" /> Lassù tra le montagne si balla all'insegna della natura: Bolzano Danza fa 40 con un programma festoso e superlativo

Se pensate ancora che la danza sia un recinto per fanatici di balletto, fate un giro alle prime dei festival e vi ricrederete

'Helicopter' di Preljocaj in apertura di Bolzano Danza (foto di Andrea Macchia)

 Il fitto calendario dei festival di luglio gioca brutti scherzi, in prima battuta a quelli che potremmo chiamare gli spettatori professionisti, soprattutto a chi s’impanca purista a oltranza. 

 Bisognerebbe considerare in primo luogo ImPulsTanz-Vienna, con l’Opening Party nel week-end arrivato al culmine di una straordinaria infilata d’appuntamenti d’apertura, che hanno visto protagonista al Burgtheater il coreografo Boris Charmatz con la storica Tanztheater Wuppertal Pina Bausch riunita alla sua stessa compagnia francese Terrain

 Charmatz, che per la prestigiosa rassegna viennese ha riproposto persino lo spettacolo per eccellenza della svolta al teatro-danza, il celebre ‘Café Müller’, si è già spinto anche oltre, persino fuori dal teatro, con il kolossal ‘Liberté Cathédrale’ concepito inizialmente dentro l’architettura brutalista del santuario mariano di Neviges.

 Avvicinandosi all’Italia, l’inaugurazione del nuovo Festival Bolzano Danza, con l’attesa prima del dittico ‘Helikopter/Licht’ di Ballet Preljocaj, ha coinciso con la prima vera e propria strambata che il timoniere di ‘Creatori di Miti’ a Venezia Wayne McGregor ha voluto imprimere alla sua magnificente Biennale Danza 1,II. 

 Ecco, nella capitale del Suditorolo i due nuovi curatori francesi, Anouk Aspisi e il coreografo Olivier Dubois, presentavano la loro prima rassegna dal titolo radicale, ‘Insurrection’, puntando su uno spettacolone firmato e cult, con tanto di video omaggio a Karlheinz Stockhausen.

E’ venuto di persona anche il mitico Angelin Preljocaj, salito per un attimo anche sul palco a raccogliere applausi, e la mattina dopo ha affrontato un dialogo pubblico nel Parco dei Cappuccini di fronte al Teatro Verdi, dove il festival s’è esteso con uno spazio BoDA per le feste del dopo-rappresentazione. 

 Intanto, nel Teatro Piccolo Arsenale a Venezia, l’inquietante drammaturga, performer e regista d’origini brasiliane Carolina Bianchi svolgeva il lungo nastro del suo nuovo ‘Brotherhood’, 220 minuti contro la mascolinità tossica, esplicitamente rivolti - come s'è già sottolineato - a denunciare la predazione e l’annientamento delle donne nel mondo stesso del teatro.

 Il post-teatro-danza di Charmatz a Vienna, la performance-documentario sul guru della musica contemporanea a Bolzano, e uno squillante anti-teatro femminista a Venezia!

 Bisognerebbe sorprendersi positivamente per questa magnifica ambizione del mondo della danza contemporanea di uscire dal recinto del balletto e della rappresentazione dei corpi in movimento per esprimere una sorte di nuova arte totale, in qualche modo la più arcana e la più viva, capace ancora di provocare emozioni universali immediate e di riuscire pure a parlare del mondo, della realtà e delle persone, aprendo interrogativi non banali e stimolando riflessioni profonde. 

 Invece - non per fare della facile critica della critica, un genere peraltro già oggettivamente al tramonto, in quest’epoca pre-mortale per i media tradizionali -, sarà per la routine eccessiva di un mestiere che costringe al ruolo di spettatori, sarà per l’inevitabile rincorsa alle pose snobistiche, ma proprio tra gli addetti ai lavori invitati per garantire l’eco mediatica ai festival si leva puntualmente qualche borbottio. In un senso e nell’altro.

Angelin Preljocaj sul palco al Verdi di Bolzano, la sera del 18 luglio, con i suoi ballerini dopo 'Licht' (foto di Andrea Macchia)

  A onor di cronaca, da sempre le scelte per i premi sono destinate a non andar giù del tutto a qualcuno. I Leoni, da questo punto di vista, sono una garanzia: nella nostra Italietta teatrale si parla ancora del caso di Alessandro Sciarroni, premiato nel 2019 dall’allora curatrice francese della Danza Marie Chouinard

 Non poteva certo passare via liscia, quest’anno, la scelta per l’Argento di un’autrice militante come Carolina Bianchi, che sta costruendo una trilogia sull’inquietante relazione tra arte e violenza: l’estate scorsa, con il primo atto, presentato in italiano con il titolo ‘La Sposa e Buonanotte Cenerentola’, ha scandalizzato persino il festival d’Avignone e la critica francese più progressista.

 ‘Oh, signora mia! Fa un movimento o due, a malapena, in tutto lo spettacolo: come può meritarsi un Leone d’Argento per la Danza?’, è la domanda retorica sussurrata da molti dopo 'Brotherhood'. 

 Si sa poi che il mondo del balletto contemporaneo in Italia non è propriamente un settore di rilievo: sì, ci sono coreografi e ballerini straordinari, ma molti fanno fortuna all’estero, perché, per esempio, c’è un solo Centro Coreografico Nazionale, Aterballetto di Reggio Emilia, mentre in Francia quasi ogni Regione ne ha uno.

L’Emilia Romagna, peraltro, è una regione unica da questo punto di vista, vanta pure i teatri con la miglior programmazione internazionale del settore (spicca per eccellenza anche Torino, su Milano meglio lasciar perdere).  

 Tra parentesi, anche l’ultimo notevole exploit pubblico di Aterballetto, con ’Santa’ dal 12 giugno al 5 luglio nel Parco Innovazione ricavato dell’ex fabbrica delle Reggiane, è stata un’eccellente prova di quanto la danza cerchi nuove forme d’interazione con il pubblico e ambisca a presentare una proposta teatrale e artistica complessiva. 

 Firmato dal curatore-narratore Nicolas Ballario, con Maurizio Cattelan di cui alcune opere costellavano il percorso della performance e dalla coreografa Lara Guidetti per Sanspapié, ‘Santa’ è stato il primo atto di un progetto ambizioso e sorprendente, ‘Danze dell’utopia’, in cui la danza s’esprime addirittura sull’incrocio ‘tra corpo, spazio e immaginazione nei processi di rigenerazione urbana’, come ha voluto il direttore artistico Gigi Cristoforetti.

 Tornando all’incantevole apertura di Bolzano, dove fa premio anche l’ambiente accogliente e rilassato della Fondazione Haydn, con tanto di tocco femminile in più del direttore generale Monica Loss, si può notare come sia scattato in qualche modo tra alcuni appassionati una sorta d’effetto opposto e speculare al rigetto dell’eccesso teatrale veneziano.

 Lo spettacolo che Preljocaj ha lanciato a Parigi questa primavera con notevole successo, nella grande sala del Théâtre de la Ville intitolata a Sarah Bernhardt, nasce dalla riproposta di uno dei suoi lavori maturi d’eccellenza, ‘Helicopter’, del 2001, basato sulla prima parte dell’opera ‘Mittwoch aus Licht’ (Mercoledì di luce) di Stockhausen, già composta nel 1992-93 come ‘Helikopter-Quartet’.

Una quarantina di minuti formidabili, tra rumori e gesti fisici, che si placano come all’improvviso per qualche secondo al buio. 

 Ed ecco che poi, con un effetto di transizione alquanto insolito per la danza, alla fine del complesso e avvincente primo atto, sul grande schermo viene proiettato un brano del film ‘Eldorado (Chorégraphie)’ di Olivier Assayas, che documenta proprio l’incontro e il dialogo tra il coreografo e il musicista, nello studio del compositore a Colonia, vent’anni fa.

Si ascoltano con commozione e un filo di malinconia le parole di Stockhausen sul lavoro stesso appena visto, sull’ardire di una partitura originale quasi incomprensibile anche per il creatore, sulla relazione tra musica e movimenti dei ballerini, sulla creatività dell’uomo nell’epoca dei computer. 

 E’ un momento di straordinaria divulgazione, di apertura all’intelligenza con il pubblico che ama la musica contemporanea - un mondo che, nonostante la sorda vetustà lirica dei teatri tradionali, fortunatamente trova oggi nel meglio della danza un volano straordinario. 

 In dissolvenza, dopo il film segue la seconda parte, ‘Licht’, con musiche originali ispirate all’opera stessa di Stockhausen firmate da Laurent Garnier, che ribaltano il registro alla ricerca di un effetto luminoso e solare dopo il ‘rombo degli elicotteri’.

Anche nella coreografia e nel racconto di Preljocaj s’intravede un diverso approccio, forse meno esclusivo e più immerso nel contemporaneo, ovvero, per così dire, anche un filo ammiccante nei confronti del grande pubblico. Del resto è quasi inevitabile, dopo aver così sfidato la platea con la complessità muscolare di ‘Helicopter’, e ancora dopo con la pausa cult e malinconica del documentario. 

'Helicopter/Licht' di Preljocaj a Bolzano, inizio della seconda parte (foto di Andrea Macchia)

 Così, qualche appassionato competente e snob ha subito modo di notare che il riverito maestro d’origine albanese appare oggi forse meno ambizioso di un tempo, si concede qualche brivido più ‘pop’, che del resto riflette in qualche modo l’evoluzione della danza contemporanea in Francia, sancita anche solo dalla recente consacrazione televisiva con l’evento cerimoniale olimpico.

 In qualche modo, poi, la deferenza che si manifesta ancora in un controfinale di ‘Licht’, nei confronti di Stockhausen e dei suoi desideri dichiarati di eternità e di paradiso, si traduce inevitabilmente in un’estetica al limite dell’ineleganza.

 Ma sono tutte chiacchiere da dopo spettacolo, del resto chi s’accontenta non gode ma è perduto. Non ci sono brontoloni soltanto tra i puristi a oltranza del balletto, ma anche tra i cultori del contrario, della danza-arte totale, che apprezzano qualunque taglio innovativo, persino la contaminazione con il documentario, purché si veda l’ambizione di lavorare a un livello altissimo di contenuto e di linguaggio, insomma che sia tutto sempre di tono sofisticato.

 Messi sull’avviso da qualche garbata osservazione critica captata qua e là dopo la prima a Bolzano, è facile ritrovare tra le prime recensioni francesi la sparata controcorrente del critico più dissacrante, Laurent Goumarre di ‘Libération’.

Seminascosta da un titolo soft sulla ‘meccanica ondulatoria di Preljocaj’, questa stroncatura sentenzia crudelmente: ‘alla prima prova con la musica elettronica di Laurent Garnier, Angelin Preljocaj abbandona i suoi ballerini in gruppi coreografici meccanici ‘visti in TV’, sindrome cerimoniale dei Giochi Olimpici’.

 E non è finita: ‘quando li riprende in mano per un finale di quadri viventi ritagliati in cerchi di luce’, aggiunge Goumarre, ‘sembra che li faccia finire in un peep-show; la carne esposta dei suoi dodici ragazzi e ragazze con il torso e il seno nudo sotto il luccichio di gioielli raggiunge il kitsch inaudito di una rivista di nudo non integrale. Lontano dai sogni di Stockhausen, ‘Licht’ mette in luce d'oro la fantasia di un paradiso di spazzatura, lascivo come un numero di cabaret’. 

 Giudizio decisamente ingeneroso, che cela appunto l’anelito a un impossibile purismo assoluto del balletto d’alta classe, ma illumina bene il paradosso francese: nella nazione dove la danza contemporanea è forse la più opulenta e riverita, non si fa sconti a nessuno. Nemmeno ai Maestri. 

 Amen, intanto dopo questa prima con il botto, Bolzano Danza in salsa Aspisi&Dubois prosegue fino al 1° agosto il tentativo di animare una vera e propria ‘Insurrection’ abbattendo per primi i recinti di genere, con una gamma di proposte internazionali notevoli anche in termini di contaminazione, con il mondo dell’arte, del teatro, della musica e persino del circo.

E cercando di contagiare l'intera città più nordica d'Italia con tante, tante feste in giro e pure diversi appuntamenti 'party-giani' anche nell’elegantissimo Teatro Verdi, come ‘Delirious Night’ di Mette Ingvartsen e ‘Rave Lucid’ di Mazelfreten nel gran finale.

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