

La splendente Dance Lyon bis del portoghese Tiago Guedes insegna che aggirare i tagli politici e le censure è possibile
22.09.2025
Non si può proprio dire che la ‘grandeur’ alla lionese vada considerata ormai fuori luogo, fondata su una mitologia pur contemporanea ma in qualche modo sorpassata, come la Nouvelle cuisine di Paul Bocouse. Per quanto riguarda la cultura e lo spettacolo, invece non c’è dubbio che la nuova edizione della Biennal de la Dance Lyon, vantata come ‘la migliore manifestazione al mondo’ di questa disciplina teatrale così viva, si sia presentata al livello di eccellenza delle precedenti, con il consueto carico di novità e varietà.
Chiamato al bis della sua prima fortunata esperienza di curatore, il portoghese Tiago Guedes ha potuto infatti sfornare dal 6 settembre del 2025 un programma ancora più personale, forte della contemporanea direzione, dall’autunno del 2022, del grande teatro e centro di produzione La Maison de la Dance, ovvero anche di un maggiore radicamento operativo nell’articolata e notevole scena francese dei Centri Coreografici Nazionali (CCN) pubblici.
La chiave delle scelte di Guedes si può riassumere, con la massima semplicità, in tre idee forti che s’intravedono nettamente: la danza, la danza e la danza. Riesce ad apparire disarmante persino nelle intenzioni programmatiche: ‘Piuttosto che seguire una tematica precisa, ho voluto rispecchiare la diversità delle estetiche e delle rappresentazioni’, ha dichiarato Guedes nell’intervista ufficiale a ‘La Terrasse’, il più diffuso giornale ‘des arts vivants’ in Francia, che viene distribuito gratuitamente davanti ai teatri.
Persino il grande ‘défilé’ pubblico e partecipato per le strade della città, che apre tradizionalmente la manifestazione e quest’anno portava il titolo di ‘Danses recyclées’, è stato pensato con questa visione per così integralista della danza: seguiva il filo rosso di ‘come trasformare i balli popolari e tradizionali in sfilate coreografiche’.
Succeduto a Dominique Hervieu, che lasciava il festival per andare a dirigere il programma culturale delle Olimpiadi 2024, Guedes era già noto non solo come coreografo ma anche come organizzatore, avendo diretto il Teatro comunale di Porto e il festival Dias da Dança, dove si era concretizzato già un notevole incrocio di proposte tra Francia e Portogallo.
La doppia nomina a Lione, per La Maison e la Biennale, fu annunciata - abbastanza a sorpresa, perché escludeva un candidato forte francese - nel pieno del primo assalto politico allo spettacolo, con la maggioranza politica di destra alla guida della regione Auvergne-Rhône-Alpes (dove la Biennale Dance s’estende capillarmente, con un programma che occupa ancora tre settimane oltre le classiche tre della manifestazione centrale) impegnata in tagli selvaggi alla cultura. Così oggi, dopo l’ulteriore dura stretta operata dal ministro macroniano della Cultura Rachida Dati, è come se Guedes si fosse già ben mitridatizzato.
Prima ancora di entrare nel merito della proposta artistica del festival, che peraltro si conclude il 28 settembre, bisogna proprio sottolineare la validissima reazione in positivo ai tagli e al clima politico tutt’altro che facile. Invece degli strepiti vittimistici all’italiana, ecco la puntuale ricerca di un’ottimizzazione operativa che aggiri in qualche modo l’ostacolo economico improvviso. E dunque Biennale de la Dance Lyon ha intensificato le collaborazioni, in primo luogo con la ricca scena francese e poi con alcune manifestazioni non concorrenti come Oriente Occidente di Rovereto (dove sono passati in anteprima tre spettacoli di punta). Lione ha pure stretto un’inedita alleanza con il Festival d’Automne de Paris, vera e propria manifestazione-kolossal che si tiene nella capitale dal 1972, e presenta un centinaio di spettacoli, da settembre a dicembre, registrando circa 250mila presenze.
Guedes, poi, di suo ha due volte aguzzato l’ingegno, in quest’ultima Biennale, sdoppiando con una serie davvero notevole di presentazioni, dibattiti e seminari la parte propriamente culturale, parlata, sui temi caldi più frequentati dagli artisti in tutto il mondo (ecologia, questioni di genere, post-colonialismo) e puntando per gli spettacoli-novità soprattutto sulla forza specifica degli artisti associati alla sua stessa Maison de la Danse, che avevo peraltro scelto con uno sguardo internazionale d’alto livello. Il risultato naturalmente s’è visto subito anche con il tutto esaurito, le code ai botteghini per gli ultimi posti in strapuntino, gli applausi scroscianti ad alcuni personaggi che gli appassionati lionesi hanno imparato a conoscere e adottare come ‘divi’ di casa.
Così, se Guedes fino a ieri si poteva considerare il Tiago II delle rassegne di Francia - arrivato dopo che il suo omonimo conterraneo Rodrigues, regista e già direttore del Teatro nazionale di Lisbona, aveva preso possesso del Festival d’Avignon -, forse oggi sul campo a Lione, anche per via di una sorta di normalizzazione che si poteva notare all’ultimo Avignone, si è guadagnato il rango di numero uno.
Del resto, prendendo in esame anche solo la settimana centrale di Danse Lyon, che cosa si potrà mai rimproverare a un coreografo-manager in grado di dare spazio alle diversità radicali, rispetto alle sue stesse proposte, di un mito del teatro-danza di strada come la settantenne brasiliana Lia Rodrigues piuttosto che alla strepitosa sfrontatezza del post-barocco di Francois Chaignaud o al ginnico post-drammatico del belga Jan Martens?
E se alla sua prima Biennale, l’evento era arrivato da ovest, con l’indimenticabile edizione alle ex fabbrica Fagor di ‘Liberté Cathédrale’ di Boris Charmatz per Wuppertal-Pina Bausch e Terrain, quest’anno la proposta più innovativa è stata portata in scena negli enormi capannoni de Les Grandes Locos da Marco da Silva Ferreira, un ex sportivo improvvisatosi danseur in età matura, allievo di Hofesh Schechter e dello stesso Guedes, che lo ha chiamato dal Portogallo a entrare nella scuderia degli artisti associati lionesi.
Prima di guardare bene nel merito tanti spettacoli d’alto livello di quest’ultima edizione di Dance Lyon, si può già comunque tirare le somme confermando che la varietà della proposte era davvero molto ampia, con un’attenzione specifica alla danza che è parsa appunto ricomprendere qualunque linguaggio, toccando veri e propri estremi, dall’estremo pudore religioso del solo ‘Orage’ di Dalila Belaza all’allegra sfrontatezza da operetta queer di ‘Último Helecho’ di Nina Laisné e Nadia Larcher con Chaignaud, dalla perfezione quasi intellettualistica di Christian Rizzo alla fantastica forza d’impatto dei ragazzi di ‘F*cking Future’ di da Silva Ferreira, con quell’ammaliante mix di hip hop, techno, clubbing e protesta militante.
S’aggiunga che la manifestazione lionese conta su una collaudata macchina organizzativa, pressoché perfetta in ogni settore, caratterizzata da una cordialità e una duttilità davvero encomiabili, frutto appunto di una stretta alleanza con i lavoratori dello spettacolo, i cui rappresentanti sono stati lasciati salire più volte sui palcoscenici prima delle rappresentazioni per manifestare l’adesione alle grandi agitazioni sindacali. La stessa libertà è stata poi ovviamente garantita agli artisti, il che ha prodotto, per esempio, numerosi rientri con kefiah al collo per gli applausi pro-Gaza, nonché altre letture di comunicati di solidarietà (indimenticabile l’uscita guidata della percussionista argentina di Nadia Larcher all’Opera, con tutto il cast schierato sul palco, a sipario chiuso, con gli artisti ancora in vestaglia, la regista coi cagnolini in borsa…). Il che ha aggiunto quel pizzico di sale sulla ferita che si meritano le Dati di turno.
P.S.: A PROPOSITO DI LEZIONI FRANCESI
Da Parigi si può sempre imparare anche lo stile vincente e partecipato delle riprese autunnali, per esempio del Théâtre de la Ville già in piena programmazione, con lo speciale internazionale quest’anno dedicato al Brasile ma anche con la nuova danza al gemello Théâtre des Abbesses in Montmartre. E, poi, assistere a una qualunque serata del Festival des Places che il de la Ville organizza per l'estate indiana nei vari quartieri parigini, come poteva capitare all'appassionato di passaggio per Belleville la sera del 21 settembre, conferma il radicamento del teatro nella città: in place de Fetes, in mezzo ai palazzoni, era pieno di gente d'ogni generazione e razza, che danzava felice al ritmo folk occitano de Le Mange bal. Super!