E' ora di cambiare, potere al rumore! Che gran bella storia, la nuova 'MuccaCervo' di Katie Mitchell: non si sente nemmeno una parola

L'immagine cartolina di 'Cow | Deer' al Royal Court di Londra

 No, non tutti hanno la fortuna di sentire una vocina che suggerisce d’inserire nell’agenda di fine estate, tra il 4 settembre e l’11 ottobre, una bella gita in treno sotto la Manica, per non perdere le prime rappresentazioni al Royal Court di Londra della singolare nuova creazione ‘Cow | Deer’, firmata da una delle registe di punta della scena europea, Katie Mitchell.

 Nonostante una carriera ormai trentennale, un successo condito di premi e ingaggi di prestigio, anche nei grandi teatri d’opera, la Mitchell mantiene una capacità di ricerca e d’innovazione assolutamente encomiabili, che esercita anche nella supervisione di lavori sperimentali di nuovi protagonisti. Ancora nell’ultima Biennale Danza di Venezia, curata dal suo amico e compagno di lavoro Wayne McGregor, per esempio, si poteva notare la firma di Katie come ‘tutor’ dell’innovativa perfomance di critica radicale al capitalismo finanziario presentata dal duo post-punk londinese Bullyace.

 C’era da aspettarsi quindi che potesse essere quantomai intrigante questa nuova produzione ‘Cow | Deer’, presentata semplicemente come una ‘listening experience’, un’esperienza d’ascolto, e allestita proprio dal teatro londinese di natura pubblica e non commerciale, tradizionalmente legato all’avanguardia e al contemporaneo.

 Stavolta Katie-cult ha costruito una trappola perfetta di poco più di 55 minuti di teatro 'di prosa' senza che sia pronunciata nemmeno una parola. Una scelta così netta che ha richiamato il pubblico dei più giovani e spaccato ovviamente il fronte degli addetti ai lavori e della critica. Un esperimento accolto con aggettivi da ‘straordinario’ (Chris Wiegand per ‘The Guardian’) a ‘sorprendentemente opaco e ripetitivo’ (Sam Marlowe per ‘The Stage’).

 Andando con ordine, si deve cominciare dai pochi elementi che gli spettatori avevano a disposizione per procurarsi in tempo i biglietti, peraltro andati rapidamente ‘sold out’, nonostante un intero mese di programmazione e le 20 sterline in media a ticket. In primis si notava il titolo un po’ a chiave, dove tra Mucca e Cervo è inserita la barra verticale | detta anche pipe, per giunta evidenziata dalla doppia spaziatura intorno, invece della comune barra obliqua / altresì chiamata slash.

Consultando la sempre indispensabile Wikipedia si possono trovare varie dettagliate spiegazioni sul significato della scelta di impiegare nel titolo di un nuovo play teatrale proprio questa barra |. La prima è l’uso in matematica per indicare ‘valore assoluto’, anche se è alquanto plausibile l’idea che in questo caso si sia seguito in qualche modo la stessa sintassi wikipedica, che impiega la | per ‘collegamento ipertestuale’.

 L’immagine di accompagnamento al curioso titolo, un prototipo con metà testa bovina e metà da ungulato, che campeggia nei poster, sulla cartolina e sul sito del teatro, platealmente improvvisata accostando due foto scontornate, in modo che restasse evidente la linea di separazione, dovrebbe chiarire l’equivalenza dei due animali protagonisti. 

 Ancora, tra i crediti in cartellone spiccano, oltre al nome quasi da leggenda della Mitchell (sarebbe stata la prima, tra l’altro, a usare le telecamere dal vivo in scena, garantisce l’eccellente suggeritrice dramaholica), quelli delle co-autrici: Nina Segal, giovane scrittrice eclettica e pluripremiata, che attualmente è drammaturga associata al Royal Court stesso; e Melanie Wilson, riconosciuta artista del suono e compositore musicale che ama definirsi ‘performer interdisciplinare’. 

 Infine, come ultimo trillo di campanello dal tamburino, si nota la firma dell’N.T. Greece che si affianca in co-produzione: il Teatro Nazionale della Grecia è un’istituzione che si mostra da qualche stagione particolarmente attenta ai nuovi linguaggi e ai nuovi protagonisti, tra l’altro ospitando talenti da mezza Europa che poi contribuisce a lanciare (nei tre nuovi prescelti per la residenza creativa ad Atene da settembre c’è anche l’italiano Nicolò Sordo, complimenti!). 

Kate Mitchell al lavoro al Royal Court per 'Cow | Deer (foto di Camilla Greenwell)

Veniamo al dunque, ovvero all’appuntamento con la bizzarra MuccaCervo in Sloane Square, SW1 London, una piazza che oggi divide Chelsea da Belgravia e un tempo invece separava due grandiose proprietà terriere aristocratiche nelle quali si allevavano mucche al pascolo e dove certamente nei boschi scorrazzavano pure i cervi.

 Come suggerisce l’ottimo Wiegand, che non a caso è ‘Theater, Comedy and Dance Editor’ del vivace e tendenzioso Guardian, quest’aria storica del luogo, intrisa di campagna da pascolo e allevamenti, si respira anche nel Royal Court, ricostruito nel dopoguerra ma fondato nel 1888. Ed è ben simboleggiata dalla mucca in pietra che denota la vicina facciata del vecchio caseificio Wright's Dairy. 

 Così nelle ultime stagioni il prestigioso teatro a vocazione artistica dell’English Stage Company ha mantenuto una certa attenzione agli animali da allevamento e portato addirittura in palcoscenico sei capre per la commedia politica ‘Goats’ della siriana Liwaa Yazji, per non dire dell’oca che rubava la scena agli attori nel dramma ambientato nell’Irlanda rurale ‘The Ferryman’ di Jez Butterworth, con la regia originale di Sam Mendes, diventato ormai un long-seller.

 Per ‘Cow | Deer’ no, non c’è neanche una vera mucca, e ovviamente non si vede nemmeno un cervo, però gli animali protagonisti sono ben presenti grazie all’evocazione superlativa affidata ai suoni prodotti dallo strepitoso cast di rumorizzatori guidati dall’attore, doppiatore e burittinaio Tom Espiner. Accanto, in ordine alfabetico, Pandora King, rumorista che è anche cabarettista, la giovane Tatenda Matsvai e una navigatissima Ruth Sullivan, conosciuta anche come ‘foley consultant’ (Jack Foley è stato un po’ il padre degli effetti sonori), sound designer e regista.

 Per un’impresa totalmente senza parole è stata scelta la piccola e multiforme sala Jerwood Theater Upstairs, nella soffitta al quarto piano, allestita quasi a nudo, tra le pareti nere, con una gradinata per un’ottantina di spettatori. Prima di salire, a dire il vero, molti sono attirati da un primo passaggio downstair, al pub interno, denominato The Royal Court’s Bar & Kitchen, che ovviamente è il ritrovo anche di chi lavora in teatro. (Più tardi ospiterà anche Espiner e colleghi, per un salutare brindisi post-show: una birra Ale in bottiglia di vetro, bevuta senza nemmeno versarla nel bicchiere, ahi ahi Tom!).

 Alla cassa, accanto alle quattro spine delle birre on tap, in bella mostra c’è la pila dei libretti con la MuccaCervo del manifesto in copertina e dentro i testi su cui si basa lo spettacolo, in vendita per 5 sterline. Molti appassionati risalgono poi le scale tranquillamente portandosi dietro tanto di pinta e libretto, del resto è consentito assistere allo spettacolo con il bicchiere in mano.

Certo, leggere il testo prima della rappresentazione è un po’ come rovinarsi la sorpresa della visione, che poi in realtà è un ascolto esigente la massima attenzione e collaborazione.

Da sinistra, Ruth Sullivan, Tom Espiner, Tatenda Matsvai e Pandora King al Jerwish Upstairs durante una rappresentazione di 'Cow | Deer' (foto di Camilla Greenwell)

 Perciò ora eviteremo anche qui di entrare troppo nel merito del contenuto dello spettacolo, come d’abitudine nessuno spoiler, o quasi.

Si tratta, come anticipato, di un racconto abbastanza semplice, drammatico e ansiogeno, anche se a tratti pure molto divertente, sulla vita di campagna ai giorni d’oggi, con una mucca e un cervo e i contadini. Eppure viene presentato paradossalmente con un invito a immergersi nella poetica atmosfera agro-silvo-pastorale, a cui si accede calpestando prima una sorta di zerbino di ghiaia e poi un altro di pezzettini di spighe. Ci si siede poi di fronte a due tavolacci con balle di fieno ancora odorose di taglio, zolle d’erba, pezzi di fango, ortaggi, gusci e gelatine, annafiatoio, secchio e ammennicoli vari da fattoria.

 Nelle prime file, perlomeno basandosi sulla rappresentazione del 25 settembre, si notano tanti giovani entusiasti, che seguono con la massima concentrazione, ridono e soffrono e si lasciano andare a varie esclamazioni, prima d’esplodere in un applauso finale. In quarta fila un solo signore in là con gli anni si distrae subito e sonnecchia, dietro alcune signore pignole consultano ogni tanto il volumetto che hanno acquistato.

 E’ assolutamente formidabile che un lavoro teatrale così ben costruito, soltanto con suoni e rumorizzazioni quasi tutte dal vivo, possa poi anche essere un pezzo di viva attualità, che investe direttamente, con estrema anti-retorica, i temi più scottanti legati alla crisi post-industriale del mondo agricolo, alla nuova coscienza delle crudeltà nell’allevamento di animali per l’alimentazione umana e in generale al degrado sociale consumistico diffuso (spoiler! per esempio, il cattivo di rito si presenta subito cavalcando un rumoroso moto ’quad’). 

 Si esce comunque belli a disagio e pieni di amarezza, vogliosi di rifletterci ancora. Siamo insomma ben aldilà di un’indiscutibile ‘splendida celebrazione di un raffinato artigianato teatrale’, come ha scritto il critico di ‘TimeOut’.

Tra gli altri meriti di questo lavoro va sottolineato l’effetto di far sentire di nuovo il ruolo chiave allo spettatore, chiamato a farsi complice attivo nell’ascolto, per capire bene quello che sta accadendo. Anche se a volte bastano le strepitose espressioni del viso di Tom Espiner a suggerire l’interpretazione giusta.

 Detto questo, viva il teatro di prosa senza parole! Nemmeno un’ora di magia che ripaga dalla fatica di aver sentito anni e anni di frusta retorica, bene o male sempre troppo recitata, sui nostri palcoscenici. 

 Viva Katie Mitchell e i suoi complici nell’esperimento di MuccaCervo! Speriamo che qualcuno abbia il coraggio di rilanciarlo e magari di farlo arrivare pure in Italia. 

  ‘Cow | Deer’ si merita già il prezzo del biglietto anche solo per una scena (secondo spoiler!): la nascita del vitello, costruita con l’impiego di un palloncino, di un cespo di cavolo cinese (il pak-choi) e di un po’ di crema per le mani, risulta di un tale sorprendente livello da essere stata giustamente già candidata a ‘most captivating stage scene of the year’. 

Melanie Wilson, impegnata 'foley supervisor', nella verifica dei suoni e dei rumori rispetto al testo, durante le prove di 'Cow | Deer' (foto di Camilla Greenwell)
Dettaglio di scena con Tom Espiner, strepitoso (foto di Camilla Greenwell)

Iscriviti
alla newsletter

Ultimi Articoli

Iscriviti
alla newsletter

-->