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Du Nord resta il vento del teatro artistico, di 'bouffes' oggi ci sono le querelle sulle toilette 'Gender Neutral'

Peter Brook nel 2020 festeggia il 95mo compleanno al suo Théâtre des Bouffes du Nord con 'Shakespeare résonance' (foto di George Banu dal blog.alternativestheatrales.be)
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E' QUESTO 'IL TEATRO DEL MONDO'?

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Gli anniversari giocano a inseguirsi anche nei teatri d'Europa. Così i 55 anni dalla riapertura del Bouffes du Nord a Parigi, con tanto di mostra al Musée de la BnF 'Peter Brook, le théâtre du monde', hanno sfiorato la commemorazione per i 100 anni dalla nascita del regista-guru dell'essenzialità, il 21 marzo, con la ripresa del suo ultimo 'Tempest Project'.

Curioso che si siano poi quasi intersecati con le celebrazioni del 78mo anniversario del Piccolo Teatro a Milano, a commemorazioni ancora aperte per i dieci anni dalla morte di Luca Ronconi.

L'incrocio tra queste prestigiose realtà s'è incardinato materialmente dal 1986 nel Teatro Studio di via Rivoli/Lanza, poi intitolato dal direttore Sergio Escobar, nel 2013, a Mariangela Melato. E' lo spazio vocato al teatro artistico e in qualche modo per élite culturali che Giorgio Strehler aveva voluto affiancare alla storica sala 'popolare', ovvero 'per tutti' e 'della città', di via Rovello.

Perciò Strehler chiese agli architetti Marco Zanuso e Pietro Crescini di studiare a fondo il modello del teatro parigino di Brook per ispirarsi in qualche modo nei lavori di ristrutturazione della sala ottocentesca denominata Fossati.

Certo, il risultato non è stato proprio identico a quello ottenuto dal genio de 'Lo spazio vuoto' nel 1974, che volle riaprire il Bouffes du Nord dopo un lungo lavoro di ricerca e di preparazione svolto con Micheline Rozan.

Straordinaria figura di produttore amante del teatro, Rozan di fatto fu dal 1970 l'alter-ego di Brook al Centre international de recherches théâtrales, e ne ha concretizzato i progetti più importanti, compreso il kolossal epico 'Mahâbhârata'.

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LE SALE DI PISCATOR E MEJERCVHOL'D

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L'edificio del Bouffes du Nord, progettato dall'architetto Louis Marie Emile Laménil e inaugurato nel 1896 come sala popolare per l'operetta, o appunto l'opera buffa, nasconde il teatro dietro l'aspetto di un palazzo residenziale, con l'ingresso chiuso tra due sale da caffé.

La novità dell'interno era rappresentata dalla non convenzionale vicinanza alla rappresentazione del pubblico, disposto in un cosiddetto 'transverse ellipse auditorium', sull'asse maggiore ruotato a 90 gradi rispetto al proscenio.

Brook riconobbe in questa sala 'un'anima' - come amava dire - perfetta per rifuggire dalla freddezza dei nuovi teatri: volle mantenere ben visibili anche le ferite del passato e della lunga chiusura, per esempio sulle pareti dietro lo spazio scenico, e accentuò la continuità con la sua ricerca artistica attraverso la scelta di non avere né il palcoscenico né il sipario.

'La sala è liberata dalla rigida platea (sostituita da una cavea ellittica con uno spazio centrale collegato senza soluzione allo spazio del palco) e dalle convenzioni del modello scenografico classico a cui si oppone la famosa teoria di Brook delo spazio vuoto': così si legge in 'Ripensare-Innovare lo spazio del teatro' di Vittorio Fiore con Francesca Castagneto, (ed. Lettera Ventidue, 2023).

Dove si spiega anche che il teatro parigino di Brook richiama, per alcuni elementi, 'il progetto di Gropius del Total Theater, nato nell'ambito del movimento Bauhaus, nel 1927, che materializza l'idea di Erwin Piscator del teatro come dispositivo variabile e coinvolgente; per altri, l'utopico teatro di Vsevolod Ėmil'evič Mejercvhol'd - a cui lavorarono tra il 1933 e il '35 gli architetti sovietici Barkin e Vachtangov - aperto al pubblico e alla città, dove sarebbero addirittura entrate in sala, ai lati, due vere e proprie strade.

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CHI SI LASCIA ACCOGLIERE E CHI NO

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L'aspetto ancor oggi più caratteristico di questo modello di teatro è appunto quello di lasciarsi avvolgere dal pubblico, che nelle sale tradizionali è confinato al ruolo di spettatore distante mentre nel modello storico del teatro artistico entra direttamente in gioco.

Nel Teatro Studio milanese, non a caso, gli spettatori hanno potuto gustare perfettamente anche tutti gli spettacoli di Brook passati dopo il Duemila a Milano, dai 'Fragments' di Samuel Beckett a 'Un flauto magico' da Mozart.

I più fedeli al Piccolo ancora ricordano non soltanto Strehler stesso in scena con la 'sua' Giulia Lazzarini, per l'inaugurazione della nuova sala con 'Elvira o la passione teatrale' di Brigitte Jaques, da Louis Jouvet, ma anche il secondo titolo che fu presentato allo Studio, 'El Público' di Federico Garcia Lorca con la regia di Lluis Pasqual.

Naturalmente ancora oggi ci sono spettacoli che si adattano meglio a questo tipo di teatri, a parità di livello registico: nel caso dello Studio Melato, per esempio, Antonio Latella di recente con 'Wonder Woman' ha sicuramente sfruttato fino in fondo le potenzialità della sala; in un importante precedente, come il suo stesso 'Hamlet' in versione integrale, sembra aver fatto meno leva sul valore per così dire 'di trasparenza' del teatro.

Negli ultimi anni, peraltro, in diverse occasioni il Teatro Studio è stato riconfigurato in modalità tradizionale, con l'aggiunta di una platea centrale, e capita che venga pure impiegato per progetti che non si possono proprio considerare di 'teatro artistico'.

Se il teatro-teatro langue nelle sale tradizionali, fatica a mantenere un'identità anche in questi spazi di qualità.

La citazione

Non andare a teatro è come far toilette senza lo specchio.

di Arthur Schopenhauer (da 'Parerga und Paralipomena', 1851)
La non-scenografia di 'Wonder Woman' di Antonio Latella al Teatro Studio Melato, tutto affidato all'impegno ammirevole di quattro giovani attrici
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LA PIAZZA E LA CAMERA DI LUCA

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A proposito di commemorazioni, tra le tante parole spese nel decimo anniversario della scomparsa di Luca Ronconi, s'è fatto notare l'intervento del grande vecchio della critica militante Goffredo Fofi, un elogio decisamente interessante e al solito controcorrente.

'Grande regista teatrale, Luca Ronconi, il meno privo di pregiudizi estetici tra tutti i nostri teatranti, il più spericolato e, se si può dire, il più 'contemporaneo' di tutti. Ronconi, di cui ricorrono i dieci anni dalla morte, non arretrò mai di fronte alle difficoltà di un testo, e si sentiva anzi spronato a trovare delle soluzioni decisamente 'teatrali', ma che il teatro sembrava trascurare, o rifiutare.

Aveva diretto in piazza Duomo a Milano, nel pieno spirito del ‘68, un 'Orlando furioso' memorabile, di enorme suggestione, il 'teatro di piazza' più aperto di tutti, e scommise con sé stesso di fare, con 'Il silenzio dei comunisti', andato in scena nel 2006, proprio il contrario, un 'teatro da camera' che più 'da camera' non si potesse immaginare.

Tre stanze, senza comunicazione tra loro, e più dei monologhi che non un dialogo, dove i tre – nei loro panni due giovani attori, Luigi Lo Cascio e Fausto Russo Alesi, e la bravissima (sempre) Maria Paiato, la più adulta, quasi a confermare una visione antica e femminile della storia, della politica – discutono di cose concrete e di idee generali e lo fanno, avrebbe detto Michelstaedter, da 'persuasi'. E la persuasione è appunto il contrario della retorica'.

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PSICODRAMMI WOKE DEI TEATRI INGLESI

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Non s'è ancora spento l'eco polemica a proposito della sentenza della Corte suprema inglese sul divieto dell'uso dei bagni delle donne da parte delle persone trans biologicamente nate di sesso maschile, che rigettava una precedente sentenza favorevole della Corte scozzese.

Un gruppo di personalità di primo piano dello spettacolo inglese (con Ken Loach tra i primi) ha appena pubblicato un appello perché questa nuova disposizione non si trasformi in una discriminazione ulteriore per le persone transessuali

Intanto i teatri devono fare i conti con le nuove disposizioni, in un momento oltretutto già di notevoli difficoltà finanziarie (secondo un report di metà maggio della Society of London Theatre and UK Theatre, un terzo delle sale chiuderà il bilancio in deficit).

Dopo la sentenza, infatti, la commissione britannica per le Pari opportunità e i diritti umani (EHRC) ha infatti stabilito che gli edifici pubblici devono fare in modo che le donne trans non possano effettivamente più utilizzare i bagni femminili e gli uomini trans quelli maschili allestendo opportuni spazi igienici 'no gender'.

E' dovuto intervenire persino il ministro dell'Interno del governo Starmer ('Finalmente è stata fatta chiarezza in merito' aveva detto il nuovo premier, salutando con favore la sentenza e le raccomandazioni dell'Authority), per specificare che in ogni caso nessuno potrà svolgere compiti di polizia per controllare il corretto rispetto delle nuove disposizioni.

Un sondaggio recente in Gran Bretagna indica che solo una persona su tre (il 32%) pensa che gli edifici pubblici dovrebbero avere bagni in comune utilizzabili da chiunque (da dailymail.co.uk)
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CISGENDER TORY E DISABILI

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La nuova leader 'black' dei Tory, Kemi Badenoch, che pure è il primo esponente di alto livello dei conservatori di origini extra-isolane, ha suggerito di adibire all'utilizzo anche dei transgender i bagni già esistenti allestiti per le persone disabili. Ed è subito stata subissata di critiche, per via dell'inevitabile accostamento a una forma di handicap naturale o post-traumatico delle scelte di chi semplicemente non si riconosce nel proprio sesso biologico. 

Anche in Italia nel Piccolo Teatro Strehler poco più di un anno fa era stato fatto in sordina un tentativo di indicare come 'gender neutral' la toilette per disabili di fronte al bar nell'atrio, con un cartello stampato e appeso con il nastro adesivo. Dopo che questo foglio è stato più volte sovrascritto o addirittura strappato, l'esperimento sembra concluso.

La sala del Cinema Beltrade di Nolo, luogo cult tra i più dichiaratamente 'LGBTQ+ friendly', ha invece approfittato di una breve chiusura l'estate scorsa per ricostruire lo spazio dei bagni che era originariamente diviso per genere, e allestire un'unica toilette 'all gender'.

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