

'Abbiamo bisogno di nuovi comandamenti' è la fumata rossa uscita dalla Fabbrica del Vapore di Milano occupata da LIFE
09.05.2025
" />
Se non sapete come prendere l’appuntamento con ‘Il Vertice’, il nuovo spettacolo di Christoph Marthaler, ovvero certamente di un cultore dello spiazzamento, consideratelo una lezione. Una grande, bellissima lezione di vita e di teatro travestita da divertissment.
Non a caso, quanti - tanti, purtroppo - della platea non proprio stipata della prima al Piccolo Teatro Strehler, l’hanno trovata anche così indigeribile. Chissà se hanno capito che parlava di loro!
Purtroppo non siamo più nel mondo delle prime di Samuel Beckett a Parigi, e così chi si è annoiato e non ci ha capito niente non sta lì certo nemmeno a contestare: fa qualche timido applauso in sala, per poi risalire le scale mormorando al compagno di visione qualche ‘mah’ di perplessità oppure, con un diverso grado d’educazione, direttamente il canonico commento da Paolo Villaggio a ‘La corazzata Potëmkin’.
Anche della mostruosa brigata di ‘nomenclatura culturale’ presente in sala, gli stessi che si sdilinquiscono per l’ovvio del/i pop(-oli) - una scenografia kolossal, qualche nudo integrale, una croce in fiamme da Ku-Klux-Klan - e trovano obsoleti questi meravigliosi tricks, c’è da scommetterci che quasi nessuno avrà decrittato la quota parte di buffetti, irriverenze e anche proprio schiaffoni che nemmeno così velatamente Marthaler ha indirizzato in una precisa direzione. Varrà la pena di riparlarne.
Forse soltanto il Professor-direttore artistico Claudio Longhi ha capito che cosa aveva di fronte, anche perché è un po’ il mondo che gli tocca di riverire. E, sia detto senza nessuna piaggeria, ha voluto coprodurre questo spettacolo nonostante tutto sommato non avesse nessuna ‘convenienza’ a farlo, prestigio a parte (chapeau!), oltretutto con lo chiccissimo Théâtre Vidy-Lausanne, la cui impronta si vede fin dalla firma del drammaturgo di casa Eric Vautrin.
Che poi sia tutto una grande ‘gagata’, come in fondo ogni spettacolo marthalerista doc, è anche vero. Non pare ci sia in circolazione tra Svizzera e mondo tedesco, un più abile mestatore di comicità intelligente e ‘beckettianamente’ ininterpretabile: nel senso che dovunque e comunque viene letta in chiave metaforica, alla fine, in qualche modo se ne limita lo specifico teatrale, che si potrebbe definire brutalmente ‘effetto smash’. Talmente teatro, teatro-teatro, che schiaccia tutto.
E fa davvero piacere vedere che alla fine si senta anche qualche raro commento dai neo-convertiti, quegli appassionati conoscitori del mondo dello spettacolo che entrano mormorando ‘tanto lo so che cosa fa Marthaler, vengo a vederlo solo per curiosità’ ed escono incantati dalla genialità, divertiti e insieme scossi perché si sono riconosciuti in questa o quella ‘macchietta’.
Ci sta che restino a bocca aperta, ammirati ma anche confusi e soprattutto inquietati da un modello davvero irraggiungibile, le ragazze e i ragazzi della scuola di teatro del Piccolo, che giustamente formano quel pacchetto di mischia che scalda un po’ le prime, insieme con i soliti fanatici dramaholici che adorano scattare in standing ovation appena compare sul palco il Genio beffardo, che alla prima sfila un attimo timidamente per far raccogliere il meritato applauso anche al cast tecnico.
Ora, de ‘Il Vertice’ si potrebbero elencare un sacco di buoni motivi per andare a vederlo. Tra l’altro fino a domenica 11 maggio l’occasione è imperdibile e i posti ovviamente non mancano, siamo pur sempre in un mondo capovolto: quando è in scena l’attoraccio da fiction televisiva non si trova posto, e invece nessuno si dà una mossa quando c’è l’occasione di vedere finalmente - per citare un caso soltanto, senza con ciò voler far torto all’intero strepitoso cast - la perla rara di un’interprete italiana di standard davvero europeo come Liliana Benini, classe ’91, da un decennio ormai di casa sui palcoscenici europei con Marthaler.
Giusto per preparasi alla visione, studiate questa riflessione dell’autore che è nel libretto di sala: ‘La cosa più bella del teatro è vedere tanti mestieri collaborare. Nessuno è più importante dell'altro; gli attori e le attrici in scena lo sono, certo, ma anche tutti gli altri e le altre, dietro le quinte o durante le prove, partecipano alla stessa ricerca: è ciò che amo del teatro. Purtroppo, non è così dappertutto. Anche questo è un segno dei tempi, non è vero?
Ciò detto, non direi mai che faccio un teatro politico. Se mi chiedessero di fare uno spettacolo su un tema preciso, per esempio sulla situazione politica attuale, rifiuterei. Non si tratta di commentare l'attualità. Ci sono artisti che lo fanno, e può essere anche molto utile, ma non io. Ascolto ciò che ho intorno. Cerco di mostrare situazioni, immagini, fantasie che ciascuno possa esplorare secondo ciò che evocano in lui o in lei.
Ho sempre giocato con le lingue, con il senso e con l'assenza di senso. Tuttavia, ho la sensazione che la realtà alla fine mi abbia raggiunto: il mondo di oggi è talmente diviso che il senso si è frantumato. Nel nostro Vertice, intravedo qualcosa di un’umanità che dovrebbe dialogare, ma non ne è più capace’.