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'Carognina' Bianchi e quelle sporche emozioni: 'Brotherhood' è una trappola straordinaria, ma bisogna lasciarla scattare

Carolina Bianchi, ritratto da carolinabianchiycaradecavalo.com

 Bisognerebbe mettersi addirittura in look animalier maculato iena - ben intonato con una trilogia intitolata alla forza della cagna (’Cadela Força Trilogy’) portata in scena con un collettivo autonominatosi Cara de Cavalo, Faccia di cavallo -, e poi avere il coraggio di guardare come a un appettitosa carogna verso questa nuova straordinaria personalità del teatro che è ormai indubitabilmente Carolina Bianchi.

 Perché, a voler essere sinceri, come si fa a non definire una vera carognata la trappola di 220 minuti intitolati ‘The Brotherhood’ che imprigiona così gli spettatori e gli appassionati, com’è successo puntualmente anche alla Biennale Danza di Venezia, seduti in poltrona sì nel Teatro Piccolo Arsenale, ma con i piedi come appoggiati sempre sui carboni ardenti?

 Ci si consuma d’ansia per una protagonista che procede a uno strappo via l’altro, in un’incalzante e definitivo atto d’accusa contro la cultura della mascolinità dominante, fino a togliersi la parola e a dar fuoco al teatro.

Ad appiccare l’incendio, si limita ovviamente a farlo attraverso un’immagine che scorre su una lavagna pittorica, dove è stata proposta prima l’evocazione del celeberrimo Viandante romantico. Tanto sa benissimo, ‘Carognina’ Bianchi, che quel fuoco, se hai un cervello, te lo porterai dentro ancora dopo, e a casa lo guarderai di nuovo, e ti chiederai come mai, ogni volta. 

 La fregatura è totale, se ci si può permettere quest’espressione, perché la cifra artistica della Bianchi si gioca tanto sul limite fisico e sull’autolesionismo, che stavolta è coronato da scene d’esplicita associazione con miti e figure del teatro e della letteratura.

Così che, per quanto s’impegni a menar duro sugli spettatori, Carolina muove comunque il sentimento della compassione nella platea, almeno in quelli che non cascano nell’alternativa secca del rigetto più o meno schifato.

 E questa volta ‘Carognina’ mette pure le mani avanti, esplicitando puntuali giustificazioni del suo agire teatrale estremo, svolgendo per bene il suo programma di poetica, con tanto di illuminazioni ex post sul primo atto della Trilogia.

Tanti spunti qua e là che costituiscono poi, nelle riflessioni di chi si fa incastrare nella trappola, una vera e propria piattaforma di rivalutazione del pezzo d’esordio, raffreddando e addirittura vanificando quell’eco scandalistico e riduttivo in cui sono incappati persino i compagni snob di ‘Libération’.   

 Pesa tanto inoltre, a proposito della carognata a cui viene spontaneo alludere, l'idea che sia quasi impossibile parlare di un kolossal del genere, contro 'La Fratellanza' al maschile che s’annida fino alla base della nostra cultura, senza spoilerare troppo. Quindi tocca auto-censurarsi pure per questo, perché è doveroso rispettare sempre le regole del passaparola tra i veri appassionati. 

 Tutto naturalmente nella speranza che qualche direttore illuminato porti in Italia anche questo ‘The Brotherhood’, come ha fatto l’anno scorso Umberto Angelini con il ‘Capitolo I. La Sposa e Buonanotte Cenerentola’ ospitato in Triennale Teatro - forse anche per doveroso omaggio alla figura dell’artista milanese Pippa Bacca, di cui parlava la prima parte. 

 Meritano di affrontare la nuova prova Bianchi senza sapere quasi niente della trama, anche soltanto i pochi viaggiatori che coglieranno l’occasione delle prossime programmazioni europee più vicine. A novembre, per esempio, con poche ore di treno, si può ripescare il nuovo spettacolo a Lione, dal 6 al Les Célestins. Seguono il Maillon di Strasburgo dal 13, Parigi per il prestigioso Festival d’Automne con lunga tenitura a La Villette, dal 19 al 28, e via via, per finire, nel ’26, tra la chicchissima programmazione della Comédie de Genève.

  I frequentatori più o meno professionisti dei festival di tendenza conoscono bene ormai le trappole di questo talentaccio di Porto Alegre, affinatosi con il trasferimento ad Amsterdam e il confronto diretto con la scena d’avanguardia dei Paesi Bassi. Hanno bisogno di spazi adeguati, non certo solo logisticamente, le sue costruzioni teatrali tanto potenti da passare sempre il segno del limite, prima di tutto nell’impegno esagerato, totalizzante e spudorato della protagonista.

 Se il primo choccante Capitolo della Forza della Cagna ha preso le mosse in anteprima dal Festival d’Avignon e dalla Francia, il secondo nuovo atto è emerso felicemente tra le rassegne dove Bianchi è ormai di casa, dopo il debutto il 9 maggio al KVS-Brussels per il Kunstefestivaldesarts.

 Lo spettacolo ha già toccato anche il mondo germanofono, con l’onore e l’onere di un invito di due giorni al Wiener Festwochen di Milo Rau, nonostante si potrebbe scorgere facilmente l’ombra del guru svizzero tedesco nel principale regista bersaglio dello spettacolo stesso (e sarà un caso, sarà per un altro piccolo attacco influenzale come quello capitato a Venezia, ma il talk viennese con Carolina alla fine è stato annullato).

Poi è arrivato il passaggio al Kampnagel dell’HAU Hebbel am Ufer di Berlino, luogo deputato delle tendenze e dei protagonisti (Rimini Protokoll e via elencando) che hanno cercato di andare oltre al ‘post-drammatico’, ovvero la corrente teatrale a cui la stessa Bianchi si pone in ‘The Brotherhood’ con una sorta di abiura.

 Attenzione, però, alla trappola: anche in questo passaggio, molto duro soprattutto nei confronti di Jan Fabre e delle violenze dentro Troublyn, ‘Carognina’ dichiara onestamente che le viene poi naturale ripeterne in qualche modo i lemmi e le forzature.

Tra l’altro è come se si sentissero in qualche modo risuonare anche i nomi degli altri due venerati capofila della svolta epocale al ‘postdramatische theater’, Jan Lawers e Romeo Castellucci, quest’ultimo riconosciuto modello d'ispirazione in Brasile nella formazione e in alcuni spettacoli della Bianchi (vedi l’accurato saggio pubblicato online nel 2020 da Diones Camargo su 'Lobo', che cita anche Angelica Liddell) . 

 Per non spoilerare altro, poco importa alla fine quali e quanti riferimenti negativi colga lo spettatore, del ricchissimo catalogo che viene presentato: l’appassionato attento viene tirato in causa tout court, nel senso che si sentirà comunque schiacciato dall’idea di aver contribuito con la sua partecipazione attiva a tale e tante odiose espressioni de ‘La Fratellanza’.

Come è possibile che guardiamo e ascoltiamo con tanta ammirazione e deferenza quelli che chiamano i ‘maestri’ anche quando sappiamo che si comportano come le persone più abiette?

 Forse siamo tutti facile preda delle sporche emozioni, di un grande inganno morale e intellettuale. E se nel precedente Capitolo c’era un auto che entrava in scena con la targa programmatica ‘Fuck Catharsis’, stavolta l’insegna luminosa che arriva come su un orgiastico carro allegorico recita: ‘Dirty Pathos’. 

Il carro delle sporche emozioni irrompe sul palco di 'The Brotherhood' (foto di Mayra Azzi)

A questo punto non resta che convenire con Nadja Pobel, giornalista e critica teatrale d’invidiabile attenzione, che su sceneweb.fr ha scritto subito dopo la prima a Bruxelles: ‘Ciò che l'artista mette con forza in scena è l'annientamento delle donne da parte degli uomini, indipendentemente dal grado di predazione – e fortunatamente, grazie alla precisione con cui descrive le loro azioni, opera delle distinzioni –, in nome dell'arte. Avrebbe potuto essere banale, avrebbe potuto essere un regolamento di conti, ma sarebbe stato troppo semplice e poco interessante. (…).

 Carolina Bianchi affronta il suo argomento senza essere sopraffatta o travolta. Il pensiero prevale sulle azioni. Le parole costituiscono la struttura fondamentale di questo capitolo, ampiamente supportato dal suo lavoro di ricerca universitaria. Accumulando evocazioni di destini diversi dal suo – Ana Mendieta, Sylvia Plath, Gisèle Pélicot, Persefone e soprattutto Sarah Kane, di cui avrebbe tanto voluto essere l'eroina –, Carolina Bianchi non crea un catalogo, ma tesse, senza grida né rabbia, con forza e chiarezza, una storia della violenza degli uomini contro le donne e mette in discussione lo sguardo. Come sono state guardate queste donne ferite o morte? Sono state almeno viste?’

 Prendere o lasciare: anche solo per la capacità di aprire interrogativi fondamentali sul nostro essere spettatori, persino per aver centrato così bene quel nesso perverso che fa perdonare tutto alla genialità artistica al maschile (che oggi è alla base - attenzione - dell’appropriazione dell’arte da parte del turbocapitalismo finanziario), questo è uno spettacolo di una potenza straordinaria.

La nostra novella Lavinia del ‘Tito Andronico’ non scrive sulla sabbia i nomi dei colpevoli, con 'The Brotherhood' li scolpisce nella mente di chi si predispone ad ascoltare. 

 Bisogna ringraziare per la lungimiranza Wayne McGregor, che ha voluto così volentieri uscire dal canone banale della danza che fu, e persino dalla sua stessa propensione a integrare il balletto nel mondo virtuale e tecnologico, per premiare addirittura con il Leone d’Argento la nostra sapidissima ‘Carognina’.

Ha dovuto spiegarsi McGregor, e ha scelto parole semplici: ‘Bianchi impiega il proprio corpo come elemento centrale del suo lavoro, radicandosi saldamente nella tradizione della performance femminile e allo stesso tempo mettendola in discussione. Con l’evolversi della sua sensazionale trilogia di opere, Bianchi rimane all’avanguardia della performance più radicale, ricordandoci l’imprescindibile bisogno di voci artistiche nuove così rigorose’.

 Resta da annotare con sottolineatura che al rigore e alla profondità di questo 'The Brotherhood', che trae titolo e tesi di fondo dalla ricerche sulla violenza contro le donne dell'antropologa argentina Rita Laura Segato (1), contribuiscono sicuramente l’ormai consolidata collaborazione con Carolina Mendonça, drammaturga di formazione coreografa e artista performativa di singolare originalità e impegno, nonché - soprattutto per le ricerche - con l’italiana Silvia Bottiroli, studiosa esperta di cultura queer e curatrice tra l’altro del festival bolognese FUORI! (OUT!), dove la Bianchi presentò nel ’23 ‘Percurso’.

 Senza dimenticare i performer del collettivo Cara de Carvalo, tutti bravissimi e spremuti davvero fin quasi all’impossibile. E qui verrebbe voglia di dismettere la regola del ‘no spoiler’, ma ci si limita a ricordare che nel precedente sui maschi lupi, 'Lobo' del 2018, non solo erano completamente nudi ma in una scena erano costretti pure a rincorrersi pericolosamente brandendo bottiglie di vetro... A loro si concede, e non solo per Fratellanza, di chiudere il passaparola con nome e cognome: Chico Lima, Flow Kountouriotis, José Artur, Kai Wido Meyer, Lucas Delfino, Rafael Limongelli, Rodrigo Andreolli, Tomás Decina. 

Il presidente Pietrangelo Buttafuoco, Carolina Bianchi e Wayne McGregor (foto di Andrea Avezzù)

(1) LA CRUDELE PEDAGOGIA DEI FRATELLI

'Lo stupro viene commesso con mezzi sessuali. L’obiettivo non è tanto, però, conquistare quel corpo bensì dimostrare di essere in grado di poterlo fare, estrarre il tributo per essere accettato nella confraternita virile. Lo stupro è un modo di rispondere al 'mandato di mascolinità' (Rita Laura Segato, intervista con 'Avvenire' sul libro 'La guerra contro le donne')

'Segato rimprovera alla riflessione femminista di non avere ancora fatto i conti con la dimensione politica della violenza contro le donne e di averla confinata alla sfera dell’intimità, [...individuando] la violenza patriarcale quale espressione paradigmatica della violenza predatoria che caratterizza la 'fase apocalittica del capitale'. [...] Il conflitto contemporaneo tende inesorabilmente, a giudizio di Segato, all’informalizzazione e all’indeterminazione. Fazioni, bande, gruppi tribali, mafie, formazioni statali e parastatali di vario tipo alimentano una nuova filiera armata la cui violenza corporativa e anomica, arbitraria e discrezionale, si esprime in modo esemplare e privilegiato nell’aggressione al corpo delle donne. [..] Nella brutalità truculenta dei femminicidi sud-americani si rivelerebbe una modalità inedita di esercizio del potere che, per l’antropologa, risponde a una strategia complessiva di riproduzione del sistema definibile come pedagogia della crudeltà. In questa guerra non convenzionale, si rinnova l’immaginario coloniale che dà significato allo stupro come oltraggio indelebile per la vittima e per tutti coloro che detengono una capacità di tutela sul suo corpo (padre, fratelli, marito, autorità politiche). Ed è precisamente questo immaginario coloniale, secondo Segato, a installare il genere come struttura binaria e gerarchica mediante la quale la 'posizione maschile' confisca per sé l’universale, relegando all’insignificanza la 'posizione femminile'. (da Deborah Ardilli, 'La sabbia negli occhi' in Manastabal femminismo materialista).

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