

Con l'aratro in teatro: FC Bergman, 'Works and Days, il contesto della sala, la produttività e quel maledetto capolavoro
01.06.2025
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Forse bisogna smetterla di assecondare il provincialismo all’incontrario e avere di nuovo tanta voglia di guardarsi intorno, più vicino. E’ una delle prime riflessioni che vengono in mente agli appassionati che sciamano fuori alla chetichella dal Teatro Out Off, dove si può recuperare fino al 25 maggio ‘Dopo la tempesta’, uno spettacolo del 2024 che suona anche come una conferma del valore di due giovani autori - vivaddio! -, più o meno trentenni: il drammaturgo Francesco Toscani e il regista Andrea Piazza.
Per non rovinare troppo la visione a chi avrà modo di non perderla, contando pure sulle possibili ulteriori riprese, si può dire che ‘Dopo la tempesta’ sia un bel lavoro teatrale, nel senso esteso di discorso che ruota e fa leva su un topos shakespeariano, oltre che in senso proprio di spettacolo accurato, ben allestito e ottimamente interpretato.
Il racconto muove dall’intreccio tra due vite ai margini, di un’anziana un po’ tocca che si crede Ariel e di un giovane sbandato che i sociologi classificherebbero tra i NEET (che non studia più, non lavora ancora e non segue neppure un percorso formativo), ma a rendere tutto più vivo e vero è proprio l’ambientazione in una grigissima Milano contemporanea.
A un certo punto, viene raccontata direttamente quella che in un pamphlet è stata definita come la nuova ‘Invenzione di Milano’, con l’intrigante montaggio del filmato di una ‘passeggiata’ diacronica nelle trasformazioni architettoniche più recenti.
Qualcuno, per via del rapporto che nasce tra i due, ha tirato in ballo il mitico ‘Harold e Maude’ di Hal Hasby, ma forse meglio si può parlare di una sorta di nuovo ‘Miracolo a Milano’, anche se al fiabesco dopoguerra di Cesare Zavattini qui si sostituisce un racconto della metropoli post-industriale fantastico e insieme realista, ben costruito con sapiente alternanza di teatro tradizionale e di nuovi linguaggi.
Così una parabola contemporanea che ricalca in qualche aspetto ‘La Tempesta’ s’interseca con un quadro preciso di riferimento, la Milano di oggi, con lo sfondo molto lontano delle varie gentrificazioni, foodification, overtourism e tutto ciò che formerebbe l’immagine di una nuova metropoli europea accogliente: per raccontarci di quanto, in realtà, sia una città che confina nella polvere e lascia fatalmente indietro tante persone, forse proprio nelle giovani generazioni come in quelle anziane.
Gli interpreti, eccellenti e più che ben amalgamati, sono Monica Bonomi, attrice di prim’ordine che ha lavorato in molte occasioni per lo stesso Out Off, e il giovane Fabrizio Calfapietra, di formazione anche lui milanese, Scuola Grassi, classe ’96 ovvero più o meno coetaneo di autore e regista, con il quale ultimo ha peraltro già lavorato.
Gli stessi Toscani e Piazza non sono alla prima collaborazione e nemmeno alla prima produzione con il teatro milanese di via Mac Mahon: qualche stagione fa, in epoca Covid purtroppo, avevano firmato insieme ‘Che cosa sono i morti’, entrato tra i finalisti del Premio Scintille. Sarebbe bello rivedere anche quello.
Come se non bastasse l’insegna, il Teatro OutOff reca orgogliosamente nel logo lo slogan: ‘Dal 1976 dalla parte degli artisti’. Variamente definito sala di nicchia, sperimentale o d’avanguardia, sulla base del glorioso passato alternativo, consumatosi soprattutto in uno scantinato di via Dupré, OutOff è oggi in realtà un teatro ancora alla ricerca di una nuova provvisoria identità, di fatto dal 2004, da quando si è trasferito nella nuova sede in zona Cenisio e da quando è proprio finito nel dimenticatoio un po’ tutto un certo mondo di riferimento.
Tra l’altro, a proposito della Milano di ‘Dopo la tempesta’, OutOff oggi si fa notare anche per l’elegante bistrot a cui si accede dallo stesso atrio del teatro, oltre che di recente per l’ostinata insistenza nel ripescaggio di un autore guru del post-drammatico che fu, Jan Fabre, il quale del resto aveva inaugurato proprio il nuovo corso nella nuova sala, nel 2004, ovvero una buona ventina d’anni prima di passare di moda e di venire personalmente travolto dalla bufera ‘Me Too’. Cercare anche all’estero figure più fresche, aiuterebbe a rinvigorire l’immagine del teatro oggi di zona Cenisio, che comunque mantiene un profilo artistico indiscutibile (si pensi anche solo agli spettacoli di Elena Arvigo).
Certo, ‘Dopo la tempesta’ è sicuramente una delle migliori ‘nuove-nuove’ produzioni del teatro milanese, e l’aggettivo va raddoppiato tra virgolette perché in questo caso non si tratta soltanto di un altro spettacolo dei soliti noti o di una discutibile generica novità. Non è poi così facile rimettere in gioco i grandi classici, attualizzandoli, e invece funziona a dovere grazie all’alchimia tra Toscani, Piazza e l’équipe di questo spettacolo.
Bisognerebbe poi affrontare seriamente il problema del talento di questi giovani e delle promesse del teatro italiano in generale, ché peraltro basta uno o due stagioni sfortunate per trovare già rovinate per eccesso, anche solo di auto-referenzialità, alcune figure che sembravano avere un potenziale più solido.
Ben diverso appare il panorama internazionale che abbiamo avuto la fortuna di incontrare a Milano non solo per gli originali festival di grande prestigio, come FOG di Triennale Teatro, o di forte impegno politico e sociale, come il nuovo LIFE di Zona K, che ha appena ripresentato il giocoso teatro partecipato dei belgi di Ontroerend Goed.
Persino sulle polverose poltrone istituzionali del Piccolo Teatro, la cui vocazione ‘d’Europa’ è fissata addirittura nell’insegna, si possono cogliere occasioni uniche, aldilà di una nuova ricca rassegna biennale internazionale, ‘Presente indicativo’. Basti citare solo, dopo la prima del nuovo ‘Il Vertice’ di Christoph Marthaler, dal 28 al 30 maggio il sofisticato ‘Works and Days’ del collettivo fiammingo F.C. Bergman.
Ora, è chiaro a tutti che Toscani e Piazza e anche altri giovani loro colleghi di buone scuole teatrali milanesi, non sono né gli F.C. Bergman o neppure Ontroerend Goed, collettivi sperimentati che lavorano per anni sulla creazione di un particolarissimo linguaggio teatrale.
Peraltro i nostri due milanesi ‘post-tempestosi’ hanno magari gusti più classici, per così dire: sono in grado, per esempio, di dichiarare d’essersi commossi davvero a teatro la prima volta, da ragazzi, dinanzi a un ‘Giardino dei ciliegi’ firmato Lev Dodin, come ha fatto Toscani (bravo, era davvero stupendo). O di far rivivere egregiamente, come ha fatto Piazza l’anno scorso al Teatro Parenti, qualche pièce di Tennessee Williams dimenticata, gestendo pure interpreti di grande personalità (una su tutti, Valentina Picello).
Ma se anche volessero essere precisamente come i più illustri colleghi fiamminghi citati, di certo i talenti italiani non potrebbero mai ambire a diventare protagonisti di quel livello, a potersi costruire in santa pace delle proprie realtà paragonabili. L’assetto del nostro teatro pubblico, i meccanismi di finanziamento, il gioco delle combriccole e dei favoritismi, la tenace resistenza di troppe figure ‘consolidate’, un malinteso nuovo senso comune del pop, la carenza di guide carismatiche, gli spettatori orientati dal marketing e ormai vecchi o irrequieti: tutto lavora contro il rinnovamento.
E’ già un miracolo che questi teatranti trentenni riescano a portare a casa una dignitosa pagnotta, senza nemmeno doversi sporcare le mani con la fiction televisiva, con piccoli gioielli come questo ‘Dopo la tempesta’.