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Vedere i fantasmi de 'La zona blu' nel cielo stellato sopra il Mediterraneo, questa sì che è un'utopia teatrale

Nicola Borghesi con Francesca Baccolini in 'La zona blu' (foto di Luca Del Pia)

 ‘La zona blu’ che dà il titolo a questo diario del viaggio nel Mediterraneo con i soccorritori di Sea-Watch (base del lavoro da cui la compagnia Kepler-452 ha tratto ‘A place of safety’), è lo spazio dove vengono appoggiati a morire i naufraghi considerati subito casi disperati. Eppure, a differenza dello straordinario ‘politikolossal’ presentato all’Arena del Sole di Bologna il 27 febbraio, questa ‘lettura di appunti ai confini dell’Europa’ porta decisamente meno dentro la camera magmatica del dramma epocale di quest’olocausto migratorio. 

 E’ un lavoro d’una ben diversa crudezza, prima di tutto perché in questo caso non ci sono le testimonianze dei soccorritori. Ma anche nei racconti del narratore ‘La zona blu’ risulta poi quasi completamente diverso da ‘A place of safety’, che resta così tutto da scoprire per il grande pubblico atteso nell’impegnativa tournée autunnale.

Il regista Enrico Baraldi, il frontman Nicola Borghesi, l’angelo custode producer Roberta Gabriele e i ragazzi della compagnia bolognese batteranno decine di piazze, da Montpellier a Udine, da Prato a Torino, per non dire dei teatri dell’Emilia Romagna quasi al completo, e qualche giorno di metà dicembre persino il Piccolo Teatro Studio.

In vista delle repliche di ‘A place of safety’, ‘La zona blu’ è stato uno degli eventi del nuovo festival LIFE a Milano, ma verrà riproposto ancora dai kepleriani in questi prossimi mesi. In questo periodo, peraltro, la compagnia bolognese ha lodevolmente riportato in giro il piccolo gioiello di teatro-conversazione ‘Album’.

 Anche questo diario è ritagliato su misura di Nicola Borghesi, la cui cifra di autore e di attore s’apre decisamente spesso e volentieri al sorriso, alla battuta, al racconto con virate improvvise alla comicità, e invece dosa con sobrietà i crescendo verso l’indignazione. 

 Oltre al canovaccio degli appunti preparatori di ‘A place of safety’, in ‘La zona blu’ entrano in gioco un certo numero di immagini girate da Enrico Baraldi nelle varie situazioni di cui si parla e in modo altrettanto sobrio un accompagnamento musicale sorprendente, con la contrabbassista-musicista elettronica Francesca Boccolini, che in scena sembrava a tratti la prima spettatrice commossa da un racconto che davvero non lascia indifferenti.

 Caldeggiando comunque ai più sensibili, come per ‘A place of safety’, di dotarsi tempestivamente di citrosodina, gaviscon, geffer e diavolerie varie per frenare l’inevitabile motilità dello stomaco da complessi di colpa del borghese indifferente, che cosa si può dire alla fine di questo ‘La zona blu’?

 Senza voler spoilerare oltre misura, non si può però non prendere atto di una straordinaria chiusa ‘shakespeariana’ in cui Borghesi espone - forse bene come mai prima aveva fatto - la poetica stessa del teatro di Kepler-452. Lo fa attraverso il racconto sulle stelle che il comandante tedesco di Sea-Watch decide di tenere all’equipaggio sul ponte, durante la prima notte del ritorno dopo la missione, tracciando un’appassionata e competente mappa del cielo stellato, con relativi approfondimenti mitologici sui nomi. 

 Nell’artificio retorico finale il narratore che si è spinto un po’ disperatamente fino a ‘La zona blu’, riscopre proprio il suo ruolo in una sfida tanto ardua da apparire insensata, quale questa su un tema così caldo, contemplando l’immensità del cielo stellato dentro il cui infinito brillio poi si perderebbe tutto, se in realtà ciascun pianeta non avesse un nome o una storia, dove le storie che non si dimenticano per sempre sono soltanto quelle che vengono raccontate bene, così bene, addirittura, da sfiorare la creazione di miti.

 Che cosa può mai dire a questo punto lo spettatore appassionato, persino già kepleriano convinto? Alza le mani per gli applausi, ma idealmente ha già subito fatto il gesto di allargarle verso il basso, ‘eh beh’, come a ripetere il gesto istintivo della resa immediata all’ammirazione.               

 Peraltro, Baraldi e Borghesi potevano finire proprio malconci dopo questa impresa di ‘A place of safety’, anche personalmente, oltre che professionalmente. E invece no, sembrano rinati e persino ringiovaniti.

Più saldi ancora nella convinzione di voler fare questo teatro di storie di realtà, di voler aggiungere la luminescenza ad altri racconti di vita, di vite magari che il mondo scarta subito via. 

Enrico Baraldi con Nicola Borghesi a bordo della Sea-Watch 5 (foto di Luca Del Pia)

 P.S.: Chissà, forse nell’analisi dello spettro psicologico dello spettatore appassionato, dovrebbero entrare in gioco anche gli istinti di protezione nei confronti della specie dei teatranti. 

 Funzionano un po’ al contrario del meccanismo che gli allievi di Freud chiamano ‘effetto spettatore’, intendendo l’apatia che scatta rispetto a quel che subisce/prova/vive un’altra persona proprio di fronte al soggetto all’effetto di cui sopra; peraltro gli inglesi lo chiamano ‘bystander effect’, e quindi qualcosa a che fare con le tribune per il pubblico ce l’ha pure.

 E’ al rovescio di così che invece tira un sospiro di sollievo, il 14 maggio alla Fabbrica del Vapore di Milano, grazie all’intraprendenza delle solite ‘cattive ragazze’ di Zona K, anche il lato paterno del ‘boomer’ dramaholico, entrato un po’ in ansia dopo la prima di ‘A place of safety’. 

 Fa proprio piacere ritrovare i marziani teatrali di Kepler-452 in gran forma, con la meglio gioventù di amici e seguaci a circondarli, sempre un buon quarto d’ora prima dello spettacolo e poi ‘ad libitum’ dopo, mentre se ne stanno con grande tranquillità e non falsa modestia a salutare tutti. 

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