per emigrare negli Stati Uniti.
In seguito, nonostante alla Biennale Teatro avessero ancora inserito in programma suoi spettacoli, arrivò formalmente da Roma una disposizione della censura del regime fascista per sancire la messa al bando del nome di Reinhardt come personalità d’origine ‘giudaica’ e noto agitatore anti-hitleriano.
Buttafuoco si è poi presentato diligentemente a vedere e applaudire i tanti spettacoli clou, cortese e impenetrabile: quali scelte del programma gli saranno davvero piaciute? Rideva di gusto per le irriverenti sortite queer di ‘Elektra Unbound’ della nuova sorpresa di Gent, Luanda Casella, o sorrideva giusto per compiacere le due entusiaste vicine di poltrona?
Alla cerimonia dei Leoni d’Oro, infine, ha fatto persino un po’ il ‘care-giver’ aiutando a salire sul palco i soggetti più problematici con la mobilità dei Back to Back. E poco dopo, senza battere ciglio ha incassato da uno di loro l’affermazione: ‘in Italia siete molto progressisti’.
La citazione
…le foto d’epoca ci raccontano di un esordio memorabile (di Biennale Teatro) con Il mercante di Venezia diretto da Max Reinhardt, messo in scena in Campo San Trovaso. La città a fare scenografia di se stessa, e i cittadini mutati in spettatori sotto il cielo di Venezia.
Ai numeri e ai cieli – dove questi si specchiano – bisogna credere, sempre.
E' FORTE QUEL DOLCE BAMBINO
*I direttori artistici Stefano Ricci e Gianni Forte hanno concluso il mandato portando a casa un’altra Biennale che presentava più di uno spettacolo d’alto livello, come al solito soprattutto grazie alle ospitalità internazionali.
In attesa di conoscere i nomi che Buttafuoco vorrà mettere in campo per Danza e Teatro, entrambe al rinnovo, non ci sono particolari indiscrezioni. Per ora il nuovo Presidente ha convinto molti a Venezia, con il suo comportamento signorile e neutrale, che ‘volerà comunque alto’. Forse l’Italia dei Fratelli non s’è ancora desta.
I due direttori uscenti si faranno rimpiangere di certo anche per la smania di aggettivazioni enfatiche. Quest’ultima edizione ‘Niger et Albus’ è stata presentata come ‘esperienza di un’audace portata etico-politica e di un’estetica mozzafiato, che esplora mondi sconosciuti, condividendo sogni utopici ed emozioni profonde’.
Tirate il fiato, perché si continua così: ‘Con le loro creazioni, la ricerca esplorativa e uno sguardo corrosivo al periodo attuale, una line-up di straordinari artisti poetico-visionari si mobiliterà per risvegliare le coscienze e delineare i contorni di un futuro più desiderabile, squarciare universi inesplorati squassando il nostro orizzonte di routinaria attesa, stupendoci con performance indimenticabili, offrendo un biglietto di A/R per un altrove trasversale’.
Entrati ricci/forte e usciti da separati in casa hanno mantenuto fino all’ultimo un profilo molto diverso, opposto, con Ricci nei panni del duro di carattere, che resta come a un passo da terra, protetto da assistenti e chiuso negli accurati look da ‘Vogue Uomo’.
Da selva di applausi del genere di quelli che fa sempre partire lui, il tenero Forte ha voluto dire addio a Venezia con un dolcissima immagine familiare. Campeggia alla fine delle introduzioni - pagina 32! - del voluminoso nuovo catalogo (firmato da uno studio grafico milanese in gran spolvero, Tomo Tomo): si vede un bel tipo d’italiano anni Cinquanta con lo sguardo deciso che tiene in braccio un bambino tranquillo e pensieroso, in un’assolata giornata estiva, forse proprio in un campiello veneziano.
E' poi appunto lo stesso Gianni Forte ritratto a due-tre anni, quel bimbo con Badonno (babbo Madonno) in canottiera, ma lo si può evincere solo scorrendo i crediti delle foto, infrattati a pag.376. Super.
CHE BELLO, E' FUORI TRADUZIONE
*La caratura internazionale anche di quest’ultima biennale sottolineata dai Leoni, andati appunto agli australiani Back to Back e, per l’argento, al raffinato collettivo anglo-berlinese Gob Squad. Del resto, l’unico italiano premiato nella serie mondialista di Ricci e Forte, è stato Armando Punzo con la Compagnia della Fortezza di Volterra nel ’23.
Naturalmente, e non solo a Venezia, uno dei problemi più delicati è quello delle traduzioni italiane in sovrimpressione degli spettacoli internazionali, particolarmente impegnative quando si tratta di teatro di parola molto di parola, e magari pure in slang, come capitò nel ’22 con la riproposta di ‘Broke House’ di Caden Manson con Big Art Group, una sorta di sovvertimento in chiave queer del linguaggio da reality, davvero difficile da decifrare e seguire.
Anche quest’anno hanno avuto da sudare le regolari belle sette camicie i traduttori ingaggiati da Biennale, Matilde Vigna (è anche attrice di una certa notorietà) ed Edward Fortes (pur nato a Londra, è uno specialista di traduzioni dal francese e dallo spagnolo, nonché dall’italiano in altre lingue).
Ovviamente il traduttore lavora sul testo ufficiale che viene inviato dalla produzione originale, e non è detto che poi gli attori si attengano pedissequamente ogni volta al copione. Nemmeno nel caso di spettacoli scritti già in inglese, seppure provenienti da Paesi dove s’impiegano altre lingue, come capita spesso in Europa.
Per esempio, la seconda rappresentazione di ‘Medea’s Children’ è andata un po’ per conto proprio rispetto ai sottotitoli, come era prevedibile dato il taglio della costruzione che muove da un finto talk post-spettacolo e l’impiego di una compagnia di giovanissimi fiamminghi.
Come ha ricordato l’inarrivabile Gladwin alla Cerimonia di premiazione, a teatro sono però proprio gli imprevisti e gli errori che offrono nuove opportunità.