

Anche dalle 'Colline come elefanti bianchi' si possono vedere le sfide e le difficoltà dell'Età Sospesa
03.07.2025
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L’abbinamento con i Bagni Misteriosi consente al Teatro Franco Parenti di offrire una sorta di post-stagione tutta particolare: con 5 euro in più sul biglietto teatrale è possibile anche entrare a fare un bel bagno in piscina.
Così qualche pattuglia di spettatori avvertiti ha potuto recuperare, in Sala Blu, la pièce ’Colline come elefanti bianchi’, tratta da un racconto breve di Ernest Hemingway considerato una gemma della narrativa ‘minimalista’ e semplicemente ‘dichiarativa’ dello scrittore americano premio Nobel 1954.
Non è propriamente un’operazione facile, la traduzione teatrale di un testo citato spesso come proverbiale del ‘principio dell’iceberg’ con cui si proponeva di scrivere lo stesso Hemingway, lasciando cioè ‘sempre sommersi i sette ottavi di ogni parte visibile’.
Il tema stesso del confronto tra una ragazza e il suo fidanzato, seduti in un bar alla stazione mentre aspettano il treno, non è mai esplicitato dal narratore ma dopo poco s’intuisce in tutta la sua drammaticità.
(...) « È davvero un'operazione semplicissima, Jig» disse l'uomo. «Veramente non la si può neanche chiamare un'operazione.»
La ragazza guardò il terreno sul quale poggiavano le gambe del tavolo.
«So che non ci faresti neanche caso, Jig. È una cosa da nulla, veramente. Serve solo a far passare l'aria.»
La ragazza non disse niente.
«Verrò con te e starò sempre con te. Fanno solo entrare l'aria e poi è tutto perfettamente naturale.»
«E cosa faremo, dopo?»
«Staremo benissimo, dopo. Come stavamo prima.»
«Cosa te lo fa credere?»
«È l'unica cosa che ci preoccupa. È l'unica cosa che ci ha reso infelici.»
Varato nel contesto di una felice collaborazione del Parenti con l’Università di Milano, nel 2022, questo adattamento è firmato per la drammaturgia da un’appassionata ‘teatralista’ e docente di Estetica come Maddalena Mazzocut-Mis, che di recente si è impegnata al Pacta Salone dei Teatri nella rilettura del ‘Micromega’ di Voltaire e ancora al Parenti in una sperimentazione di ‘Julie’ da Strindberg in realtà virtuale.
Dopo la primissima stagione, la pièce ha preso forma come produzione del Centro Teatrale Bresciano (dove andrà in scena il 9 luglio, preceduto da un aperitivo letterario, all’Arena estiva del Teatro Borsoni) e de Gli incamminati, la storica compagnia di Giovanni Testori e Franco Branciaroli, che oggi è di casa al Teatro Oscar di Milano, che infatti ne ha ospitato qualche rappresentazione.
Tra l'altro, la locandina del Parenti ha riportato sin dalla prima rappresentazione, e ancora per questa recente ripresa, la dizione in corsivo: si ringrazia Luca Doninelli per il prezioso suggerimento. Scrittore di talento emerso già all’inizio degli anni Novanta, stimato dallo stesso Testori e considerato vicino a Comunione e liberazione, Doninelli da tempo guarda al teatro come a una seconda casa e si è unito a Giacomo Poretti e Gabriele Allevi nell’impegnativo rilancio di Oscar-Incamminati e ‘polo bianco’ - per così dire - del teatro borghese milanese.
’Colline come elefanti bianchi’, al pari di altre felici rappresentazioni viste quest'anno nella stessa Sala Blu, deve tantissimo alla forza dei giovani interpreti e all’equilibrio che raggiungono con grande bravura tra di loro, nei rispettivi ruoli.
Sono una Federica D’Angelo travolgente e travolta («Allora lo farò. Perché di me non m'importa nulla.» «Come sarebbe? » «Di me non m’importa nulla.»), a favore della quale giocano sicuramente anche la personalità e le origini siciliane, e un più misurato attore di scuola milanese, Matteo Bonanni, perfetto co-protagonista ‘freddo’, a tratti spalla di lei e a tratti anche un po’ suo carnefice.
Non a caso il regista Paolo Bignamini, che ha lavorato con Bonanni già in diverse occasioni, affida a lui quel tanto poco di movimentazione dei due elementi scenici, microfoni e fari, su cui si basa la sua sobria e ambiziosa messa in scena.
L’impresa vera e propria è quella di far vivere la ripetizione quasi ossessiva, come in un loop via via con sfumature più o meno drammatiche, delle poche misuratissime e allusive parole del racconto.
Con il risultato naturalmente di dividere tout court la platea in due posizioni, di chi apprezza e trova stimolante questo genere di linguaggio teatrale e di chi invece mal lo sopporta, essendo magari predisposto a un intrattenimento più tradizionale.
Del resto l'impegnativo tema sottostante, seppur solo aleggiante (1), è difficile da mandar giù. Così puntualmente - è quasi un po’ triste doverlo constatare - si sono lette anche voci critiche schierate dalla parte di chi si è detto ‘annoiato’, ma qui si dovrebbe entrare nella consueta polemica.
Prendendo il discorso molto alla larga, basti citare un nuovo esempio aulico di rarefazione teatrale, in questo caso con il fascino del post-realismo magico, ed è quello del giovane regista albanese Mario Banushi, ormai considerato uno dei nuovi talenti europei di prim’ordine.
Non perdete il suo straniante ‘Goodbye, Lindita’ annunciato a Milano, nell'ambito di un primo cartellone che s'affianca all'expo 'Inequalities', da Triennale Teatro per il 24-25 ottobre (subito dopo l'atteso e altrettanto raccomandabile 'Croniques', il nuovo spettacolo di Gabriela Carrizo che dovrebbe segnare il rilancio di Peeping Tom).
Con la bussola della leggerezza dell'intrattenimento o della fantomatica ‘noia’, anche Banushi sarebbe stato stroncato senza pietà, se non avesse trovato casa ad Atene ma fosse venuto subito in Italia. Oggi persino la rivista bibbia del teatro inglese ‘The Stage’, lo mette nei ‘top five up-and-coming directors to watch in 2025’ accanto a un creatore invece ‘arcispettacolare’ come Łukasz Twarkowski.
Per la cronaca negli altri tre posti ci sono donne forti e per così dire urticanti, che ovviamente nel nostro misero teatro relazionale all’italiana non hanno ancora trovato posto. E sono: Lisaboa Houbrechts, trentenne visual-artista e condirettrice del Toneelhuis di Anversa; Fritzi Wartenberg di Berliner Ensemble, classe 1997, animatrice del FTZN Kollektivs femminista; Nina Rajić Kranjac, 34enne, combattiva regista perfomer slovena.
In tema di talenti da tenere d’occhio proprio in questi giorni il Teatro Parenti ha rilasciato una piccola anticipazione del programma della stagione 2025/26 e la piacevole sorpresa da registrare, per una sala che alla Grande Età ha dedicato tanta attenzione negli ultimi anni, è il nuovo filone annunciato sotto il titolo ‘L’Età Sospesa’.
Si tratta di 18 titoli in cartellone 'dedicati a tematiche giovanili, o firmati da artisti under 35, che affrontano con linguaggi teatrali contemporanei questioni legate all’identità, all’affettività, al corpo, alle relazioni, al lavoro e al disagio psichico, senza retorica ma con intensità, visione e necessità'.
Partendo dalla riproposta del fortunato ‘Chi come me’ di Roy Chen, ultima regia della stessa Andrée Ruth Shammah, L’Età Sospesa vedrà entrare poi in campo una bella pattuglia di nuovi protagonisti, con proposte anche già sperimentate - come ‘Giacomina’ di Salvatore Cannova, il ritratto di un’amicizia che attraversa le generazioni, tra ricordi e ferite familiari - piuttosto che personaggi già affermati ma non ancora quanto meritano, come Leonardo Manzan, che riporterà in scena al Parenti il suo recente ‘Uno spettacolo di Leonardo Manzan’.
In questa nuova rassegna non mancheranno tante belle occasioni per lasciarsi provocare e/o annoiare, a seconda della disposizione d'animo.
E c’è ovviamente una certa attesa, in particolare, per il nuovo lavoro ‘made in Milano’, che sarà prodotto dal Parenti stesso, sull’ossessione dell’immagine in epoca digitale, ‘I corpi che non avremo’, che vede di nuovo impegnati insieme il drammaturgo Francesco Toscani con il regista di Andrea Piazza, e a dominare la scena con Simone Tudda un attore già sperimentato collaboratore di Toscani e Piazza come Fabrizio Calfapietra.
Ecco, i nuovi talenti su cui contare ci sarebbero anche dalle nostre parti, basta alzare lo sguardo oltre ai soliti recinti, senza paraocchi o pregiudizi.
NOTE
(1) Basta leggere la scheda con cui CTB annuncia la replica di ’Colline come elefanti bianchi’ e si comprende che poi la chiave politica-ideologica e delle lobbies connesse spiega sempre tutto un po’ brutalmente ma efficacemente. ‘Colline come elefanti bianchi è un racconto dove il tema dell’incomunicabilità viene declinato in un dialogo sospeso: come un grande iceberg di cui scorgiamo la punta, il testo cela molto più di quanto disvela. La trama è esile: un uomo e una ragazza, in attesa di un treno alla stazione, devono decidere se tenere o no il figlio di cui la donna è incinta. Hanno punti di vista divergenti, e la tensione è palpabile. Tutto resta suggerito, accennato e non detto: il rapporto tra i due, ciò che li ha tenuti insieme finora e il futuro che li attende quando saranno partiti. Accostarsi, da un punto di vista teatrale, a un racconto criptico e minimale come questo è perciò una sfida. Una sfida al contempo narrativa ed espressiva, artistica e filosofica, che verte sul valore del silenzio e sul significato dell’ellissi’.
(2) Dal comunicato stampa del Teatro Parenti su L'Età Sospesa: Tra i titoli Leggera, leggerissima di e con Francesca Iasi, un monologo sulla lotta ai disturbi alimentari, che dà voce al silenzio interiore di tante adolescenti. Capinera di Rosy Bonfiglio, una giovane donna tra costrizione e desiderio, in una rilettura di Verga che parla alla libertà delle nuove generazioni. L’eco della falena di Cantiere Artaud con la regia di Ciro Gallorano; un’opera sulla memoria e il passaggio all’età adulta, tra nostalgia e ricerca di sé. Il principe dei sogni belli di Tobia Rossi; una favola nera sull’identità e il diritto all’affettività nella disabilità. Giacomina di Salvatore Cannova; il ritratto di un’amicizia che attraversa le generazioni, tra ricordi e ferite familiari. Secondo piano di Michele Eburnea; una riflessione sulla crisi sentimentale in chiave contemporanea, tra ironia e precarietà affettiva. L’albero di Giulia Lombezzi; una storia sul tempo e sulla cura, che coinvolge lo sguardo empatico delle nuove generazioni. Petrolio. Una storia a colori di Beatrice Gattai; tre solitudini che interpellano i giovani sui grandi tabù della società. I corpi che non avremo di Francesco Toscani con la regia di Andrea Piazza; un’indagine teatrale sull’ossessione dell’immagine e il disagio corporeo nell’era digitale. Confini del giovane Nimrod Danishman; una storia d’amore gay ostacolata dai muri della guerra e dell’intolleranza. Uno spettacolo di Leonardo Manzan; un’indagine corrosiva sull’autofiction e la vanità culturale dell’era social. Solo quando lavoro sono felice di Lorenzo Maragoni e Niccolò Fettarappa; una critica lucida alla retorica del lavoro totalizzante nelle vite precarie. Gente spaesata di Sofia Russotto; tre ventenni alla deriva, tra disorientamento e ricerca di nuovi equilibri. Amen di Massimo Recalcati, regia di Claudio Autelli; una preghiera laica per la vita e per il futuro, affidata a un coro di giovani voci.