'Sta minga a rognà, appassionato milanese, se questa settimana ci sono troppi appuntamenti da non perdere
09.11.2024
Peter Stein, il suo amico Pinter, il mondo di ieri e le olive umbre
Ci sono almeno tre buoni motivi per sobbarcarsi 100 minuti di tensione e minaccia, apparentemente oscuri e senza una spiegazione logica, in attesa di un possibile epilogo, di altri 30 minuti, nel terzo atto, dopo appena 15 minuti d’intervallo: la prima risposta è per così dire d’importanza storica, si tratta di un’edizione fedele del secondo testo di Harold Pinter, ‘Il compleanno’, ovvero di un capolavoro del teatro del dopoguerra (1958) firmato da un drammaturgo inglese il cui stile si è meritato addirittura di diventare un aggettivo, ‘pinteriano’ appunto, e i cui modelli sono stati Kafka, Joyce, Dostoevsckij, Hemingway e in particolare anche Samuel Beckett. La seconda risposta è che parliamo di una regia, quasi sicuramente l’ultima, di un grande maestro come Peter Stein, che a 84 anni si è dedicato ad allestire quest’importante produzione che il Teatro Menotti di Milano presenta dal 27 ottobre al 13 novembre, e poi porta in tournée. Ma se ancora siete tentati da un classico ‘no grazie, preferisco di no’, ostinato, alla Bartleby, magari perché giustamente trovate così distante quel clima culturale degli anni Sessanta e Settanta di cui Pinter e Stein sono stati protagonisti di prim’ordine…Tenete presente (terzo ma non ultimo dei tre buoni motivi) che ‘Il compleanno’ si presenta con un continuo fuoco d’artificio di trucchi teatrali e di spunti tutti da ridere. La seconda opera di Pinter, insomma, si regge su un equilibrio davvero insolito tra la comicità e la tragedia che incombe su di un uomo in fuga, forse un pianista, che viene trascinato alla follia dagli scherani di un potere oscuro che lo inseguono. Stein, che era stato invitato dagli attori stessi a dirigerli in un classico ‘Tradimenti’, ha scelto invece di chiudere con ‘The Birthday party’ proprio perché è una sorta di autentico distillato originale di quello che poi sarà qualificato come ‘commedia della minaccia’.
E qui verrebbe da aggiungere un semplice: ‘se lo dice lui…’. Se non fosse che andrebbe articolato in almeno altri tre buoni motivi per non perdere questo nuovo integrale ‘Il compleanno’ di Pinter allestito da Stein. Primo: ‘la sua è una regia al servizio della parola’, come ha spiegato elegantemente l’attrice Maddalena Crippa, che è poi anche la signora Stein, e quindi si potrà finalmente conoscere da vicino ‘questo testo molto rischioso, scritto con così tante e continue invenzioni, con un vero e proprio profluvio di giochi di parola e di situazione a primi vista superflui, che è perciò una struttura molto moderna, simile a quello che oggi definiremmo un patchwork e insieme anche attraversata da ripetuti leit-motiv’, stando alle parole dello stesso Stein. Secondo: quando parla di Pinter, questo regista post-brechtiano dalla carriera che non basta una voce nelle enciclopedie, non si riferisce a un oggetto di studio remoto ma a un suo collega di nemmeno una generazione più giovane, con il quale ha avuto consuetudine e di cui oggi ricorda modestamente: ‘non dico nemmeno del rispetto che avevo io nei suoi confronti, quel che un po’ m’imbarazza ancora è che Pinter aveva persino una stima eccessiva del mio lavoro’.
Solo questo basterebbe a raccontarci la bellezza unica e straordinaria del teatro, che è qualcosa di artistico che si consuma lì per lì, ogni sera, e che tra le tante vede pure le sere in cui a Londra Harold Pinter va a sedersi in poltrona per applaudire uno spettacolo del collettivo berlinese fondato da Stein, Schaubühne am Halleschen, e poi si presenta nei camerini per conoscerli e uscire con loro. Del resto, Pinter stesso, che è stato autore prolifico ma anche attore e poi pure regista, era animatore di una Londra teatrale che una sera d’inverno un viaggiatore poteva trovare riunita al pub, pinte alla mano, a discutere di teatro e letteratura, magari sul controverso De Sade, come successe nel ’64, dove nel gruppo si distinguevano: Samuel Beckett, amico e punto di riferimento di Pinter, che era in trasferta per seguire un allestimento del suo ‘Finale di Partita’; l’americano Edward Albee, di passaggio per la prima europea del suo ‘Chi ha paura di Virginia Woolf?’; il grande attore Patrick Magee che stava provando con Peter Brook il ‘Marat/Sade’ di Weiss al Royal Shakespeare…
Se lo dice Stein, dunque, che ‘Il Compleanno’ è uno dei capolavori teatrali ‘pinteriani’, parla con cognizione di causa perché, come abbiamo detto, Stein è un regista che lavora sul testo e il testo è di un autore che ha conosciuto bene e frequentato. Infine, come dice ancora Stein, ‘Pinter è stato sempre molto impegnato sul piano politico ed era un teatrante totale: quindi non serve esplicitare, come si userebbe fare oggi, i riferimenti all’attualità, ché sono già tutti presenti in un’ allegoria dove il protagonista finisce sospinto verso la follia - come le minoranze vengono marginalizzate e criminalizzate - e il potere persegue come scopo soltanto l’omologazione degli individui’. Per non dire, ragiona ancora Stein, che tutta la costruzione oscura e ridondante di questo Pinter del 1958, oggi più che mai, ci parla dell’effetto inevitabile dell’eccesso d’informazione, che rende più fitta e stratifica la nebulosità. Ah, come sarebbe bello perdersi a parlare per ore con questo grande vecchio, ma lui forse non ha più voglia di spiegare e discutere, ammette di sentire ormai troppo i segni del tempo, di dimenticare tanti nomi soprattutto, ma non solo per questo considera di non avere tanto futuro nel teatro di oggi: ‘non c’è grande spazio per chi non si fa le pippe e non ha visioni da presentare nel teatro troppo perfomativo di oggi che spesso rischia di far sparire il testo originale’. Sic.
Per preparare quest’ultimo spettacolo Peter Stein ha voluto costruire ‘la comunità umana’ che è alla base di ogni spettacolo, chiudendo per mesi la compagnia nella sua casa sulle colline umbre, in una sorta di campo di concentramento, con tanto di capannone dove si è costruito addirittura un teatro, perfetto ‘perché è spoglio di ogni elemento teatrale, anche la luce è solo quella naturale del giorno e quindi ci si può concentrare davvero a lavorare sul testo’. Ma di lavori che gli piacciono in fondo, leggiamo nel suo sguardo malinconico, ne ha ormai trovato un altro: forse quel che interessa davvero oggi a Stein non è più ruggire davanti al palcoscenico o scrutare le reazioni del pubblico o leggere le critiche. A dire il vero, sembra che non veda l’ora di lasciare a Milano il suo lavoro, anche se manca appena un giorno al debutto, e di correre a casa a prendersi cura di persona dei suoi olivi, e ad esercitare più concretamente la sua capacità di discernimento nella raccolta delle olive.