Il dramma del drammaturgo che sale in taxi per andare a teatro fuori orario e deve rispondere alla domanda: ma che lavoro fa?
10.12.2024
'Sta minga a rognà, appassionato milanese, se questa settimana ci sono troppi appuntamenti da non perdere
N.G.
Lidi cechoviani con piscina dei Ciliegi
Forse è tempo di invocare dal cielo il dono dell’ubiquità per gli spettatori appassionati. Almeno si riuscirebbe a sopportare l’idea di dover perdere qualche appuntamento della settimana che si apre. In ordine di vicinanza, e di capienza di sala, appuntamento a Milano dal 12 novembre, al Piccolo Teatro Strehler, con ‘Il giardino dei ciliegi’: è il clou del trittico cechoviano di Leonardo Lidi, il giovane regista italiano più affermato, che ha già mostrato grandi doti a costruire spettacoli di ‘teatro d’arte per tutti’, come si dice da queste parti.
Peraltro, sabato 16 il Piccolo ripropone la trilogia completa, in una bella maratona che si apre alle 11 con il ‘Gabbiano’, segue l’immaginifico e imperdibile ‘Zio Vanja’. La compagnia di attori è la stessa, davvero superba; la regia creativa fin quasi all’eresia, che qui si manifesta con una piscina in scena e i costumi sgargianti da bagnanti d’oggi (a dire il vero, l’autore stesso non amava gli allestimenti tragici e cupi dei suoi lavori!).
Ce ne saranno da fare di chiacchiere e commenti, pure per gli inevitabili confronti con illustri precedenti meno filologicamente scorretti: per non dire del mai dimenticato classico anni Settanta di Giorgio Strehler, vedi anche soltanto la rilettura del 2019/20 firmata da Alessandro Serra, che il grande critico Renato Palazzi considerò un gioiello di atmosfere e trovate.
9
Bentornato a Villeurbanne, maestro Lev!
Casca a fagiolo il Giardino di Lidi, per darci l’occasione di ricordare che nella grandiosa ‘maison de création’ del Théâtre National Populaire di Villeurbanne (Lione) si conclude la seconda settimana di una masterclass, dedicata proprio al problema di allestire oggi i meravigliosi testi di Cechov, e affidata al redivivo Lev Dodin, uno dei più grandi maestri del teatro contemporaneo, quasi sparito dalle scene dopo i guai con la polizia di Putin per aver criticato l’invasione dell’Ucraina.
E sabato 16, alle 17, il dramaholico che conquistasse anche solo una miracolosa bi-locazione non si vorrà perdere l’incontro pubblico con Dodin che il TNP ha organizzato in conclusione del seminario. Qualche anno fa, il regista russo ha portato a Milano con la compagnia del suo Malji di San Pietroburgo una versione innovativa dello stesso ‘Giardino dei ciliegi’, proprio al Piccolo Teatro Strehler, assolutamente strepitosa, giocata sulla metafora del cinema che soppianta il teatro e fatta interpretare quasi interamente da tutti gli attori giù dal palco.
Si parla ancora, tra gli appassionati italiani, anche di un geniale allestimento presentato da Eimuntas Nekrosius nel 2007 e pochi fortunati ricordano pure 'Il Giardino dei Ciliegi' che nel 1981 firmò Peter Brook, ’di raffinata eleganza compositiva e di estremo rigore interpretativo, con un implicito riferimento alla prima rappresentazione del Teatro d'Arte di Mosca’ (Antonio Pizzo).
N.G.
Fare i conti con l'amore romantico
Insieme con la sfida che affronta il Piccolo con Lidi, entra in campo grandiosamente sulla promozione delle migliori giovani regie italiane anche il Teatro Fontana. In prima nazionale, dal 14 novembre, porta in scena il nuovissimo ‘La signora delle camelie’, liberamente tratto dal celeberrimo romanzo di Alexandre Dumas figlio, per la regia di Giovanni Ortoleva, un altro tra i più interessanti nuovi talenti tenuti a battesimo qualche anno fa dalle Biennali veneziane di Antonio Latella.
Tra l’altro, nei titoli di questo raro adattamento teatrale di un romanzo arcinoto e considerato emblematico dei mutamenti della posizione femminile nella società borghese, compare subito, come dramaturg che ha affiancato Ortoleva, il nome di Federico Bellini. E' un autore che, oltre ad aver firmato già diversi spettacoli di Latella stesso, si è fatto notare proprio per alcune sue creazioni, come 'Chernobyl' per Elsinor e il Fontana, che si caratterizzano per una particolare capacità di attenzione al presente storico.
L’appuntamento è dunque tre volte interessante, ovvero, aldilà dell’opera di Dumas, per individuare e comprendere i riferimenti alla realtà contemporanea e, infine, per valutare appieno la direzione che la poetica registica di Ortoleva ha preso, restando nel solco così ben tracciato tra Latella e Luca Ronconi, al termine anch’egli di una trilogia, sull’amore romantico, o se invece si va ridefinendo. Da non perdere.
8+
Eh già, siamo tutti Berlinesi!
Un discorso a parte, decisamente, merita la proposta internazionale più importante della settimana (e forse anche dell’intera stagione del polo innovativo di Zona K), il 14 e il 15 settembre, alle 19.30, nel Teatro La Cucina/Olinda: ‘The making of Berlin’ del collettivo fiammingo Berlin.
E’ uno spettacolo multimediale e performativo con la regia di Yves Degreyse, che non è solo tra i co-fondatori degli stessi Berlin ma è stato anche scelto dal prestigioso NTGent come punta di diamante teatrale della nuova direzione collettiva a tre, che ha avuto l’onore e l’onere di succedere a Milo Rau (che, come noto, si è affermato come maestro e punto di riferimento anche grazie al settennato in Belgio, passando poi alla guida di Wiener Festwochen).
E’ una storia unica, quella di ‘The making of Berlin’, che s’intreccia appunto intorno alla natura particolare della città tedesca, affrontando la vicenda personale di un direttore d’orchestra che è restato imperturbabile sul podio durante il regime nazista.
Chi non ama il teatro facile e facilone non può perdere questo appuntamento con la migliore ricerca artistica europea: saranno 110 minuti quantomeno sorprendenti, in inglese con sottotitoli in italiano, nella sala che la Onlus più cult di Milano ha ricavato all’interno del complesso dell’ex ospedale psichiatrico Pini di via Ippocrate 47 (M3 Affori FN, uscita via Ciccotti: ricordatevi anche di acquistare il biglietto online).
N.G.
Tra le fronde effimere del Queer
Di taglio sofisticato internazionale anche la nuova proposta di Triennale Teatro, in questo inizio stagione davvero d’alto livello che ha visto sfilare i nuovi lavori di artisti performativi di grande interesse della scuderia di casa.
Con la prima assoluta di ‘La foresta trabocca’ sarà la volta, dal 14 al 16 novembre, di Antonio Tagliarini, che con questo spettacolo - stando alla scheda di presentazione - ‘cita l’ultimo romanzo della giovane scrittrice giapponese Maru Ayase, per indagare altri modi di esistenza, fino alla soglia della trasformazione, in dialogo con la poetessa e performer Gaia Ginevra Giorgi. Un’azione sonoro-performativa che, a partire dalle riflessioni del teorico queer Jack Halberstam, propone una nuova visione del concetto di fallimento come forma di libertà’.
Tagliarini, molto conosciuto anche nei teatri europei per il binomio con Daria Deflorian, si è formato nell’ambito della danza contemporanea e delle performing arts e ha lavorato come interprete con personalità di spicco del teatro italiano. Docente in progetti di formazione e tutoraggio, ha allestito questo ‘La foresta trabocca’ con Gaia Ginevra Giorgi, ‘autrice, sound-artist e performer’ come viene definita: conosciuta anche lei e apprezzata sulla scena europea di ricerca e d’avanguardia, Giorgi si propone di svolgere una ‘ricerca attiva trasversalmente nel campo delle arti performative, sviluppa pratiche e metodologie di indagine per una riscrittura affettiva e politica del paesaggio. La sua pratica integra scrittura, suono, voce e dispositivi performativi. I suoi interventi producono habitat effimeri, spazi di immaginazione incarnata e radicale’.
8+
'Teatro per bambini' sì, ma di prim'ordine
A proposito di maestria e di ricerca, domenica 10 e il fine settimana 16-17 novembre, al Piccolo Teatro Studio Melato si possono cogliere le ultime occasioni per vedere il nuovo lavoro di Chiara Guidi, sconsigliato ai minori di anni 8, ’Il mostro di Belinda. Metamorfosi di un racconto’, scritto con Vito Matera .
Prodotto all’interno della Societas dei Castellucci’s insieme con il Piccolo e Emilia Romagna Teatro, segna anche un rinnovato interesse dei due grandi poli nazionali per una sorta di ‘upgrade’ del teatro per bambini-per tutti, che speriamo si possa tradurre in nuove occasioni d’alto livello (a Bologna in ERT si vocifera del varo, per la prossima stagione, di una nuova clamorosa super-produzione italiana ad hoc).
Questa è una versione molto curata di una delle fiabe più note, e anche più allegoriche, della tradizione - normalmente tradotta in ‘La Bella e la Bestia’, anche al cinema -, la cui rilettura viene così presentata dalla stessa Guidi: ‘Belinda è la più piccola della famiglia e, meglio delle sue sorelle maggiori, incarna una straordinaria bellezza e bontà. Lo rivela in tutte le cose che compie. Finché, un giorno, la Bestia mostruosa la chiama, e lei, per Amore, le risponde accettando di vederla e di parlare con ciò che è straordinariamente brutto e cattivo. Perché lo fa? Per salvare un uomo, suo padre, pur rischiando la vita. E così una parte di lei accoglie la Bestia e una parte della Bestia accoglie Belinda. Come avvenga non si sa, ma è necessaria una lotta per andare dove qualcosa si nasconde e poter sentire in una voce un’altra voce. […] Un gioco di intrecciate moltiplicazioni e divisioni che supera la logica dei nomi per accogliere la logica di Amore, dove quei nomi si confondono’.
N.G.
Dr. Freud e Mr. Jung, è il Jekyll di Rubini
In tema di duplicità niente regge comunque il confronto con il dottor Jekyll di Robert Louis Stevenson, la cui risonanza, con relative interpretazioni, può riempire una biblioteca. Il coraggio di scalare a teatro una tale montagna se lo è preso Sergio Rubini con ‘Il caso Jekyll’, che il Teatro Carcano rilancia a Milano dal 12 al 17 novembre.
Promettono le note di regia: ‘partendo dalla considerazione che ’Lo strano caso del Dr. Jekyll e di Mr. Hyde’ sia un’apologia sulla condizione umana, avendo come tema centrale il doppio che poi è il doppio che alberga in ognuno di noi, abbiamo sviluppato una drammaturgia in chiave più chiaramente psicanalitica, più vicina a quelle teorie che si svilupparono quasi mezzo secolo dopo la pubblicazione del racconto stevensoniano e che ebbero il massimo dell’espressione negli approdi scientifici prima di Freud, poi di Jung. Il nostro testo, infatti, spogliato da qualsiasi soluzione allegorica usata da Stevenson – che dà il carattere fantastico a tutta la storia, come la metamorfosi di Jekyll in Hyde attraverso un esperimento chimico, la cosiddetta ‘pozione’ – , è piuttosto un viaggio nell’inconscio, nella fattispecie di un famoso luminare della medicina, Henry Jekyll, che ambendo all’individuazione di quelle che sono le cause della malattia mentale, si fa cavia e diventa poi vittima delle sue stesse teorie, tirando fuori dalla caverna del conscio ciò che è a lui stesso nascosto, la sua ombra, il suo Hyde’.