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Peter Brook, Venezia, gli indigeni e il barista

 Per un’occasionale coincidenza, Peter Brook si è spento a Parigi mentre a Venezia, in quella che per una memorabile sera fu la ‘sua’ piazza, San Pietro di Castello, la tradizionale festa parrocchiale si riprendeva dal tempo sospeso dei lockdown. Il cartellone del fine settimana prevedeva un ‘Michael Jackson Tribute’ e un ‘Max and the Seventh Sound, disco music live anni 70/80’, in sottofondo le chiacchiere e i rumori contendevano l’aria alle costicine e alle salsicce sfrigolate sulle griglie, alle fritture di pesciolini da cartoccio, ai bigoli in salsa, alla pasta e fagioli. Tutti sembravano felici.

Nel 1975, per un'epica Biennale Teatro di Luca Ronconi, ‘San Piero de Casteo’ fu occupato con lo spettacolo africano e ‘anticolonialista’ di Brook, ‘The Ik’ (o ‘Les Iks’ che dir si voglia), e una mezza dozzina di spettatori del quartiere diede vita a una piccola protesta: avevano pagato il biglietto ma non erano stati avvertiti che gli attori fossero tutti forèsti e anglofoni.

Fu un’edizione straordinaria, e non solo per quell’insolito lavoro antropologico che Brook aveva preparato dopo una lunga convivenza in Uganda con la tribù d’indigeni Iks. In giro per Venezia, fuori dal confino dell’Arsenale e delle sale, si potevano vedere le ‘Immagini di una realtà senza teatro’ di Eugenio Barba con l’Odin, i ‘Sei atti pubblici’ di Julien Beck con il Living, ‘L’âge d'or’ del Soleil di Ariane Mnouchkine, e Jerzy Grotowski, ormai già guru, che si era preso un’isola intera, San Giacomo in Palude, per rifare il suo ultimo ‘Apocalypsis cum figuris’… 

 Tornando al 2022, nel primissimo pomeriggio di domenica 3 luglio, prontamente la Biennale Teatro ha espresso come istituzione il suo cordoglio per la morte di Brook. E nella tarda serata, a margine del Late Hour Scratching Poetry, il djset con letture da Alda Merini, ha giustamente voluto proporre un ricordo l’attrice Sonia Bergamasco. Tra l’altro, bergamasco è anche, per nascita, l’unico attore italiano prediletto da Brook, Marcello Magni, chiamato con la moglie Kathryn Hunter, attrice inglese di prim’ordine e di chiara fama, ad animare persino gli ultimi giri di giostra del maestro, dedicati proprio al teatro (‘Why?’, su Vsevolod Mejerchol’d, l’allievo di Stanislavski che fu vittima di Stalin, e ‘Tempest Project’ con l’addio shakespeariano alle scene).

Chi ha avuto occasione di vedere Hunter e Magni interpreti magari di un tardo e perfetto Beckett di Brook, ‘Frammenti’, sa di quale livello d’efficacia nell’understatement si stia parlando. Italiano d’adozione è ormai anche Jared McNeill, che insegna pure recitazione all’Accademia D’Amico (e si ritorna al Late veneziano): forte di un bel decennio sul palco con Brook, Jared in questo periodo interpreta un Calibano particolarmente squinternato ne ‘La tempesta’ allestita da Alessandro Serra. Per inciso, Serra, è tra i nostri migliori registi che più si richiamano esplicitamente alla lezione di Brooks, Grotowski, Kantor, anche se nel ’75 aveva appena due anni… 

 Come si è capito, vale quel che vale la questione generazionale anche nelle dipendenze. L’assenzio, che pure ogni tanto torna a riempire bicchierini, ha distrutto molte vite dei bohemiens, prima di lasciare campo libero ai pastis. Tra le generazioni dei dramaholics, sicuramente sono i ‘boomers’ a provare grande nostalgia per ‘il viaggio’ con Peter Brook, e a considerare succedanei industriali tanti prodotti di oggi, che sanno troppo di fabbrica occidentale dell’ego-dilatazione e non portano più quegli aromi e quei sapori che si aprono dall’Oriente e dall’Africa.

Per concludere sul personale, un ricordo particolarmente vivo va alla lettura, dentro il des Bouffes du Nord a Parigi, tredici anni fa o giù di lì, sulle prime pagine del programma di serata, in occasione della prima di ‘Un Flauto Magico’ da Mozart - e maledizione a me che chissà dentro quali anfratti ho cacciato quell’opuscolo! - di un commosso necrologio che Peter Brook aveva voluto inserire: piangeva il barista del teatro che era appena mancato. 

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